Regista italiana residente fra Roma e New York, Cristina Spina ha iniziato la sua carriera come danzatrice e attrice, lavorando con Luca Ronconi, Massimo Castri e Carlo Cecchi. E proprio una ballerina è la protagonista del suo ultimo, coraggioso corto, 500 Calories.
Dopo l’esordio sui palcoscenici italiani, Cristina Spina ha debuttato in America quando è stata scelta dalla regista Martha Clarke per un ruolo da protagonista nello spettacolo Kaos di Frank Pugliese al New York Theatre Workshop. Ha proseguito con gli studi alla NYU Tisch School of Arts per iniziare infine a lavorare sui set di Bette Gordon e delle serie House of Cards e City on a Hill. Nel 2016 ha diretto il suo cortometraggio d’esordio E così sia, vincitore del RIFF, e nel 2020 ha scritto e diretto 500 Calories (qui il trailer). Con una regia evocativa e liminale da favola nera Cristina ci parla di un confronto tra un’insegnante e un’ex allieva in cerca di risposte, del trauma generato da un abuso e dai dolori che sopravvivono al tempo tenendoci in ostaggio.
Sei passata dalla danza, al teatro e al cinema, prima come attrice e poi lavorando sui set di film e serie dal successo internazionale. New York ha segnato una svolta nella tua carriera.
Sì, a New York ho incontrato molti professionisti straordinari, non pongono nessun limite alla creatività. Così ho trovato la forza e il coraggio di iniziare a raccontare le mie storie e il cinema per me è il mezzo migliore per esprimere la mia visione. Ma data la mia formazione principalmente teatrale, ho deciso di studiare e, durante una calda estate newyorkese, ho frequentato un corso di regia cinematografica alla Tisch School of Arts di New York e da lì ho capito davvero che volevo essere una regista di cinema. È stato come innamorarsi. Ho subito scritto e diretto E così sia, il mio primo cortometraggio con Tommaso Ragno, Maria Roveran e Sandra Toffolatti, girato in Italia con la fotografia di Stefano Falivene.
Hai continuato a lavorare anche come assistente, che aria si respira sui set americani?
Ho avuto la fortuna di fare un’esperienza magnifica sul set della sesta stagione di House of Cards: ero l’ombra del regista Alik Sakharov, osservavo e imparavo il lavoro di regista di serie TV partecipando al set e alle numerose riunioni che si devono fare con tutti i reparti. Poi, sul set della serie tv City on a Hill ho assistito la regista israeliana Hagar Ben-Asher. Devo dire che l’organizzazione e i talenti che ci sono su questi set sono impressionanti, mi reputo molto fortunata ad aver fatto queste esperienze.
Citando Wisława Szymborska, che ha ispirato un tuo spettacolo teatrale: «Tutte le nostre faccende, diurne e notturne, sono politiche». Pensi che il tuo cinema sia politico?
Condivido con Szymborska che ogni faccenda sia in qualche modo politica, la scelta di vita, il tipo di lavoro che si vuole fare; creare film di qualità in un mondo che pensa solo al consumismo e al denaro è di per sé un atto politico. Ma penso anche che l’arte non debba essere politica nel senso stretto del termine.
In 500 Calories parli di un abuso che la protagonista ha subìto da bambina. Il confronto tra l’ex allieva di danza Tères e la sua insegnante Evangeline è molto forte.
È un progetto a cui tengo molto, nel corto ho raccontato solo un momento della storia, l’incontro dopo 20 anni tra l’insegnante e l’allieva: mi interessava il rapporto tra due donne di generazioni diverse, esplorare come l’insegnante, pur sapendo, non abbia mai detto nulla diventando complice dell’abuso. Mentre realizzavo il corto sapevo già che avrebbe fatto parte di un progetto più grande, perché la storia è densa e piena di imprevisti. Ho iniziato a scriverla sette anni fa, ma soltanto ora sono pronta a raccontarla nella versione estesa.
Il cortometraggio è di ispirazione autobiografica?
Sì, l’ispirazione nasce da un evento realmente accaduto quando avevo tredici anni. La mia insegnante di danza classica mi mandò da un dietologo che mi prescrisse una dieta da 500 calorie, persi 10 chili nel giro di tre mesi per poter essere ammessa all’esame di fine anno della scuola di ballo. Poi nel giro di tre mesi ne ho ripresi 15 di chili, e la storia continua, ma mi fermo qui. Un’altra fonte d’ispirazione per la trasformazione in lungometraggio viene anche dal caso delle ginnaste americane abusate dal medico Larry Nassar.
La tua esperienza nei vari mestieri del cinema che tipo di regista ti ha resa?
Venendo dal teatro ed essendo anche attrice, amo lavorare con gli attori: secondo me bisogna rispettare le diversità di approccio al lavoro, cogliere l’invisibile, sorprendere sempre e farsi sorprendere. Per il resto la pre-produzione è molto importante per me: storyboard, ricerca visuale, entrare in sintonia con il direttore della fotografia, scegliere le location e la troupe. Cerco sempre di circondarmi di persone che stimo e ammiro, la collaborazione con il compositore Rossano Baldini, per la colonna sonora originale, in questo senso è stata una scoperta bellissima. Quando giro praticamente non dormo mai, sono troppo eccitata, ci sono talmente tante cose da fare.
Stai lavorando anche al lungometraggio Rose is a Rose, di cosa tratta? Hai altri progetti?
È una dramedy, parla di immigrazione e sfata il mito del sogno americano. Racconta quanto sia difficile essere un’artista immigrata a New York, rivela intimamente il senso di struggimento e solitudine che una metropoli del genere può suscitare in una ragazza straniera. Alba Rohrwacher e Bobby Cannavale hanno già dato la disponibilità per il cast. Ho anche iniziato a scrivere un trattamento per una serie, spero presto di trovare produttori ispirati e agguerriti!