Paolo Bonfadini, Irene Cotroneo e Davide Morando sono tre giovani sognatori che hanno unito le forze per farsi spazio ai margini dei due poli istituzionali del cinema e della TV. Facendosi strada nella periferia del cinema italiano, hanno dato il via a un’attività itinerante e dinamica che si è poi concretizzata nel Collettivo Asterisco: una realtà giovane e fluida che ha permesso al trio di lavorare a videoclip, commercial, documentari e il mockumentary Gea – L’ultima mucca. Con equilibrio e lavoro di squadra, il collettivo è riuscito a restituire al giovane cinema indipendente una promessa di sincera leggerezza.
Come nasce Collettivo Asterisco?
Paolo Bonfadini: L’idea del collettivo è nata durante il primo lockdown, io e Davide scrivevamo già insieme da tempo e con Irene ho lavorato costantemente durante il triennio alla Scuola di Cinema Luchino Visconti. Abbiamo deciso di creare qualcosa che ci desse un’identità unica per lavorare ai progetti che avevamo in mente ed è nato Asterisco. Diciamo che è stato il naturale sviluppo della nostra collaborazione come trio, siamo abituati a condividere sempre idee e progetti nuovi e con l’esperienza abbiamo trovato la giusta alchimia.
Tutti e tre ricoprite vari ruoli, come è organizzato il vostro lavoro?
Paolo Bonfadini: Mi occupo principalmente di regia e di scrittura, il mio percorso è molto legato alla narrazione, ma sono anche musicista. Il nostro approccio è fluido, forse anche per questo ci troviamo a nostro agio con la forma del collettivo, cerchiamo di metterci sempre a disposizione l’uno dell’altra. Il nostro ultimo cortometraggio – Gea – ci rappresenta molto in questo senso: è diretto, sincero, colorato. Cerchiamo di trasmettere al pubblico lo stesso entusiasmo un po’ avventuroso con cui ci accostiamo al lavoro e quando ci riusciamo andiamo a letto felici. Tranne Davide, lui resta sveglio a montare.
Davide Morando: La struttura del collettivo Asterisco è molto chiara per noi: tutti possono dire la propria opinione e l’idea migliore vince sempre. Cerchiamo di lavorare con quest’ottica mantenendo ordine e precisione. Io mi occupo di regia e montaggio, ho iniziato come montatore diversi anni fa e questo mi dà un vantaggio anche nel lavoro di regista perché riesco ad avere una visione molto chiara del film, il che aiuta a ottimizzare i tempi.
Irene Cotroneo: Io seguo la parte di produzione ma ricopro soprattutto il ruolo di aiuto regia. Il cinema per me è stata una svolta, mi ha fatto capire cosa voglio davvero fare nella vita. Ho iniziato con piccoli set pubblicitari per poi lavorare su grandi produzioni televisive, cosa che mi ha aiutata ad adattarmi a progetti molto diversi tra loro. Per Gea mi sono ritrovata nell’insolita veste di regista insieme a Davide e Paolo. Non è facile dirigere un film con tre teste che hanno idee diverse, ma siamo riusciti a trovare il nostro equilibrio. C’è di buono proprio il fatto che siamo in tre: se c’è qualche dubbio, vince la maggioranza!
Siete riusciti a ritagliarvi uno spazio creativo atipico, puntando sulla varietà delle vostre competenze e su una certa mobilità.
Davide Morando: Tra di noi scherziamo spesso sul fatto che “viviamo in autostrada”. Siamo sempre in viaggio. In un certo senso ci consideriamo un collettivo itinerante, ci piace scoprire sempre nuovi luoghi dove poter girare. Abbiamo sviluppato molte competenze diverse perché siamo accomunati dalla curiosità, ci piace studiare, se c’è qualcosa che non sappiamo fare ci sbattiamo la testa fino a che non abbiamo imparato a padroneggiarla. Però quello che ci guida in ogni nostro lavoro è l’amore per le storie.
In Gea scompaiono 300 mucche a Serravalle Langhe, tutte tranne una: appunto Gea. Quando la sua pagina Instagram diventa più popolare di quella di Barack Obama, il suo staff organizza una visita ufficiale affinché l’ex presidente – noto amante delle mucche – possa conoscere Gea. Da dove nasce questa idea?
Paolo Bonfadini: Il film è nato durante la partecipazione a un festival estivo dedicato al mockumentary: a fine agosto 2020 siamo arrivati a Serravalle Langhe e in una settimana abbiamo ideato, scritto, girato e montato il cortometraggio. È stata una settimana frenetica e bellissima, una sfida da ogni punto di vista. Gea è un film indipendente nel vero senso della parola, totalmente libero. L’idea è nata dai nostri feed di Instagram: sembra assurdo ma i social sono pieni di profili dedicati ad animali con migliaia di follower. Il film ha un tono favolistico ma, allo stesso tempo, ci interessava raccontare il paese e le persone che abbiamo incontrato nel modo più genuino e sincero possibile. Quindi in fin dei conti è tutto vero tranne Gea.
Vi siete dunque ritrovati a lavorare con persone che non avevano mai recitato prima.
Irene Cotroneo: Sì, l’intero cast del film è composto da abitanti del paese senza alcuna esperienza nella recitazione, si sono trovati a dover raccontare in modo convincente una versione surreale della loro realtà quotidiana. Ci hanno sorpreso positivamente e a molti spettatori è rimasto il dubbio che la storia fosse in gran parte vera.
Come avete trovato Edo, il protagonista del cortometraggio?
Davide Morando: Non dimenticherò mai la prima volta che abbiamo incontrato Edo. Stavamo girovagando per il paese per delle ricerche, abbiamo visto un uomo dall’altra parte della strada, stava tagliando l’erba a torso nudo con dei jeans sgualciti, l’immancabile panama in testa e degli occhiali che gli coprivano tutta la faccia. Ci ha sorriso ed è stato un colpo di fulmine. Abbiamo passato giornate ad ascoltare le sue storie e quell’energia è diventata il cardine del nostro film.
A cosa state lavorando adesso?
Davide Morando: Ve lo sveliamo in anteprima, stiamo preparando il lungometraggio di Gea. Inoltre, stiamo progettando un lungometraggio di genere thriller/mistery intitolato Gotland. La storia ruota attorno al mistero di un labirinto ed è ispirata ad un luogo realmente esistente: il Labirinto della Masone di Fontanellato. Stiamo lavorando alla storia con l’aiuto di Paolo Borraccetti e il supporto di Officine – Fare Cinema e siamo in cerca di un produttore. Gea e Gotland sono due film agli antipodi, sia per genere che per necessità produttive, ma quello che li accomuna è la voglia di far sentire la nostra voce nel panorama del cinema di genere italiano. Nessuna pressione, insomma.