Ha una formazione internazionale ma è nata a Napoli ed è profondamente napoletana, come del resto lo sono i due ruoli che l’hanno resa famosa al grande pubblico televisivo: la doppia interpretazione delle gemelle Cirillo in Un posto al sole e, da quest’anno, Patrizia Santoro in Gomorra 2.
Hai fatto un provino per un ruolo minore di Gomorra 1, sei stata scartata ma ti hanno richiamato per uno, tutt’altro che secondario, in Gomorra 2. È la dimostrazione che è meglio la gallina domani?
Non credo valga sempre. Spesso di occasioni ne ho perse, ma non ho mai smesso di provare e riprovare; credo che le opportunità siano sempre a disposizione e magari non sono necessariamente quello che ci aspettavamo dalla vita, ma se impariamo a guardare senza fermarci su quello che abbiamo perso, sapremo sicuramente coglierle.
Com’è ritrovarsi a essere un personaggio di una storia che, fino a qualche mese prima, guardavi in TV?
È stata una botta di felicità allo stato puro! È un po’ come sognare di incontrare Leonardo Di Caprio e poi non solo lo incontri ma lo sposi pure!
Patrizia è un personaggio molto inquadrato, è un soldato, una che ha sacrificato la sua individualità per mettersi al servizio di un capo. Come ti sei preparata per un ruolo del genere e cosa ti ha lasciato?
Ricordi, immaginazione e ricerca. Molto di quello che è Patrizia ha preso la sua forma finale sul set, dove si creavano sinergie con gli altri attori. Reagivo a tutto quello che mi davano: Gomorra è stata un’esperienza attoriale indimenticabile. Ovviamente la guida costante dei vari registi ha orchestrato il tutto, senza di loro Patrizia avrebbe solo metà volto.
Nella prima stagione Imma Savastano era l’unico personaggio femminile, in questa seconda la questione femminile è molto più problematizzata, ci sono più personaggi femminili con sfumature diverse. Cosa pensi dei ruoli femminili, oggi, nel cinema e nelle serie italiane?
Non siamo ancora al passo con altre realtà più avanzate, bisogna scrivere di più per le donne, quello che c’è non basta. Nell’immaginario collettivo il protagonista è sempre un uomo, ma è un errore, bisogna ribaltare al più presto questo stereotipo.
Prima di Gomorra e Un posto al sole c’è stato il teatro, a Londra. Che ricordo hai di quell’esperienza?
La mia formazione è stata fondamentale, mi ha reso molto britannica ed è una cosa di cui vado fiera. Il ricordo più forte è il senso di libertà nello sperimentare, nell’essere veramente libera di trovare autenticità nell’interpretazione, di cercare il mio.
Sei tornata a vivere a Napoli? Che rapporto hai con la tua città? Hai un luogo del cuore?
Amo Napoli in modo viscerale e proprio per questo spesso mi allontano, perché ti inghiotte. È un’amante soffocante dalla quale, però, non puoi fare a meno di tornare, non riesco a starci fissa, anche se per ora il lavoro è concentrato lì. Un luogo che mi sta particolarmente a cuore è il quartiere Sanità, è un mondo da scoprire, che mi ha dato la possibilità di ricominciare a fare teatro in Italia. Tornata a Napoli non sapevo da dove cominciare, ci hanno pensato i ragazzi del Nuovo Teatro Sanità a cui devo molto, sia professionalmente che umanamente.
Quando hai deciso che saresti voluta diventare un’attrice? Quali sono i tuoi modelli di riferimento?
Credo di averlo sempre saputo, ma di averlo capito veramente solo a diciott’anni. Non è stato facile perché ho dovuto rompere ogni schema, anche mentale. In tutta onestà, non sono certa di avere dei riferimenti, ho voglia di raccontare storie a modo mio. Ma un nome su tutti, che ricordo di aver amato da sempre: Geoffrey Rush, è sensazionale, può essere chiunque.
A Napoli la scaramanzia è una cosa seria, non ti chiederò quali saranno i tuoi prossimi progetti, piuttosto: cosa ti piacerebbe fare? Hai un regista con cui ti piacerebbe lavorare?
Faccio questo mestiere perché non mi basta la mia vita e ne vorrei vivere altre milioni. Quello che mi guida sono le storie e i personaggi che le popolano, se la regia è di Garrone o Malick ancora meglio! Ma ancor di più lo sarà quando la regia sarà al femminile.