A sentire lui non cambia nulla, è solo una questione di impegni e di tempo che inizia a mancare. Ma per uno degli attori più quotati del momento, protagonista dei film di punta dell’anno Non essere cattivo e Suburra, la cosa più importante è il successo del cuore, quello sì che dà alla testa.
Sfatiamo subito un mito: non inizi come stunt-man, ma, praticando da sempre le arti marziali, gli amici ti propongono ad alcuni provini per “guadagnarti la giornata”. Allora, una volta per tutte: come nasce la tua passione per il cinema?
Nasce in realtà per caso, all’uscita da una palestra con quello che ancora oggi è il mio agente: insistette per farmi fare un provino per Distretto di Polizia 6, fui preso e da li è iniziato il percorso che mi ha portato fino a qui.
Se non ti avesse notato sarebbe andata diversamente?
Probabilmente farei il commercialista, pensa che noia!
Dopo tante fiction e corti è arrivata la grande occasione con il cinema. Quante difficoltà si incontrano prima di emergere in Italia?
Tantissime difficoltà ma non, come vuole il luogo comune, per via delle raccomandazioni, piuttosto perché da noi non ci sono progetti interessanti ai quali partecipare. E quando arrivano c’è troppa offerta rispetto alla domanda, a quel punto bisogna sgomitare parecchio oppure essere fortunati e trovarsi al posto giusto al momento giusto.
Gli attori bravi quindi ci sono, ma sono troppi rispetto alle opere buone?
Di attori bravi ce ne sono molti nel nostro paese, la differenza è che ad esempio Francia e Spagna hanno fatto dell’industria cinematografia una parte importante del loro sistema economico. Evidentemente in Italia questo non accade, o meglio sta accadendo finalmente di nuovo grazie al coraggio di tante persone che si buttano in progetti indipendenti, riuscendo a portare a termine dei piccoli miracoli come Non essere cattivo.
Che emozione si prova a far parte di un film che stentava a trovare una produzione e ora forse rappresenterà l’Italia alla notte degli Oscar?
È un pensiero che cerco di rimuovere, è talmente assurdo, una cosa che non ci aspettavamo. Per i due giorni successivi alla notizia nessuno di noi si è parlato. Andremo a Los Angeles per fare la promozione del film, la forza della pellicola all’estero credo possa essere far capire e raccontare cosa c’è stato dietro la sua realizzazione. Si devono innamorare del progetto, se comprendono la determinazione da cui nasce allora ci sarà una grandissima probabilità di arrivare nella cinquina. Se non fosse stato per Valerio Mastandrea noi non saremmo qui a parlare: Valerio è andato fisicamente a bussare alle porte dei produttori per cercare finanziamenti.
E una volta che arriva il successo?
Per ora semplicemente ho meno tempo del solito, per quanto riguarda il successo “materiale” molti più impegni, ma se parliamo di successo interiore, quello che hai nel cuore è la più grande ricompensa che ci può essere per chi vuole fare questo lavoro, perché aver preso parte a film come Non essere cattivo e Suburra vale tutti gli sforzi.
Cosa diresti a un ragazzo che vorrebbe fare l’attore?
Prima di tutto bisogna essere sinceri con se stessi, riuscire a capire se davvero si è in grado di fare questo mestiere oppure no: io sapevo che non avrei potuto fare il calciatore e ho smesso. Per fare l’attore ci si deve semplicemente nutrire di questa arte, togliersi l’idea che si diventi ricchi, è un lavoro che va fatto come una specie di vocazione. Ti pone ogni giorno alla prova con te stesso e ti prepara a ricevere dei no, che sono molti più dei sì nella carriera di un attore, d’altronde come i no che si prendono nella vita.
C’è un personaggio che ti ha entusiasmato a tal punto da farti dire: “Caspita, avrei voluto farlo io”?
Sono innamorato del Theodore interpretato da Joaquin Phoenix in Her di Spike Jonze, un personaggio di quelli che ti costringono a lavorare di fino, e non a caso hanno preso uno degli attori più bravi per farlo. Un ruolo simile sarebbe per me meraviglioso da interpretare perché si allontana moltissimo da quello che ho fatto finora, sarebbe una nuova sfida artistica.
Quando hai preso coscienza di essere divenuto un attore?
Quando Stefano Sollima mi ha chiamato per dirmi che sarei stato io Numero 8 [il suo personaggio in Suburra] dentro di me è scoppiato qualcosa, ho avuto la consapevolezza che questo per me era diventato un mestiere e non un hobby. Una volta che ho intrapreso questo cammino ho deciso che sarebbe stata la mia strada: altrimenti mi sarebbe piaciuto essere un atleta professionista di qualsivoglia sport, perché vedo negli atleti uno spirito di sacrificio e una dedizione che in qualche modo ritrovo nel mio mestiere.
Programmi per il futuro?
Ho lavorato a un film indipendente di un giovane regista del Centro Sperimentale che si chiama Michele Vanucci, non so che percorso farà ma è un altro piccolo miracolo. Per l’anno prossimo ci sono già diverse idee in ballo, bisogna solo avere il tempo di mettersi seduti e capire che strada prendere.