Roberto Recchioni è un autore, sceneggiatore, fumettista e oggi una sorta di produttore che scova altri artisti, gli scava dentro l’anima creativa e tira fuori quanto di più bello possano dire.
Lui forse non se n’è accorto, ma insieme a Leo Ortolani, Gipi e Zerocalcare, è uno dei quattro giganti del fumetto attuale.
Nella sede di Uno Studio in Rosso, il luogo che ha creato insieme ad altri sette sceneggiatori e fumettisti, Roberto ha la sua postazione al centro della sala e, al fianco della sua statuetta di The Dark Knight, a cui chiede spesso consiglio, controlla le sorti dello studio ma anche del futuro del fumetto italiano.
È un cavaliere a sua volta perché sta contribuendo ad arginare l’erosione di cultura in Italia. L’edicola e le librerie hanno vissuto un periodo di crisi profonda. La rivoluzione che sta vivendo il fumetto però sta arrestando questa crisi e la nuova generazione di fumettisti sta costringendo a suon di vendite le librerie ad aprire un reparto comics.
Recchioni è uno degli artefici di questo cambio di rotta. Emblematico quello che è successo da quando è diventato il responsabile editoriale di Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo creato da Tiziano Sclavi. È il secondo fumetto più venduto in Italia, ma nel momento in cui gli è stato chiesto di diventarne il curatore soffriva di una forte emorragia di lettori che andava arrestata.
Roberto: Tiziano ha fatto il mio nome, io ci ho pensato molto perché la mole di lavoro e la responsabilità erano enormi, bisognava prendersi grossi rischi e fare scelte complicate. Ma sapevo di essere la persona giusta, perché non ho nessuno spirito di sopravvivenza. Se mi affidi una sfida rischiosa tendo ad accettarla perché non temo il fallimento, il fallimento ci può stare.
È stato un lavoro molto faticoso in cui Recchioni ha dovuto innanzitutto, il primo anno, gestire e recuperare una serie di storie che erano già in magazzino. Mentre la seconda fase è stata molto ambiziosa, perché la sfida era rilanciare il personaggio agli occhi di lettori affezionati ma sempre in diminuzione. La sua capacità di rimanere fedele pur cambiando tutto è stato il segreto.
R: I suoi primi successori hanno tentato di codificarlo, ma l’hanno fermato nel tempo. Ora, per me Dylan non è un personaggio fermo, tradire Dylan non è dargli un cellulare, semmai mettere il personaggio in una condizione di non azione. Quindi riportare Dylan in uno stato sempre mutevole per me è nel pieno rispetto del personaggio. Il lettore nostalgico, che dire… la nostalgia non si può vincere del tutto.
In realtà la battaglia è stata vinta. Oggi la perdita dei lettori è stata arrestata e la Bonelli sta iniziando ad acquistarne di nuovi.
Tra i segreti anche quello di portare nelle storie la più stretta attualità. Così come Roberto fece da sceneggiatore per l’albo Mater Morbi, uscito nel gennaio 2010 ma scritto nel pieno caso Englaro.
R: Tiziano guardava la realtà e la raccontava attraverso i suoi occhi e la veicolava attraverso Dylan Dog. È quello che ho chiesto di fare a tutti gli sceneggiatori. Non tutti i mesi ci riusciremo, qualche volta ci sarà la storia di alleggerimento, però lo scopo è quello. Scrivere storie che risultino significative, se no è niente.
Recchioni è onnipresente. Lui dice spesso che il fumetto, la letteratura e il cinema sono tre linguaggi ben distinti ma dietro c’è sempre la stessa cosa, scrivere. E lui scrive. Stanno arrivando tre romanzi per la Mondadori, il primo in uscita a ottobre. È in pre-produzione il primo lungometraggio di cui è autore. La sua serie Orfani, di cui sta preparando la quarta stagione oltre alle edizioni deluxe per la Bao Publishing, è pronta per diventare una serie tv. Praticamente ogni mese esce una novità a fumetti con la sua firma, da Battaglia ai prossimi I maestri dell’orrore, o come l’ultima nata The 4 Hoods, la prima serie per ragazzi della Sergio Bonelli Editore.
R: Il bello della scrittura è che la declini e la trovi dietro ogni forma di espressione. Il mio ambito è il fumetto e rimarrò sempre nei fumetti. Poi mi permetto esperienze in altri media, l’importante è pensare che questi linguaggi si parlino. Se domani Orfani diventerà una serie televisiva è perché è stata pensata per avere anche un tipo di sfruttamento in quel senso.
P: Hai la percezione di come il mondo ti osservi?
R: Di solito mi insultano… Mi piacerebbe essere ricordato in una maniera rilevante. Non riesco a pensare ad altro se non che il gesto che faccio deve essere significativo. Deve “riverberare”. Il dinamismo è il cardine del mio stato d’essere. Combattere le critiche è semplice, basta continuare a seppellirle di fatti.
Forse chi guarderà a questo periodo tra decenni si accorgerà che si è trattato di uno dei momenti di svolta nella cultura italiana. Roberto Recchioni ha già segnato il nostro tempo. Ha spazzato via il terrore di vivere in una stagione culturale vuota e lo ha fatto insieme alla generazione degli autori che oggi parla e soprattutto scrive costantemente, ricordando che dietro a quei “pupazzi” ci sono esseri umani.
P: Il tuo primo ricordo legato al fumetto?
R: Molti ricordi, ma uno in particolare riguarda Topolino: quando l’ho visto per la prima volta ho chiesto a mia madre come facevano a farlo e lei mi rispose “con gli stampini”. Ecco, mi sono detto subito, da grande voglio fare gli stampini.