Rebecca Antonaci, appena ventenne, originaria di Viterbo dove ha studiato cinema in una “scuola comune”, come la definisce lei, ha lo sguardo e la voce della purezza, ma la grinta di una leonessa che ha trovato il modo di uscire dalla gabbia.
Da esordiente è la protagonista assoluta dell’ultimo film di Saverio Costanzo, Finalmente l’alba, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Rebecca, che interpreta Mimosa, si è posta di fronte alla macchina da presa come una pagina bianca: buca lo schermo e lo attraversa per puntare dritta al cuore dello spettatore con un’interpretazione magistrale e un lavoro di mimesi e rispecchiamento degni di un attore navigato, diciamo di un Willem Dafoe, di cui ormai Rebecca è amica. All’attivo ha spettacoli teatrali, piccole parti in serie tv, lo spot Barilla dove ha conosciuto Saverio Costanzo e un album (Morfina) di canzoni interamente scritte e composte da lei. Iniziamo la nostra chiacchierata proprio dalla musica.
Prima di essere un’attrice sei una cantautrice. Le tue canzoni sono delicate, magnetiche. Da dove nasce la passione per la musica?
La musica è arrivata prima del cinema, ho iniziato a studiarla quando ero piccola. Ha sempre fatto parte di me perché mi permette di esprimere me stessa appieno. Quando sono ispirata tiro fuori cose che non avrei mai pensato, perché è l’inconscio a parlare, la musica mi aiuta a entrare in contatto con le parti più nascoste di me. Quando interpreto una parte è diverso, perché sono sempre io ma dentro altri personaggi, anche se la prima regola della recitazione è «conosci te stesso», perché se non conosci te stesso non puoi conoscere il tuo personaggio.
E allora parliamo di cinema, parliamo del tuo debutto come opera prima assoluta con Finalmente l’alba: come sei arrivata, da esordiente, a un film così importante?
È successo grazie a una serie di incontri giusti al momento giusto. Io e Saverio Costanzo ci siamo incontrati sul set dello spot Barilla, anche se in quell’occasione non era stato possibile conoscerci davvero perché era stato tutto molto veloce. Durante le riprese però lui mi aveva osservata e – poi mi ha detto – ha subito pensato a me per il ruolo di Mimosa. Anche nella scrittura della sceneggiatura era me che immaginava, me lo ha confidato solo quando abbiamo finito di girare il film! Comunque niente è stato dato per scontato, ho fatto dieci provini, uno più difficile dell’altro, Saverio mi ha messo alla prova in tutti i modi.
C’è un film che ti ha fatto capire che volevi essere un’attrice? Che tipo di cinema ti piace?
Ci sono diversi registi che mi stanno a cuore, David Lynch, Quentin Tarantino, Edgar Wright, David Cronenberg. Il film che mi ha più toccato è Maps to the Stars, proprio di Cronenberg. Parla dell’ambiente degli attori, soprattutto degli aspetti negativi, dei problemi e delle paranoie che ti possono venire quando fai questo mestiere e l’ho apprezzato perché mi ci sono rivista, anche se sono soltanto all’inizio della carriera. Mi ha aperto la mente su questo mondo, mi ha spronata e mi ha fatto capire quali sono i pericoli in cui non voglio cadere.
Come ti senti quando reciti? Il dolore che sei riuscita a trasmettere nella scena magistrale in cui “interpreti” una poesia, da dove è uscito? Chi riesce a trasmettere un’emozione così forte non può che essere una persona empatica.
In effetti sono una persona estremamente empatica e sensibile, sento tutto con grande intensità, che sia gioia, dolore o solitudine, perciò quando recito sto davvero male. Una volta che entro in un personaggio mi porto dentro il suo dolore per un bel po’ perché entro in contatto con me stessa, coi miei ricordi… Nella scena della poesia è successo proprio così, perché ero talmente dentro al personaggio di Mimosa che non ho neanche dovuto usare la tecnica o ricorrere a memorie personali, mi sono realmente immedesimata. È uscito tutto con naturalezza, senza artifici. E sono davvero molto contenta perché la scena è arrivata al pubblico.
Come è avvenuta questa profonda immedesimazione con Mimosa?
Credo sia stato un connubio fra tecnica e istinto, però con Mimosa ho sentito una connessione fin dalla prima lettura della sceneggiatura e non so perché. In realtà siamo due persone molto diverse, eppure mi sono sentita come se fossi sua madre, ho avuto la sensazione di volerla proteggere, dandole tutto quello che potevo. È un personaggio che ancora mi sento addosso. Mentre giravamo le prime sequenze e mi sono ritrovata con attori come Willem Dafoe, Lily James e Joe Keery, mi dicevo: “Ma stiamo scherzando? Sono in una scena con questi tre, ma che sta succedendo?”. Ero incredula proprio come Mimosa.
Mimosa rappresenta l’innocenza, e in una favola nera la sua purezza spicca ed emerge ancora di più. Ma alla fine trova la leonessa che è in lei. Quella scena sembra proprio un invito a tutti noi, sembra suggerirci di camminare affianco al nostro leone, a non averne più paura.
Sicuramente questo film mi ha fatto crescere come persona e come attrice, è stata un’esperienza assolutamente formativa. La leonessa però la sto affrontando adesso, perché quando ho girato il film ero piccola, avevo solo 17 anni. Dovevo ancora finire la scuola. Era tutto bello, la parte più difficile è arrivata quando è finito il film perché sono tornata al liceo, alla vita normale. Questa esperienza mi ha dato tanto ma mi ha anche tolto tanto e sto imparando solo ora ad accettare tutto, a vivere con serenità e ad affrontare le cose una alla volta. Questo è un mestiere bellissimo, ma è anche pieno di incertezze, non sai mai quando lavorerai… quindi affrontare il leone forse significa affrontare te stesso e il lavoro che hai scelto.
Saverio Costanzo ti ha scelta per la tua autenticità, la caratteristica principale anche del tuo personaggio. Com’è stato lavorare con lui? Cosa ti porti dentro?
L’insegnamento più grande che mi ha dato Saverio è come arrivare all’anima del personaggio. Lui ti toglie ogni schema, ogni forma di overacting, nota tutto, ha una grandissima sensibilità e una grande empatia perché capisce in che situazione sei e ti aiuta a entrare nell’anima del personaggio. Amo moltissimo la sua visione del film e la sua visione delle cose in generale e del mondo femminile, delicata, sensibile. E poi Saverio mi ha regalato un film stupendo: a prescindere dal fatto che c’ero anche io in quel film, lo avrei amato comunque.
Com’è stato recitare con grandi divi di Hollywood? In particolare Willem Dafoe nel film è un po’ la tua guida, quasi una figura paterna. È stato così anche sul set?
Più che una figura paterna Willem è stato un amico. È in grado di capirti subito, ti legge completamente, mi ha fatto sentire a mio agio sul set e anche divertire, fra un ciak e l’altro, con le sue smorfie! È stato molto stimolante lavorare con lui, è un attore con la “a” maiuscola, però ho scoperto che è anche una bellissima persona.
E ora cosa vedi nel tuo futuro? C’è un regista o una regista con cui sogni di lavorare?
Cerco di non avere pretese, mi piace pensarmi come una pagina bianca pronta a essere “scritta” e sono sicura che arriverà il progetto giusto nel momento giusto. Però il mio sogno segreto è poter girare un horror. Io ho una grande paura dei film horror, mi fanno stare male per giorni e quindi vorrei proprio girarne uno dove interpreto la parte del mostro sanguinario, quello che spaventa gli altri… Credo sarebbe l’unico modo per superare questa paura.
Scrivi canzoni. Ma hai mai pensato di scrivere una storia? Magari una storia per il cinema?
Oltre alle canzoni scrivo anche poesie, ma sono cose molto intime quindi le tengo per me. Mi piacerebbe scrivere una sceneggiatura, anche se adesso mi sento ancora acerba, però è una possibilità che tengo aperta. Mi attira l’idea di parlare di solitudine, un po’ come fa Sofia Coppola.
Fotografa Roberta Krasnig: assistente Davide Valente
Stylist: Flavia Liberatori
Hair and Makeup Ilaria di Lauro
Abiti: Meimeij; Federica Tosi; Alysi