Zuzu, da Cheese a Giorni felici: “oggi sono più libera”

Zuzu Giorni felici
La copertina dell'ultimo lavoro di Zuzu, "Giorni felici", per Coconino Press.

Giulia Spagnulo, in arte Zuzu, è una fumettista profonda e consapevole, capace di dosare narrazione e scelte grafiche per seguire un autonomo percorso di maturazione senza adagiarsi su un unico stile.

A distanza di qualche anno dall’uscita di Cheese, che bilancio puoi fare di quell’esperienza? Non era certo scontato quel grande successo per un’autrice giovane al suo esordio.

Esordire ed essere subito sotto i riflettori mi ha liberato dall’ansia di trovare dei lettori, perché ho già provato la sensazione di avere tante persone che leggono il fumetto: è un’emozione bella, sì, però dura molto poco, non è gratificante quanto credevo, anzi, mi fa sentire responsabile nei confronti del pubblico. Oggi sono più libera di fare le cose solo perché mi va di farle. Ma la cosa più brutta è che non ho vissuto affatto bene quel successo: mi hanno dipinto come “la nuova stella del fumetto”, come se fossi già pronta, senza invece dare l’attenzione giusta a un percorso artistico che poteva migliorare. Io invece vorrei migliorare nel tempo, tra cinque anni fare qualcosa di molto più bello di quello che ho fatto all’inizio. Però adesso ho capito che si fa sempre così, che è un modo che hanno i giornali di parlare delle cose e non mi interessa più neanche tanto.

A livello artistico quanto sei cambiata nel tempo?

Tanto. Sicuramente sono diventata molto più riflessiva, meno incosciente. Cheese è un fumetto nato in modo istintivo, mentre invece per Giorni felici, il secondo libro, c’è stato un ragionamento molto lungo e articolato in tutto, a partire dalla storia, il ritmo, la scelta della tecnica: tutto quello che c’è in quel fumetto è stato una scelta. In Cheese ho fatto delle scelte, sì, ma come una persona che sta correndo e deve capire dove mettere i piedi, non come una che sta costruendo un percorso. Oggi quando penso a una storia sono anche molto più pignola, purtroppo. Forse dovrei imparare a recuperare un po’ di quella sana incoscienza che mi aveva accompagnato. Per quanto riguarda le tecniche io cambio sempre, non mi piace diventare “brava” in qualcosa e poi essere schiava di quella tecnica, di quello stile, di quel tipo di racconto. Non credo che avrò mai un linguaggio fisso, continuerà a essere piuttosto un continuo domandarmi in che modo mi devo vestire: è come essere invitata ogni volta a uno nuovo evento, non aver ben capito qual è il dress code e dover fare ogni volta delle indagini. Però è divertente. I riferimenti sono sempre stati tanti, ma il cinema ultimamente mi influenza tantissimo, sicuramente di più rispetto al passato.

Zuzu

In Giorni felici, oltre alla tecnica nuova, è cambiata molto anche la gestione del racconto, la scansione delle vignette, per esempio.

È stato un percorso nel quale ogni tanto entrava una nuova informazione e quindi dovevo un po’ ricalcolare tutto, finché non ho avuto una solidità tale da iniziare a disegnare. Per quanto riguarda il ritmo, l’influenza di Giorni felici di Beckett è stata la chiave di volta, perché ho capito che a un certo punto del fumetto Claudia, la protagonista, avrebbe dovuto recitare il monologo di Beckett: avevo bisogno che si potesse dedicare davvero molta attenzione alle parole di quel testo e questo mi ha costretto anche a mettere pochissime parole per vignetta, per dargli il giusto peso. Ho dovuto disegnare un fumetto lento, non nella lettura, ma perché fatto di tanti fotogrammi.

Ultimamente stai curando anche “Play Books”, una rubrica di RaiPlay in cui dai consigli di lettura sul fumetto. In questo caso ci sei di persona e sembri molto a tuo agio in video. Non è una cosa scontata, se badiamo allo stereotipo del fumettista che lavora solo e chiuso nel suo studio.

In realtà anch’io avevo questa idea nella mia testa: fare i fumetti motivata soprattutto da quell’idea di vita solitaria dove tu lavori alle tue storie tranquillo e non devi parlare con nessuno. Poi invece ho scoperto che questo è il dieci per cento del lavoro, il resto del tuo tempo lo passi – purtroppo o per fortuna – molto esposto, e questa cosa non è che mi renda sempre felice. “Play Books” mi diverte molto perché consiglio fumetti che amo e che mi piacciono però non parlo di me, non parlo dei miei fumetti, e quella è la parte che mi affatica di più, che mi fa sentire più vulnerabile. E poi grazie a questo programma sono diventata una lettrice più attenta.

A cosa stai lavorando ultimamente?

Sto lavorando a dei progetti per il cinema, che non si sa se vedranno la luce e quando, però mi sto divertendo molto, sto scrivendo e basta ed è un lavoro di squadra, non sono sola. Nel frattempo sto facendo anche un fumettino per me stessa, per affrontare la mia fobia per gli scarafaggi, ma lavorare per il cinema è anche un modo per staccarmi dalle mie solite cose. Vedremo che cosa succederà.

L’ARTICOLO COMPLETO È DISPONIBILE SOLO PER GLI ABBONATI DI FABRIQUE, CLICCA QUI PER ABBONARTI