Un luogo crepuscolare, sospeso, destinato a scomparire, smantellato da interessi commerciali ed economici, nascosti dietro il termine riqualificazione. Punta sacra di Francesca Mazzoleni, vincitore del Sesterce d’Or al festival Visions du Réel, tra i più importanti per quanto riguarda il cinema documentario, racconta la realtà e la comunità dell’Idroscalo di Ostia.
Come ti sei avvicinata a questa comunità e come si è svolto il lavoro di ricerca per il film?
L’incontro con la comunità dell’Idroscalo è avvenuto sette anni fa. Un luogo dimenticato ed estremamente isolato, in cui è difficile capitare casualmente. La prima scintilla è scattata dall’impatto visivo. L’idea poi di realizzare un documentario, le cui riprese si sono concentrate in un periodo di tre mesi, è nata dal rapporto umano e di amicizia che si è instaurato e che mi lega tuttora ad alcune di queste persone. Davanti a me ho trovato una comunità estremamente determinata e vitale nel combattere un enorme sfida quotidiana. Un microcosmo autosufficiente e cosciente. Le case del quartiere, auto-costruite a partire dagli anni Settanta, rischiano di essere abbattute, ufficialmente per il pericolo di esondazione, anche se dietro ci sono interessi economici di ogni tipo. La rabbia e la determinazione di queste persone nel rivendicare le proprie radici e la propria appartenenza al luogo credo siano state il motore che mi ha spinto a raccontare questa realtà senza vittimismo ma con condivisa passione.
Che tipo di atmosfera hai cercato di trasmettere girando il film nel corso dell’inverno?
Quel luogo è caratterizzato per natura da una forte malinconia che emerge specialmente nella stagione invernale. Inoltre, in inverno cambia anche completamente l’impatto visivo soprattutto dello scenario naturale, che sembra riversare e sprigionare tutta la sua violenza. La zona sospesa tra terra e mare, il vento incessante, i cani sciolti, gli aerei di Fiumicino che passano continuamente sulla testa e i tramonti interminabili accentuano la natura crepuscolare di questo luogo, un luogo che rischia di venir spazzato via.
Perché hai deciso di suddividere Punta sacra in capitoli?
È una scelta nata alla fine del montaggio. Il film aveva delle scene molto lunghe, quasi autoconclusive, in cui emergevano dei macro-temi. I capitoli erano insiti nella materia stessa. Ci è venuta questa intuizione di “aprirli” con delle immagini dall’alto realizzate dal drone, vedute frammentarie che man mano vanno a costruire un insieme così come le tematiche che si legano tra loro nel corso del film: Mare, Terra, Madre, Padre, Figli, Fede, Festa. Ad accompagnare lo spettatore in questo viaggio sono i protagonisti, cantori della loro stessa vita. Abbiamo voluto sottolineare questo aspetto inserendo come sottotitoli ai capitoli alcune loro frasi che ritenevo essere più significative.
Come hai coniugato nel corso del film la pratica osservativa, lasciando che la comunità raccontasse e si raccontasse davanti alla macchina da presa, con la tua prospettiva?
Non mi ero imposta di rispettare un linguaggio classicamente purista. Questo film per me è una sorta di fiaba in un ambiente aspro e violento. Il mio intento era quello di condividere un punto di vista forte con i personaggi stessi, ed è la cosa più vicina a quello che volevo restituire nel discorso di realtà e verità del luogo. Non adotto una forma iperrealistica, perché non la trovavo interessante per questo mondo: attraverso diversi mezzi di intervento cinematografico, presi in prestito dal cinema narrativo, ho cercato invece di restituire una realtà che rispecchiasse, nonostante fosse potenziata e intensificata, la verità di quel luogo, di quei fatti, la rabbia, la purezza, la magia, l’autoironia di questa comunità, in maniera paradossalmente più onesta, secondo me, di quanto potesse la mimesi osservativa. Ho cercato di alternare distacco e immedesimazione totale.
Le voci del documentario sono prevalentemente di donne e adolescenti. È stata una tua scelta quella di concentrarsi sull’universo femminile?
Quella comunità è fortemente matriarcale, c’è una gestione archetipica, uno stile di vita antico che trovo bellissimo. Quindi da una parte è stata una cosa naturale il fatto che fossero le donne ad avere più a che fare con le questioni politiche, che fossero più attive nella lotta per difendere la propria casa. In prima linea ci sono le donne. Riunioni e riunioni di donne accadono quotidianamente all’Idroscalo. Gli uomini spesso sono fuori a lavoro. Negli adolescenti, infine, ho trovato bellezza e purezza di visione. Le diverse generazioni in Punta sacra dialogano e si confrontano di continuo: il futuro dell’Idroscalo dipende inevitabilmente da queste nuove generazioni. Cosa faranno, si vorranno spostare, vorranno continuare a combattere e rimanere lì?