A guardarle oggi, le rovine degli studios di Termini Imerese, è difficile immaginare quel che sembravano solo qualche anno fa. Quando cioè la soap opera Agrodolce, nata per lanciare la sicilianità nel mondo, conquistava il piccolo schermo con la sua folta legione di talenti local alla ricerca di “un posto al sole” sul mercato nazionale della fiction. Tramontato il sogno, con la fine della soap e una tormentata vicenda legale ancora in atto, pochi di quei talenti hanno superato l’amarezza per l’opportunità sprecata. Pochi hanno continuato. Pochissimi ce l’hanno fatta. E tra loro c’è Miriam Dalmazio.
Palermitana amata tanto dagli autori (Taviani e Scola) quanto dalla commedia (Checco Zalone), Miriam è oggi è in cerca del ruolo che la faccia sfondare. Magari lontano dalla sua terra, che ha battezzato la sua carriera. Il tradimento è difficile da perdonare, specialmente se di mezzo c’è l’amore.
Come hai cominciato?
Con Agrodolce. Per me quella soap è stata una scuola, il mio primo approccio alla recitazione. ne ho tutto sommato un ricordo positivo, di grande amore. Rinunciai alla seconda serie perché volevo studiare, andare a Roma, a fare il Centro Sperimentale. Pensavo di essere stata egoista: fui solo molto fortunata.
Come hai vissuto il tracollo della soap?
Per fortuna me ne sono andata mentre tutto stava per affondare. Quelle poche cose che ho girato della seconda serie non me le ha mai pagate nessuno, e così è stato per tutti. Fu una grande delusione.
Che ricordi hai dei primi provini?
Terribili. Non è stato un gran bel momento. A vent’anni ero andata via dalla Sicilia, avevo un sogno ambiziosissimo e farcela è stata dura. Venivo da una soap opera e pretendevo di entrare nel mondo snob del cinema: impossibile. Per tutti ero “quella della soap”.
Poi però è arrivato Sole a catinelle.
Proprio mentre stavo progettando un viaggio dall’altra parte del mondo, ecco che mi chiamano per un provino per la moglie operaia di Zalone. Ho fatto un primo incontro con la casting, poi con Checco. Erano ancora indecisi se prendere un’attrice più grande, magari mora e più formosa, e così mi sono giocata tutte le carte a mia disposizione. Sono andata a comprarmi una divisa da operaia e mi sono presentata così al provino. Alla fine Checco mi ha presa e mi ha portata da Valsecchi. E mi ha detto: il ruolo è tuo, stai tranquilla.
Com’è stato lavorare con lui?
È stato un film molto faticoso, perché spesso si recitava su canovaccio, ma anche molto divertente. Zalone è un uomo colto e intelligente, diverso dalla maschera dell’ignorante che indossa quando recita.
Da Zalone a Scola e i fratelli Taviani: un vero carpiato.
I grandi si vedono anche da questo, dal fatto che non gli importa niente del tuo passato. I grandi non sono snob: vogliono solo vederti in scena. I Taviani, per dire, non avevano la minima idea di quel che avevo girato, e il giorno dopo il provino per Maraviglioso Boccaccio già mi avevano scelta.
E Scola? Eri in Che strano chiamarsi Federico…
Là sono stata più fortunata. Dovevo interpretare una cassiera disegnata nelle vignette di Fellini, e il personaggio mi somigliava moltissimo.
Oggi ti senti più inserita nel mondo del cinema?
No, resto un lupo solitario. Non frequento la gente del cinema. Troppo ego, difficile fare una conversazione con chi parla solo di sé. L’unico argomento di conversazione possibile è il lavoro. e il tuo stare bene o male varia in base al tipo di lavoro che fai o non fai.
I tuoi prossimi progetti?
Ho appena finito Che Dio ci aiuti 3, la fiction, e l’anno prossimo sarò in Caffè di Cristiano Bortone, coprodotto da Cina, Italia e Francia. Sarò una ragazza dei centri sociali che perde il lavoro. Pare vogliano stravolgermi fisicamente… sono felicissima.
Torneresti a lavorare in Sicilia?
Ho un rapporto conflittuale con la mia terra. Già a 13 anni mi ci sentivo stretta. E so che oggi, dalle mie parti, si parla male di me. Perché sono “l’attrice”, e chissà che cosa avrei dovuto fare per diventarlo. È inutile spiegare che non ci vuole la raccomandazione, ma semmai il coraggio di lasciare la casa, la mamma e il papà. Torno in Sicilia una volta all’anno per vedere i miei, ma non mi piace. Anche chi dice di essere orgoglioso per me, sotto sotto pensa ai compromessi che sicuramente ho fatto. E attenzione, non vengo dall’entroterra. Ma da Palermo.