Incontro Stella per la prima volta alle prese con i cambi d’abito per lo shooting fotografico. Fa molto freddo e indossa un vestito estivo con invidiabile disinvoltura ed eleganza.
Decidiamo di appartarci in un bar per l’intervista. Stella ha una luce negli occhi particolare e un sorriso accogliente e generoso. Le dico che assomiglia a Natalie Portman con qualcosa di Keira Knightley, e nonostante sia un mantra che si è sentita ripetere mille volte per rompere il ghiaccio, arrossisce leggermente. Già mi è simpatica, penso. La conquista definitiva avviene con un piccolo gesto: cioccolata calda invece che la solita triste tazza di tè delle cinque. Una scelta insignificante solo in apparenza, ma che in realtà qualsiasi interlocutore di sesso femminile avrebbe apprezzato.
Stella, 28 anni, siciliana di Messina. Che rapporto hai con la tua terra?
La Sicilia mi è stata vicina fino ai diciotto anni e in un momento delicato della mia vita. Ho un attaccamento molto forte con la mia regione, un po’ meno con Messina. Purtroppo Messina è stata distrutta dal terremoto del 1908 e oggi gode di quel poco che è rimasto, nonostante abbia un litorale nord incantevole. La Sicilia mi accompagna nel lavoro, a cominciare dalla lingua e dal dialetto, ma soprattutto mi nutre con il suo ricchissimo immaginario.
Da Messina all’Accademia Silvio D’Amico di Roma. Raccontaci il primo approccio con la recitazione.
Non sono figlia d’arte, il mio è stato un percorso assolutamente personale. Al liceo ebbi la fortuna di incontrare un insegnante che diventò il mio punto di riferimento. Grazie a lui ho cominciato ad avvicinarmi alla drammaturgia: leggere dei testi e immaginarli prendere vita attraverso un interprete mi emozionava e incuriosiva. Dopo il diploma ho sentito l’urgenza di trasformare la mia passione in un mestiere e così sono partita per la capitale.
La tua è una formazione teatrale: dai grandi classici a molta buona commedia contemporanea. Com’è confrontarsi con linguaggi e stili così diversi? A quale dei due mondi ti senti più vicina?
Ho avuto l’opportunità di spaziare molto nel mio percorso professionale. Penso allo stile quasi aulico de Le ultime sette parole di Caravaggio per la regia di Ruggero Cappuccio, oppure all’adattamento di Edoardo Erba di Un nemico del popolo di Ibsen. Mi piace il mio lavoro perché mi dà la possibilità di aderire sia a linguaggi e personaggi tanto distanti da noi che ad autori contemporanei. Sicuramente confrontarsi con quello che non è immediatamente vicino a noi è una sfida più complessa da affrontare, ma proprio per questo avvincente.
Teatro ma anche molta televisione (Romanzo siciliano di prossima uscita, Questo nostro amore, Squadra Antimafia, Palermo Oggi 3): quali sono le peculiarità del piccolo schermo per un’attrice con la tua formazione?
Stavo finendo l’Accademia quando fui selezionata da un’agenzia e da lì mi sono avvicinata alla TV. Il teatro si basa sul criterio dell’irripetibilità e ha ritmi molto più lenti, mentre la televisione è tutta un’altra cosa. Personalmente adoro i tempi del teatro perché è la mia formazione, la televisione ha un percorso di costruzione diverso ma altrettanto interessante ed è stata una piacevole scoperta.
Tanta gavetta e poi il grande salto al cinema nell’attesissimo nuovo film di Pif: qual è il tuo ruolo in In guerra per amore?
Avevo fatto un provino per il primo film di Pif La mafia uccide solo d’estate, ci tenevo particolarmente e mi ero molto preparata, ma non andò. Solo dopo avrei saputo che quel provino era piaciuto, infatti sono stata ricontattata per le selezioni di In guerra per amore. Qui interpreto una madre siciliana alla fine della seconda guerra mondiale. La cornice è suggestiva: Erice, un paese in mezzo alle nuvole vicino Trapani. Per il resto dovrete aspettare il 27 ottobre.
Siamo tutti curiosi di sapere com’è lavorare con Pif.
Straordinario, Pif è un regista poetico oltre che una persona di grande spessore e intelligenza. Ti sa prendere per mano e portare con leggerezza nel suo mondo.
Che tipo di spettatrice è Stella Egitto? Quale cinema ti piace?
Amo Garrone, Sorrentino e spero di lavorare con Crialese, che ho avuto la possibilità di incontrare recentemente girando uno spot dell’Averna.
Come sai, da più parti si dice che il cinema innovativo oggi si fa con le serie TV o tramite il web: come la pensi a questo proposito, da attrice che conosce bene entrambi i mezzi? La sala per te resta al centro dell’esperienza cinematografica oppure il “mezzo” non fa sostanzialmente differenza?
La sala cinematografica è un luogo sacro, un po’ come il teatro. Detto questo il web è una piattaforma più fruibile e libera che permette di emergere con maggiore facilità, per questo non va stigmatizzata. E poi il web può fungere anche da testimonianza e avere un alto valore etico, come in un progetto di cui sono parte, Voci di resistenza, pensato per i 70 anni dalla Liberazione. I monologhi, filmati al Furio Camillo di Roma, hanno tutti una matrice storica e lo scopo di far riflettere il pubblico.