Romano d’adozione, napoletano nel sangue, nel cuore e (soprattutto) nello spirito, Alessio Lapice racconta una carriera intrapresa quasi per caso e arrivata sui più importanti set italiani, con un obiettivo costante: ricercare nuove sfide. Ma sempre con ironia.
Alessio, 26 anni, originario di Castellammare di Stabia, conquista immediatamente con la sua spontanea loquacità, che dà l’impressione di conoscerlo da sempre. E ci confessa:«Da piccolo non avevo idea che sarei diventato attore, ero uno “scugnizzo” incostante e impulsivo. Nella mia famiglia nessuno fa parte del mondo deI cinema e il mio avvicinamento è stato un crescendo, una goccia che scivola su una parete… (riflette) Wow! Che metafora mi è uscita: mi raccomando, scrivila!».
A proposito, toglimi una curiosità: davvero volevi fare il meccanico?
E questa dove l’hai sentita? Con chi mi è sfuggito? (ride) No, non proprio. Durante l’adolescenza cambiavo passione ogni giorno. Certamente adoro i motori, mi hanno sempre affascinato quegli ingranaggi in movimento… Sarei diventato anche pilota di Formula1!
Come in Veloce come il vento! Non a caso sei il protagonista, accanto ad Alessandro Borghi, del prossimo film di Matteo Rovere…
Veloce come il vento è una bomba! Mi son fatto raccontare da Matteo tutte le peripezie affrontate per girare le scene in auto e, combinazione, ho visto il film appena tre giorni prima di essere contattato per il provino de Il primo re, sua ultima creazione sulla leggenda di Romolo e Remo. Per inciso, è stato il primo provino della mia vita in latino! Anzi, in proto-latino: un linguaggio ancora più arcaico di quello che si impara al liceo! L’incontro con il regista è stato spontaneo e naturale, lui ripone totale fiducia nei suoi attori e questo ispira tranquillità. Ha le idee chiare, è deciso, e questo mi ha stimolato a cercare maggiore libertà nell’interpretazione.
Prima che nei panni di Romolo, però, ti vedremo in Nato a Casal di Principe di Bruno Oliviero.
Si tratta della storia vera di Amedeo Letizia, aspirante attore che, negli anni Ottanta, fa ritorno nella sua città natale perché il fratello minore è misteriosamente scomparso. Il lavoro svolto con Bruno è stato insolito. Mi spiego: di solito, un attore studia e crea un personaggio per poi dargli vita nell’interpretazione. Noi, al contrario, ci siamo concentrati su quello che di me potesse essere utile al ruolo. In breve, Alessio diventava Amedeo e viceversa: sono stati i mesi più belli e più difficili della mia carriera. Ho attraversato momenti di grande confusione e conosciuto me stesso ancora più a fondo. È uno degli aspetti di questo mestiere che amo di più: ogni lavoro su un nuovo ruolo accende nuove sfumature e offre l’occasione di provare sensazioni in crescendo. Per raccontare questa storia servivano dinamiche vicine alla realtà e infatti ho creato un legame molto forte con gli attori di questo film, eravamo una famiglia a tutti gli effetti.
Come cambia il tuo approccio a una storia vera rispetto a una di finzione?
Nel caso di Nato a Casal di Principe è come se una famiglia ti affidasse le chiavi della sua casa. Sono stato attentissimo ai dettagli e al rispetto verso questa vicenda importante. Volevo realizzare qualcosa di solido, rendere giustizia ai fatti. Affrontare una storia vera fa paura, ma è anche uno stimolo in più.
Parlando di fiction, tra le altre, hai recitato in Gomorra 2, ambientata nella tua città.
Una premessa è d’obbligo: senza esagerare, devo il 70% delle mie occasioni lavorative alla mia città. Gomorra è ambientata nei suoi quartieri più difficili e sono stato un grande fan della prima serie. Girare le scene d’azione è stato stupendo, ma ci tengo a precisare che descrive una realtà romanzata di Napoli. È vero, esistono quartieri disagiati che andrebbero alleggeriti dalle difficoltà, ma questo non è compito della TV, che ritaglia uno spaccato e lo trasforma in spettacolo. Io la vivo così, come intrattenimento. Gomorra non ha aumentato le problematiche di Napoli, è una gangster story di ottimo livello e come tale va presa. Dubito che chi la segue voglia approfondire le problematiche sociali di Napoli.
Sei davvero molto legato a Napoli…
La amo follemente e questa voglia di cambiamento che si respira nel cinema italiano mi riempie di fiducia perché desidero continuare a lavorare in Italia. Per quanto riguarda la mia “napoletanità”, chiaramente recitando in latino per Rovere non la percepisco granché. Tuttavia, a livello storico, sento una responsabilità fortissima nei confronti dei romani e dell’Italia. Perché la storia di Romolo e Remo, per assurdo, è quella d’italia… Quindi anche di Napoli!
Vedo che hai studiato!
Altroché! A scuola non ero un secchione, anzi, ma lo sono diventato facendo l’attore. Sono talmente meticoloso che, quando sono su un set, sparisco dalla circolazione: famiglia e amici mi danno per disperso!
Che farai finite le riprese di Il primo re?
Sinceramente? Ho una fame assurda, sto seguendo una dieta ferrea sul set di Rovere e la notte mi capita di sognare la spesa che farò una volta libero dal set.
Scherzi a parte, desideravo tentare la strada della comicità e ne ho avuto la possibilità interpretando il protagonista di Tafanos, horror comedy girata in lingua inglese, diretta da Riccardo Paoletti e prodotta da Sky Cinema. L’approccio a un registro diverso è stato divertente, ma continuo a preferire il dramma, che si tratti di cinema o di fiction. Di fronte alla macchina da presa, quando parte l’azione, penso solo a vivere la scena.
Hai altri progetti, che non riveli per scaramanzia?
Scaramanzia? Ti racconto questa: in uno dei primi articoli in cui si parlava di me, l’autore mi ha citato come Alessio Lapide! Lapide! Mia mamma mi ha telefonato preoccupata: «Facciamoci il segno della croce, mica porterà male?». Ad oggi posso dire di no…
Foto: Roberta Krasnig Stylist: Stefania Sciortino Trucco: Ilaria di Lauro Hair: Adriano Cocciarelli @Harumi Assistenti foto: Luca Caputo e Giulia Terenzi Total look: Diesel Black Gold