Adesso possiamo dirlo. Gli ultimi due anni di cinema ci hanno regalato tre pietre miliari tra i documentari biopic che sintetizzano un quadro ricchissimo sull’industria culturale italiana. Tutti doc monografici diretti da grandi registi, tutti con un taglio raffinato che sorvola il genere tenendo incollati al grande schermo anche gli spettatori meno avvezzi al documentario. Sono Ennio di Giuseppe Tornatore, sul genio e la composizione di Ennio Morricone; Laggiù qualcuno mi ama di Mario Martone, sul comico e cineasta Massimo Troisi; e adesso Raffa di Daniele Luchetti, sull’artista e autrice Raffaella Carrà, con la vita e l’ascesa di Raffaella Pelloni.
Il regista romano ha deciso di affrontare questa sfida in maniera cronologica, così con le sue poderose tre ore di montaggio finale assistiamo agli esordi partendo dalla formazione della giovane Raffaella fino ed oltre il successo, cioè il passaggio all’icona. Migliaia di ore di contributi sono state visionate dalla squadra di Luchetti e oltre al repertorio televisivo e cinematografico sulla Carrà si susseguono immagini mai viste dalle tournée estere e dalla vita privata. Dolcissima punteggiatura finzionale di Luchetti quella di una bimba che interpreta la giovane Raffella in un vecchio cinema di Bologna, tra sogni ritmati in bianco e nero e futuro radioso. A testimoniarne l’inossidabile dirompenza artistica non solo le condivisioni, gli aneddoti e i pareri di attrici come Loles Leon e Loretta Goggi, registi come Emanuele Crialese e Marco Bellocchio, musicisti come Tiziano Ferro e Bob Sinclair, ma anche showman come Fiorello e Renzo Arbore. Solo per citare alcuni nomi di una lunghissima lista tra autori televisivi, produttori, ballerini, coreografi, costumisti, vecchie fiamme romagnole e parenti. Uno su tutti il nipote Matteo Pelloni. Ognuno ad aggiungere la propria tessera a un mosaico di oltre cinquant’anni di carriera.
L’immagine che Luchetti sottolinea è doppia. Da una parte la Carrà, il nome d’arte che l’ha resa famosa, l’artista che provava per ore, che dimagriva due chili a ogni spettacolo e che ha saputo reinventarsi in Italia quanto in Spagna, nel Sudamerica e addirittura in Fininvest. Quella delle sfide, alcune non vinte, ma molte conquistate, perfezionista e fiduciosa nei suoi collaboratori e nei corpi di ballo. L’artista che ha segnato la televisione insieme a Gianni Boncompagni e Sergio Japino. Quella che ha beffato la censura Rai negli anni di Canzonissima e che mostrando il suo corpo in modo rivoluzionario iniziò a entrare anche nei cuori della proto-comunità LGBTQ+ combattendo pregiudizi e moralismi parlando di amore libero attraverso il Tuca Tuca e tante altre canzoni e interpretazioni come Luca e Pedro. A proposito, le rielaborazioni e le musiche originali del film sono di Theo Teardo, che ha fatto un pregevolissimo lavoro rievocativo sulle melodie della Carrà. Carrà che fu anche l’artista a deporre simbolicamente due dittature, nella sua insospettabile scia di paillettes. Si trattava di Franco in Spagna nel 1975 e Pinochet in Cile nel 1990, affiancando il proprio successo esplosivo in questi paesi con la morte di entrambe quelle epoche oscure.
Dall’altra c’è Raffaella Pelloni, donna cresciuta sulle sponde adriatiche che si è sacrificata in toto per dare spazio alla Carrà. Pelloni come donna di famiglia, azdora romagnola, spirito matriarcale legatissima ai figli del fratello quanto alla madre e alla nonna, quella donna che le trasmise il sacro fuoco dell’arte, da bambina. È un ottimo fil rouge questo contrasto tra Carrà e Pelloni, tra artista e donna, non solo chiave narrativa, portandoci quasi a indagare su Raffaella attraverso le voci commosse, come quella di Ferro, o incantate come quella di Crialese, su chi fosse la donna dal caschetto biondo più famoso d’Europa. Spesso torna attraverso le sue tante interviste un desiderio di maternità mai appagato, forse motore e freno della sua esistenza più intima.
Forse più di tutti ha carpito l’essenza della Carrà Caterina Rita, autrice, biografa e storica collaboratrice di Raffaella. Sono le sue riflessioni a costituire le migliori sintesi tra le testimonianze, ma segnaliamo anche Enzo Paolo Turchi, suo primo ballerino dal bianco e nero profondamente legato a lei, e poi l’autore Salvo Guercio, anche tra le firme della sceneggiatura. La Carrà non è stata un semplice personaggio televisivo ma un’icona investita da un successo quasi planetario. Rappresenta un fenomeno pop unico, sociologico se guardiamo al mito che ha lasciato in Sudamerica, e il lavoro certosino di Luchetti le rende un giusto omaggio. Magari arretrando di fronte alla vendita di lacrime nei primissimi piani di Pronto Raffaella negli anni ’80 o davanti allo sfruttamento Auditel delle famiglie separate in Carramba che sorpresa nei ’90. Ma quale icona non ha lati oscuri? E a proposito di ombre e luci, c’è un momento durante uno scroscio di applausi in cui la Carrà è sudata, felicemente stravolta e avvolta da un mantello rosso di paillettes che ricorda Elvis.
Raffa – Il ritratto inedito di un’icona senza tempo esce al cinema oggi 6 luglio, per festeggiare i suoi 80 anni che avrebbe compiuto il 18 giugno ma anche a due anni dalla sua scomparsa. Prodotta da Freemantle e distribuita al cinema da Nexo Digital come evento, la sua biografia sarà nelle sale fino al 12 luglio, ed essendo co-prodotta da Disney+ avrà un’ipotizzabile uscita su piattaforma verso fine anno, ma in forma di mini-serie in tre parti, già nettamente distinte nel film. L’ampio ventaglio di sala sicuramente permetterà altre finestre-evento in caso di un successo che è già abbastanza prevedibile. La Carrà fu rifiutata dal grande cinema, pur essendo comparsa in tante pellicole da giovanissima, e anche di questo parla il suo film, di una rinascita continua. Questo doc è l’occasione per ripercorrere la storia di una donna, dell’icona che ha costruito, della musica, della cultura nazional popolare italiana e degli effetti del successo, delle canzoni e delle musiche che ancora oggi animano le nostre feste e dell’affetto tra il pubblico e una star. Tutto, per una volta, non sul piccolo, ma sul grande schermo.