Simone Angelini e lo scrittore Marco Taddei sono da alcuni anni una firma stabile e riconosciuta della nona arte. Abbiamo chiesto ad Angelini di ricostruire il suo percorso autoriale fra riferimenti, metodi di lavoro e l’indelebile marchio della provincia.
[questionIcon] Qual è il tuo percorso formativo e come ti sei avvicinato al fumetto?
[answerIcon] Sono autodidatta. Ho una maturità scientifica e una laurea in Architettura, ma ho da sempre desiderato fare il fumettista, cominciando da piccolo senza più fermarmi. Ho iniziato a leggere fumetti con Topolino che collezionava mio cugino, in casa mia c’era Tex perché lo leggeva mio padre, Dylan Dog e L’Intrepido erano tra le letture che ci scambiavamo tra amici nell’adolescenza. In seguito la curiosità mi ha portato in tutte le direzioni: dall’underground americano ai manga, dai supereroi Marvel e DC ai lavori di Pazienza, Magnus e tanti altri.
[questionIcon] Come è nata la collaborazione con Marco Taddei?
[answerIcon] A Pescara nel 2009 era nata Carta straccia, una fanzine autoprodotta e a distribuzione gratuita, ideata da me e da un amico illustratore, Fabio di Campli. Avevamo generato un polo magnetico per tutti i carbonari dispersi nella realtà alienante della provincia adriatica. Sulla fanzine realizzavo a cadenza mensile delle storie brevi a fumetti. Un giorno, in una delle riunioni di redazione, non ricordo se in un bar, in un circolo o a casa mia, si presentò Marco. Portò con sé dei racconti brevissimi che mi colpirono molto e pubblicammo subito. Ci eravamo annusati come fanno i cani e ci eravamo piaciuti, quindi provare a far una storia a fumetti insieme fu abbastanza naturale. L’occasione si presentò con la Storia della Candelabra; successivamente intorno a quel fumetto breve ne radunammo altri per dar vita alla versione demo di Storie brevi e senza pietà.
[questionIcon] Avete un preciso metodo di lavoro che riproponete in tutti i progetti insieme oppure ogni libro fa storia a sé?
[answerIcon] Il metodo ce lo siamo costruiti con quasi otto anni di collaborazione. Ogni libro fatto insieme è stato un avvicinarsi tra due mondi, quello del fumettista e quello dello scrittore. Con il passaggio a fumetti di respiro più ampio, come Anubi e Malloy, ci siamo perfezionati dando vita al “metodo del ping pong”. Per prima cosa decidiamo insieme il tipo di partita, le regole, chi avere in squadra e su che campo giocare. In questa fase mi occupo del character design. Poi Marco batte con una sceneggiatura non definitiva, rispondo con la suddivisione in pagine e una prima parte di storyboard, da lì in poi è uno scambio continuo che ci porta ad avere in un annetto il fumetto finito e pronto per la revisione finale. Credo che questo metodo sia fondamentale per unirci in un’unica voce autoriale.
[questionIcon] Il vostro Anubi, vincitore tra l’altro del Premio Boscarato nel 2016, ha rappresentato un felice caso editoriale nel fumetto italiano. Quanto questo successo vi ha dato in termini di consapevolezza e crescita professionale?
[answerIcon] Con Altre storie brevi c’erano già stati ottimi riscontri da parte di amici, giornalisti, lettori, arrivando a vincere il premio Missaglia come esordienti al Treviso Comic Book Festival nel 2014. Lì Anubi era già in pista, nel senso che avevamo trovato un editore in Grrrz Comic Art Book pronto a scommettere su di noi. Anubi venne lanciato come centravanti della casa editrice più sperimentale in quel periodo. Non credo avrebbe avuto lo stesso risalto se fosse uscito per altri editori blasonati, ma con un parco testate più vasto e dispersivo. Da Anubi in poi è stato tutto in discesa e la crescita professionale è una conquista che vedo sotto tre aspetti: riuscire a fare i fumetti che voglio con gli editori che ritengo più adatti per quel preciso progetto; poter vivere di questa passione; riaffacciarmi all’autoproduzione quando ne sento la necessità.
[questionIcon] Anubi, dio sciacallo egizio qui decaduto e relegato in provincia, può avere diversi punti di contatto col vostro ambiente. Quanto c’è di autobiografico nel libro?
[answerIcon] C’è tantissimo del nostro vissuto. Ma ci siamo tenuti alla larga dal renderlo un fumetto autobiografico. La città è la nostra, o meglio, è una città assemblata con stretti vicoli e ampie aperture sul mare di Vasto e la periferia scomposta e industriale di Pescara. Siamo coetanei, con una storia molto simile, e questo ci ha permesso di raccontare un microcosmo adriatico che è universale e familiare a diverse generazioni. Qui tutti lottano ogni giorno con i compromessi di una vita difficile, ma al tempo stesso con la valigia sotto il letto e pronti a cogliere la prima occasione per andare via.
[questionIcon] Con Malloy ‒ Gabelliere spaziale si assiste invece a una maturazione narrativa e (apparentemente) a un cambio di registro, almeno nelle ambientazioni, passando dal microcosmo della provincia alla vastità dello spazio. Come mai questo salto?
[answerIcon] Esatto, dalle stalle alle stelle. Malloy è nato dalla parola “Crack” che Maurizio Ceccato ci aveva sottoposto come spunto per il primo volume dell’antologico B-Comics ‒ Fucilate a strisce. Da quell’onomatopea avremmo dovuto creare una storia a fumetti. Crack, o meglio Craq, divenne un pianeta e tutto intorno nacque il resto. Fino ad arrivare alla recente avventura estesa pubblicata da Panini Comics. Fantascienza a colori, ma vicinissima in realtà al mondo della provincia: non riusciamo proprio a togliercela di dosso… Sul piano visivo mi son divertito molto con i colori, le ambientazioni, la tecnologia retrò e una suddivisione della pagina molto più ritmata e sperimentale rispetto ad Anubi. Con Malloy abbiamo inaugurato un mondo nuovo ancora tutto da esplorare.
[questionIcon] Qualche mese fa l’editore Coconino ha annunciato che tu e Marco siete al lavoro su un nuovo fumetto che dovrebbe uscire entro quest’anno. Cosa puoi anticiparci?
[answerIcon] Sono felicissimo che Ratigher ci abbia voluto nella nuova Coconino che sta forgiando. Ci conosciamo da diversi anni e c’è stima reciproca. Lo vedo come un grande “zio” rivoluzionario, anche se siamo quasi coetanei. Del fumetto dico solo il titolo, 4 Vecchi di merda ‒ Una storia d’orrore e che sarà un lavoro più maturo perché parla di vecchi [ride].