Un segno dinamico, intimamente narrativo, prende forma in immagini che sono una vera e propria esplosione di colori. È il lavoro di Margherita Tramutoli – in arte La Tram – fumettista e illustratrice lucana di stanza a Livorno. Disegni e storie spesso segnati da una profonda consapevolezza politica e una passione per lo studio dei fenomeni sociali che, come ci ha confidato, l’ha portata a laurearsi in Relazioni Internazionali all’Orientale di Napoli, prima di dedicarsi a pieno al disegno. Oggi è inoltre una delle animatrici di Moleste, un collettivo che si occupa di parità di genere nel mondo del fumetto.
Da pochi mesi è in libreria con La prima bomba (Feltrinelli Comics), graphic novel ambientata nella Milano del 1969 e incentrata sui mesi controversi che precedono lo scoppio della bomba di Piazza Fontana, un fumetto che La Tram ha disegnato su storia del giornalista e scrittore Marco Rizzo.
Ne La prima bomba il tuo segno, apparentemente distante dalle atmosfere quasi noir della vicenda, ambientata alla fine degli anni Sessanta, riesce invece a calare perfettamente il lettore nella storia. Com’è nata la collaborazione con Marco Rizzo e come hai lavorato ai disegni, anche a livello di documentazione?
Con Marco ci conosciamo da tempo, e avevamo già lavorato insieme per Beccogiallo, con L’ecologia spiegata ai bambini. Lavorare con lui è sempre molto stimolante: è aperto alle proposte, alle sperimentazioni, ed è scrupoloso nella ricerca della documentazione almeno quanto me. Restare ancorati alla verità storica con la sicurezza delle fonti ci ha fatto propendere per qualche concessione in più in termini di sperimentazione sullo stile grafico.
Da La prima bomba a L’ultima danza dell’anarchia – una storia breve su Pietro Valpreda, da L’ecologia spiegata ai bambini, sempre in coppia con Rizzo, fino a Piezz’ e’ core – la storia che hai scritto per Post Pink. Antologia di fumetto femminista – appare evidente la scelta di lavorare su tematiche profonde. Può essere, questo, un filo conduttore nei tuoi lavori? Quanto incide in questo la tua laurea in Relazioni Internazionali?
Su tutto, anche sulla laurea, incide la mia passione per la “realtà”. La scelta di fare quegli studi e di disegnare certi temi nasce da una necessità di capire le cose che mi succedono intorno e, in qualche modo, di prendere posizione e dare un contributo a una riflessione collettiva su temi che mi stanno a cuore.
In un’intervista di qualche tempo fa, Rita Petruccioli ci ha parlato del diverso approccio che serve per realizzare un’illustrazione, dunque un’immagine unica, e la necessità di far muovere i personaggi in più vignette, che è invece una caratteristica del fumetto. Quali sono nel tuo modo di concepire le tavole a fumetti i contatti e i rimandi al tuo approccio da illustratrice?
Io credo che l’illustrazione semplicemente riassuma in un momento unico un discorso che nel fumetto può dipanarsi in un tempo più lungo. Anche l’illustrazione richiede una regia, una chiarezza nello storytelling, un gusto nella composizione. Penso a Rockwell, che in una sola immagine evocava un intero mondo e una storia che potevi indovinare. Mi riferisco all’illustrazione che racconta, naturalmente, non a quella decorativa, esteticamente gradevole ma inoffensiva emotivamente.
Quali sono invece le letture o i punti di riferimento nelle arti che ritieni abbiano in qualche modo plasmato o influenzato il tuo lavoro?
Molte letture o suggestioni non c’entrano col fumetto. Martin Eden di Jack London, per esempio, o tutta la poetica di Nina Simone mi hanno insegnato l’ineluttabilità di una passione e il rispetto che si deve a sé stessi nel perseguirla con serietà. La letteratura e la cinematografia sudamericana e russa mi hanno aperto una porta sul realismo magico. Molti artisti mi hanno influenzata senza che questo risulti immediatamente evidente nel mio stile, penso a Waterhouse, Ernst, Sargent, Hartigan, Rothko, Matisse, Mucha, De Kooning. Ma anche Lynch, tantissimo, per quel suo coraggio nel descrivere un mondo onirico di cui inevitabilmente, per quanto assurdo, ti senti parte.
Concludiamo con un ulteriore tassello di chiaro impegno nella tua attività professionale. Come è nato il collettivo Moleste e quali obiettivi vi siete poste?
Moleste è nato dall’esigenza, da parte di un iniziale nucleo di fumettiste, di confrontarsi sul tema della parità di genere nel mondo del fumetto. E non perché vi sia “particolare” disparità di trattamento, semplicemente perché come in tutti gli ambiti lavorativi di una società fondata su una cultura reazionaria e patriarcale, anche nel fumetto esistono comportamenti, spesso abusanti, che nella pratica determinano un ambiente tossico dal punto di vista umano e professionale. A volte sono comportamenti inconsapevoli, a volte no. Il nostro scopo è portarli alla luce attraverso testimonianze, progetti di sensibilizzazione nelle scuole, editoriali, progetti grafici, e provare a prendere atto collettivamente del fatto che se è vero che è difficile estirpare comportamenti sedimentati da secoli, è pur vero che forse il mondo del fumetto può essere pronto più di altri a mettersi in discussione e a far sì che qualcosa inizi a cambiare.