Ho rubato la marmellata non è un semplice documentario biografico su Remo Remotti. È il racconto appassionato e irriverente del percorso di un uomo che amava la vita e ne assaporava avidamente ogni attimo, con coraggio ed entusiasmo.
Raccontare un uomo che ha vissuto più vite: questo l’obiettivo dichiarato del film Ho rubato la marmellata, presentato prima al Festival Italia Doc del MAXXI e poi su SkyArte il 21 giugno, in occasione del terzo anniversario della scomparsa di Remo Remotti, protagonista della pellicola. «Quando un artista non c’è più ‒ racconta Federica, figlia di Remo e produttrice ‒ non è facile per la sua famiglia continuare a trasmetterne lo spirito. Io ci sto provando. Non ce l’avrei fatta senza il fondamentale contributo dei registi Gioia Magrini e Roberto Meddi. Erano vecchi amici di mio padre, e sono cineasti specializzati in biografie. Sono stati molto attenti a rispettare con professionalità e affetto la figura di Remotti. Avevano a che fare con una tematica delicata e piena di contenuti e hanno capito cosa togliere e cosa aggiungere. Sarebbe stato bello avere materiale più recente, ma questo ostacolo si è trasformato in un grande punto di forza».
Nel film sfilano i ricordi di un personaggio eclettico e sopra le righe, accanto alle testimonianze dello scrittore Michele Serra, del critico d’arte Gianluca Marziani, del drammaturgo e regista Giampiero Solari, dell’attore e regista Massimiliano Bruno, della moglie di Remotti, Luisa Pistoia, e della figlia Federica. «Sono onorata che il mio nome, come produttrice, appaia affianco di quello dell’Istituto Luce, della Regione Lazio e di SkyArte ‒ continua Federica ‒, grazie ai materiali d’archivio dell’Istituto Luce riprende vita l’atmosfera degli avvenimenti vissuti nel corso dell’esperienza professionale e non di mio padre. Ho fatto il possibile per creare, con i registi, un forte nesso nella storia; di raccontare non solo con gli occhi di chi ha conosciuto direttamente Remo Remotti. Il supporto di personaggi del mondo dello spettacolo ci ha aiutato a realizzare un collante sia a livello affettivo che di ricerca».
Nei filmati, Remotti narra della sua infanzia a Roma, durante il Fascismo, fino ad arrivare alla scoperta della pittura, della scultura, dell’arte; della sua esperienza a Berlino, con le rivolte studentesche; del suo mestiere di attore, in teatro e poi al cinema, con registi come Marco Bellocchio, Nanni Moretti, Francis Ford Coppola. «Era affamato di vita, uno spirito libero che non si poneva mai dei limiti. Questo è il messaggio che arriva forte e chiaro anche a chi ha visto il documentario senza sapere chi fosse. Dopo le proiezioni sono stata contattata da moltissimi che, pur non conoscendo Remotti, mi hanno ringraziato. Hanno percepito il desiderio, da parte di mio padre, di stimolare costantemente la mente con energia e curiosità e di sperimentare, sempre. C’è chi mi ha raccontato di aver trovato la determinazione per iscriversi in palestra o il desiderio di comprare un libro… Chi invece lo conosceva da vicino mi ha confessato di aver scoperto, con sorpresa, qualcosa in più».