Arts Archivi - Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Wed, 23 Oct 2024 14:31:55 +0000 it-IT hourly 1 Mariacarla Norall costruisce mondi fantastici https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/mariacarla-norall-costruisce-mondi-fantastici/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/mariacarla-norall-costruisce-mondi-fantastici/#respond Mon, 27 May 2024 09:34:36 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19145 Regista, sceneggiatrice e scenografa di animazione di origine italo-inglese, Mariacarla Norall inizia la sua carriera studiando architettura a Manchester per poi trasferirsi a Napoli e lavorare alla MAD Entertainment, la factory creativa e produttiva fondata a Napoli nel 2010 e amministrata da Luciano Stella, Maria Carolina Terzi, Carlo Stella e Lorenza Stella. Alla MAD, insieme a un team fluido e […]

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Regista, sceneggiatrice e scenografa di animazione di origine italo-inglese, Mariacarla Norall inizia la sua carriera studiando architettura a Manchester per poi trasferirsi a Napoli e lavorare alla MAD Entertainment, la factory creativa e produttiva fondata a Napoli nel 2010 e amministrata da Luciano Stella, Maria Carolina Terzi, Carlo Stella e Lorenza Stella. Alla MAD, insieme a un team fluido e affiatato, lavora per vari reparti ai film Gatta Cenerentola, Yaya e Lennie – The walking Liberty e alla serie animata Food Wizards disponibile su Netflix Italia.

Mariacarla Norall diventa una costruttrice di mondi fantastici e con il suo talento si affianca a una nuova generazione di giovani donne che si stanno facendo strada nel mondo dell’animazione 2D e 3D. Il suo primo corto animato Lizzie and the Sea, prodotto da MAD e presentato nella sezione International Showcase al Cartoons on the Bay 2023, ne mostra tutta la capacità narrativa: gli sforzi che la piccola Lizzie compie per affrontare la paura del mare sono accompagnati da un lavoro compositivo pieno di grazia che fa presagire un brillante futuro.

Come sei arrivata all’animazione?

Ho studiato architettura all’università di Manchester ed è stato un percorso di laurea bellissimo. Purtroppo, ero meno interessata alle leggi della fisica e alle restrizioni delle normative di legge… insomma, a tutto ciò che rende reale e fruibile un progetto. Eppure, per come la vedo io, tutto ciò che mi ha entusiasmato della laurea in architettura, lo ritrovo nel mestiere che faccio oggi. Per me il mondo del cinema e dell’animazione, in particolare della scenografia, è un rifugio nel quale posso e devo vivere come se la mia fantasia fosse realtà. Certo, ci sono restrizioni anche qui – perché anche l’immaginario più incredibile ha bisogno di una logica per poter apparire credibile agli spettatori – ma alla fine dei conti passo le mie giornate a creare luoghi e situazioni che… in realtà non esistono! Mi piace dire che faccio l’architetto delle cose inventate.

Al centro del tuo corto di esordio, Lizzie and the Sea, c’è il tema della paura e di come rischia di bloccarci, mentre è appena l’inizio di un’incredibile avventura trasformativa.

La paura è un sentimento che conosciamo tutti. Anche se a volte ci aiuta a proteggerci dal dolore, spesso non fa che alzare un muro tra le abitudini che ci sono familiari e le nuove entusiasmanti esperienze di cui potremmo godere se solo avessimo il coraggio di affacciarci all’ignoto. L’ironia della sorte vuole che Lizzie, impaurita dell’acqua, abiti proprio in riva al mare. La sua fobia le impedisce di godersi i piccoli grandi momenti di gioia come il bagno a mare o schizzarsi in acqua con il fratello. Per affrontare la paura, suo malgrado, Lizzie deve tuffarsi letteralmente nell’ignoto, che si rivela meno terribile di quanto pensava.

“Lizzie and the Sea”.

La produzione è di Mad Entertainment: mi racconti del rapporto che hai con loro e del lavoro che hai svolto nel corso del tempo da Gatta Cenerentola fino a Lizzie and the sea?

Sono con MAD ormai da otto anni. Dopo la laurea ho lavorato in uno studio di render architettonici a Londra, ma ero alla ricerca di lavori in ambito cinematografico, pur non avendo ancora nessuna esperienza nel settore. Un amico di Napoli mi suggerì di fare domanda alla MAD, che in quel momento cercava una segretaria di produzione per il film Gatta Cenerentola. Non era il ruolo artistico a cui ambivo, ma pensai che potesse essere un buon modo per affacciarmi al mondo dell’animazione, quindi nel giro di pochissimo lasciai lavoro e casa a Londra, subaffittando la mia stanza e pensando di fare un’esperienza lavorativa a Napoli di solo pochi mesi. Otto anni dopo eccomi ancora qui! A poco a poco sono passata dalla produzione al concept e set design e infine alla regia. Con gli amici scherzo sul fatto che sono l’unica persona che ha lasciato l’Inghilterra per trovare lavoro a Napoli! Alla MAD mi sono state concesse delle libertà che non avrei trovato altrove, come sperimentare ciò che mi incuriosiva ma che non faceva parte del mio ruolo, per esempio concept art, post produzione e sceneggiatura. Così ho potuto imparare sotto l’ala dei miei colleghi, in particolare del regista Alessandro Rak che ha scelto di includermi nella squadra artistica e delle scenografe, sempre generose nel condividere con me il loro sapere.

A livello tecnico quali programmi o tecniche (digitali o meno) preferisci usare in questo momento?

Il primo passaggio di qualsiasi idea per me avviene sempre a mano, anche in forma di un incomprensibile sketch a penna bic. In un secondo momento mi aiuto a visualizzare gli spazi creando un’immagine di pittura/collage digitale in Photoshop. Oppure creando delle forme in 3D, con Blender, un software open source. Tendo però a preferire il mondo visivo dell’animazione in 2D, motivo per cui per Lizzie and the Sea siamo stati attenti a creare personaggi, set e metodi di render che potessero avere come effetto finale un risultato apparentemente in 2D.

Quali personalità del cinema tradizionale e d’animazione ti ispirano?

Apprezzo moltissimo il lavoro di Cartoon Saloon, lo studio di animazione irlandese che ha creato film come Wolfwalkers e Song of the Sea. Quest’ultimo, diretto da Tom Moore, è stato di grande ispirazione visiva per Lizzie and the Sea. Adoro sia la sua scelta di raccontare storie legate alla mitologia del luogo in cui abita, sia l’impasto visivo di colori e texture che rende corposo e fiabesco ogni frame del film. Sono poi una grande fan di Wes Anderson, in particolare del suo modo di inscenare film live action come se fossero rappresentazioni teatrali: ho sempre pensato che sarebbe divertentissimo lavorare alle scenografie per un suo film. Adoro anche il suo modo di sottolineare e valorizzare gli aspetti più strampalati dei personaggi, è un’ode all’eccentricità che rende ognuno di noi unico e umano.

C’è un aneddoto emblematico che ha segnato il tuo percorso?

Un aneddoto che mi sta molto a cuore risale a quando vincemmo il premio per i Migliori Effetti Speciali ai David di Donatello per Gatta Cenerentola. Registi e produttori del film erano nel pubblico per seguire la premiazione, mentre il nostro team artistico aveva deciso di incontrarsi quella sera e aprire lo studio in via del tutto eccezionale, per guardare tutti insieme la trasmissione. Ordinammo delle pizze e scrivemmo un messaggio a uno dei quattro registi – Marino Guarnieri – con una lunga lista dei nostri nomi per chiedergli di leggerli sul palco se avessimo vinto. Un gesto che, col senno di poi, sfidava ogni regola della scaramanzia, ma che si rivelò di buon auspicio perché poco dopo venne annunciata proprio la nostra vittoria. L’emozione e l’adrenalina nel ricevere quel premio raggiunse il suo apice quando Marino sfilò dalla tasca il cellulare e, in prima visione, ci elencò uno a uno come promesso.

Mariacarla Norall
Mariacarla Norall.

Hai partecipato a molti festival, come Giffoni e Cartoons on the Bay. Com’è interagire con il pubblico?

Non immaginavo che partecipare ai festival mi sarebbe piaciuto così tanto! Ogni volta che si conclude un festival torno a casa con un’energia rinnovata. Il Giffoni, in particolare, è un’esperienza che non mi scorderò di certo. In inglese usano l’espressione to dive in at the deep end, che letteralmente vuol dire “tuffarsi dove non si tocca”, ovvero trovarsi in una situazione completamente nuova senza nessuna preparazione, e per me il Giffoni è stato così! Alla mia prima proiezione sono entrata in un tendone pieno di migliaia di bambini, con un livello di decibel inimmaginabile, e mi chiedevo come avrebbero fatto a seguire i corti. Ma li avevo sottovalutati: al termine si è formata una lunga fila di bimbi con le domande più disparate, alle quali gli altri registi e io ci siamo divertiti moltissimo a rispondere. Negli ultimi festival è stato indubbiamente incoraggiante ricevere complimenti e approvazione da altri professionisti del settore, ma nulla mi ha entusiasmata tanto quanto vedere interesse e curiosità nei volti dei bambini che hanno visto il mio corto.

A cosa stai lavorando in questo momento e a quale target pensi di rivolgerti nei tuoi prossimi progetti?

Ho tante idee che mi frullano in testa per nuovi corto/mediometraggi, anche se credo che a questo giro il target non saranno i bambini (per loro ho in mente un libro illustrato di racconti, ho già delle bozze). Mi sento molto ispirata da ciò che mi circonda: abitare a Napoli, e più specificamente nel mio quartiere, è come avere dei biglietti in prima fila a teatro. Gli spettacoli sono quasi quotidiani, basta affacciarsi al balcone per vedere inscenate commedie, drammi e, purtroppo, anche tragedie. Ma anche la mia personale storia familiare è fonte di grande ispirazione. Crescere a cavallo di due culture, figlia di due famiglie che competono tra loro per ricchezza di aneddoti strampalati e fuori dal comune, è una ricchezza che un giorno mi piacerebbe poter raccontare attraverso il cinema. Nel frattempo sto lavorando ai concept e al set design del lungometraggio Sono ancora vivo prodotto da MAD e diretto da Roberto Saviano, presentato al Cartoon Movie 2023. In questi giorni il mio pane quotidiano sono le planimetrie, per cui si può dire che la mia laurea in architettura è tornata pienamente a dare i suoi frutti e, come mi auguravo, sono diventata architetto delle cose inventate.

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VAGA, l’amore tossico e la musica che salva https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/vaga-lamore-tossico-e-la-musica-che-salva/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/vaga-lamore-tossico-e-la-musica-che-salva/#respond Mon, 06 May 2024 09:32:10 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19107 Con Dog, il suo ultimo fumetto, ha scelto di raccontare la storia di una relazione tossica, fatta di violenza ma anche di straordinaria poesia nei rapporti fra i personaggi, nelle ambientazioni e nelle scelte grafiche. Valentina Galluccio, in arte VAGA, ha studiato danza per anni. Poi ha ripreso in mano matite e colori. Come è […]

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Con Dog, il suo ultimo fumetto, ha scelto di raccontare la storia di una relazione tossica, fatta di violenza ma anche di straordinaria poesia nei rapporti fra i personaggi, nelle ambientazioni e nelle scelte grafiche. Valentina Galluccio, in arte VAGA, ha studiato danza per anni. Poi ha ripreso in mano matite e colori.

Come è nata l’idea narrativa per Dog (pubblicato da Edizioni BD) e come hai sviluppato il libro dal punto di vista grafico?

All’inizio avevo immaginato Dog come un cortometraggio animato: ho girato anche alcune scene a Napoli con due ballerine, poi avrei ricalcato i loro movimenti utilizzando la tecnica del rotoscoping. Ma, mentre disegnavo i primi frame, mi sono resa conto che l’animazione non era il mezzo adatto per raccontare la mia idea, che la via giusta era il fumetto. Dog è una storia autobiografica e sintetizzare circa sei anni di relazione in 135 pagine non è stato semplice. In principio cercavo di omettere alcuni particolari, forse perché mi sembravano troppo crudi. Mi faceva male ricordare molte cose, ho cercato anche di eliminare alcune scene per proteggermi dal fatto che qualcuno avrebbe saputo quelli che fino a quel momento erano i miei segreti.  Alla fine mi sono lasciata andare, ho riscritto la maggior parte dei dialoghi in una notte, senza pensare troppo a quale avrebbe potuto essere il riscontro dei lettori. Ed è stato liberatorio.

Nel fumetto sono presenti molti rimandi alla musica: penso per esempio alla bellissima sequenza della metropolitana accompagnata dai versi di Caños dei Verdena. Che rapporto hai con la musica e quanto ha influito sulla composizione del libro?

La musica è fondamentale per la mia sopravvivenza, mi “serve” per lavorare ma anche per stare in questa città senza impazzire. Prima Napoli era piena di locali in cui si poteva ascoltare musica live e le mie serate si svolgevano principalmente in questi posti. A quanto pare oggi la musica live non è più così interessante, molti locali hanno chiuso, quindi non mi resta che spendere tutti i miei soldi per comprare biglietti di concerti. Mentre disegnavo le tavole ho rispolverato gli album che ascoltavo durante gli anni in cui si sono svolti i fatti: Verdena, Subsonica, CCCP, Prozac+, Placebo, Crystal Castles, Nirvana (Dog ha la giacca di Kurt Cobain), TARM, Korn, Prodigy e tanta altra roba. È stato un processo naturale e credo mi abbia aiutata a recuperare parti di storia che avevo rimosso, un “amarcord” abbastanza violento che però è stato necessario per ritrovare le sensazioni che provavo mentre vivevo quei momenti.  Oltre la musica, mi piace molto il cinema e spesso dopo un bel film mi viene voglia di disegnare. Quando ho disegnato Dog ho rivisto L’odio (mio film preferito di sempre e per sempre), tipo per la quarantesima volta, e credo che questo abbia influenzato non poco il modo lo stile narrativo e grafico del fumetto.

VAGA DogSempre a proposito di musica, ricordo di aver conosciuto il tuo lavoro qualche anno fa grazie al video animato di L’unica oltre l’amore di Giovanni Truppi. Come è stato lavorare a quel progetto e, più in generale, cosa rappresenta per te l’animazione nel tuo percorso espressivo?

Lavorare al videoclip di Giovanni Truppi è stato bello ma anche molto faticoso. Sono fan di Truppi da sempre e quando mi ha chiesto di realizzare il video per me è stata un’emozione fortissima. È stato girato quasi interamente in piano sequenza e, successivamente, lavorato frame per frame in rotoscoping: L’unica oltre l’amore è composto da oltre 5000 tavole. Il difficile è stato non diventare matta, considerando che oltre gli storyboard, il girato e i disegni, avrei poi dovuto montare tutte le scene, rispettando i tempi di consegna che mi erano stati dati dalla Universal. Comunque l’animazione è uno dei media in cui mi sento più libera di sperimentare. Mi piace anche il fatto che mi ricorda la danza, o almeno io ho utilizzato spesso i movimenti del mio corpo per realizzare corti e videoclip.  Cambio spesso tecnica, passando appunto dal ricalco all’animazione classica e alla motion graphic con After Effects, onestamente anche in maniera molto “ignorante” visto che non ho mai studiato animazione. E quando disegno su carta, immagino i movimenti dei personaggi come se fossero animazioni o movimenti di danza contemporanea.

Ci sono state particolari letture, film o opere d’arte più in generale che ti hanno avvicinato al mestiere dell’illustrazione e del fumetto? Hai scritto che per un periodo, studiando danza, ti eri allontanata dal disegno.

Da piccola sognavo di fare fumetti, disegnavo moltissimo, a casa, in classe, in spogliatoio prima delle lezioni, a teatro prima di andare in scena. Da ragazzina, per via del mio pessimo rapporto con la scuola, spesso trascorrevo le mattinate a guardare MTV. In quegli anni girava il video dei TARM Occhi bassi: ricordo che il modo in cui erano fatti i disegni, le animazioni e i colori, mi faceva venire voglia di disegnare, come i videoclip dei Linkin Park Breaking the Habit e dei Subsonica Vita d’altri. Poi c’erano gli anime – Death Note, Ranma 1/2, Neo Genesis Evangelion, Paradise Kiss e Nana – che adoravo e ricordo di aver consumato il dvd di Ghost in the Shell insieme a mio fratello.  Mi piaceva immaginarmi disegnatrice, ma la danza ha iniziato ad assorbire sempre di più le mie energie, specialmente quando la prospettiva di lavorare in quel mondo si faceva via via più realistica. Danzavo più di dieci ore al giorno e in quel periodo disegnavo rarissimamente. Mi sono riavvicinata al disegno grazie alla Scuola Italiana di Comix, dove ho studiato illustrazione per tre anni: mi sono iscritta dopo un lungo periodo non semplice. Avevo subito un infortunio grave e i medici mi avevano detto che non avrei più potuto danzare come professionista. Da un lato è stato un sollievo, quel mondo iniziava a starmi stretto, forse non era la professione giusta per me, anche se mi manca molto e avrei voluto continuare senza l’ansia di farlo diventare il mio mestiere a qualunque costo. D’altra parte, invece, vedere anni di sacrifici sfumare in un secondo è stato tosto. Fortunatamente avevo la passione del disegno, in quel momento mi sembrava l’unica via d’uscita.

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Eliana Albertini, atmosfera di provincia e comicità https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/eliana-albertini-atmosfera-di-provincia-e-comicita/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/eliana-albertini-atmosfera-di-provincia-e-comicita/#respond Wed, 10 Jan 2024 14:37:21 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18894 La vita e le atmosfere di provincia, il Delta del Po, la pianura e i suoi silenzi, ma anche – con La vita della mia ex per come la immagino io, l’ultimo fumetto disegnato su sceneggiatura di Gero Arnone e pubblicato da Minimum Fax – una inaspettata capacità comica. Sono gli ingredienti dei fumetti e […]

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La vita e le atmosfere di provincia, il Delta del Po, la pianura e i suoi silenzi, ma anche – con La vita della mia ex per come la immagino io, l’ultimo fumetto disegnato su sceneggiatura di Gero Arnone e pubblicato da Minimum Fax – una inaspettata capacità comica. Sono gli ingredienti dei fumetti e delle illustrazioni di Eliana Albertini, un’autrice che nel giro di pochi anni si è costruita un segno personale e maturo, sperimentando con i generi e le possibilità della “nona arte”.

Mi colpisce come nei tuoi fumetti – da Malibu (BeccoGiallo, 2019)  a Anche le cose hanno bisogno (Rizzoli Lizard, 2022) – ci sia, esplicito o più in sottotraccia, un grande spazio dato al microcosmo della provincia fatto di grandi pianure, esperienze di crescita, ma anche violenza, diffidenza se non esplicito razzismo. Questa presenza dipende solo dal fatto che è un ambiente che conosci bene o ha anche un valore narrativo in senso più ampio?
È principalmente un ambiente che conosco bene e che ho usato come base per capire su cosa fondare i miei fumetti. Infatti hanno cominciato davvero a piacermi proprio quando ho iniziato a pensarli attingendo dal mio personale background provinciale. All’epoca ancora non si erano diffuse le storie che parlano di provincia e sinceramente non mi sembrava per niente una figata raccontarla. L’Accademia mi è servita anche per capirne il valore narrativo: non so se ci sarei arrivata da sola o almeno non so se ci sarei arrivata in così poco tempo, considerando che partivo quasi da zero. Realizzare quei fumetti (soprattutto Malibu, il primo) per me è stato davvero necessario per mettere insieme tutto: la vita, il fumetto, la scrittura, le storie che mi interessavano e in cui riuscivo a riconoscermi.

Hai detto che lo spunto per Anche le cose hanno bisogno è nato dalle lunghe passeggiate durante il lockdown.
In quel periodo, come tutti credo, cercavo di far passare le giornate e fra le poche cose consentite per fortuna c’erano le passeggiate. Stavo nel mio paesino di origine per cui era abbastanza facile sforare i 200 metri concessi dalla legge: da questo gravissimo reato come prima cosa è nato passeggiatine, un librino autoprodotto che raccoglie foto e pensieri proprio di quelle specifiche passeggiate. Nel frattempo stavo leggendo Underworld di DeLillo e riflettendo sull’idea per un nuovo libro. Anche le cose hanno bisogno quindi è nato da una lunga operazione: le passeggiate, le cose che raccoglievo da terra durante queste passeggiate e il tema ricorrente dell’immondizia che fa da sottotraccia in Underworld. Da tutto questo ho voluto togliere solo il lockdown.

Eliana AlbertiniAnche nei tuoi dipinti mi pare che emerga l’attenzione alla provincia, agli oggetti e a una sorta di silenzio e di vuoto nel quale quasi manca la presenza umana. In certe composizioni, così come in alcune tavole dei fumetti, emergono forse le atmosfere di due grandi osservatori della pianura come Luigi Ghirri o Gianni Celati. È così? Quali sono i tuoi riferimenti visivi e narrativi?

Sicuramente sono stati e sono due punti di riferimento. Quando li ho scoperti ho capito per la prima volta quanto si potesse entrare dentro il lavoro di un’altra persona. Mi attira tutto ciò che parla di silenzio, incomunicabilità, interstizi, infatti da più giovane mi piacevano molto le opere di Edward Hopper, David Hockney, Stephen Shore e in seguito mi sono buttata nella letteratura americana (DeLillo, Roth, Franzen). Anche loro rappresentano in un qualche modo il silenzio, ma Ghirri e Celati ne mettono in scena uno che mi fa dire “lì c’ero anche io”.

Con la storia breve La salamandra hai partecipato alla raccolta A.M.A.R.E. per Canicola. Di recente è uscito anche il libro autoprodotto Povere Puttane Vol.3. Come vivi questa esperienza di condivisione editoriale? È uno stimolo per te collaborare con autrici vicine per sensibilità?
È stato fondamentale per me anche per uscire da quel silenzio in cui spesso mi sono ritrovata, per caso o per scelta. La collaborazione e la condivisione non rappresenta per me la condizione naturale per produrre, per cui mi sono sempre cercata degli spazi in cui farlo senza sentirmi oppressa. La prima esperienza è stata “Blanca”, nel 2014, un collettivo che ho fondato con Martina Tonello, Irene Coletto e Noemi Vola, e credo sia stato un buon modo per imparare a muovermi in questo settore insieme a una squadra. Ho capito che se non c’è gioco non mi piace, se assomiglia troppo a un lavoro tendo a perdere interesse. A.M.A.R.E. invece mi ha dato la possibilità di sperimentare un tipo di storia che fino a quel momento non avevo mai provato, e le Povere Puttane (Martina Sarritzu e Giulia Cellino) a usare gli esperimenti di vita per farne delle storie.

In La vita della mia ex per come la immagino io c’è un vero cambio di registro, visto che nel libro entra e con un ruolo centrale l’elemento della comicità. Inoltre hai disegnato su sceneggiatura non tua ma di Gero Arnone. Come è nato il progetto e cosa ha significato per te?
Il progetto è nato in casa Minimum Fax che ha in primo luogo incaricato Gero di scrivere un libro a fumetti (prima esperienza anche per lui). Mi è stato proposto di prendere parte al progetto successivamente: all’inizio non mi era ancora ben chiaro di cosa si trattasse, ma solo per il fatto che sarebbe stato un libro comico in cui avrei avuto spazio di manovra ho accettato. È un registro narrativo che mi piace moltissimo e mai sarei riuscita a farlo da sola, in più ero già fan della comicità di Gero. Non avevamo davvero idea di cosa potesse realmente uscire fuori, ma di sicuro non pensavamo a niente meglio di così. Dal mio punto di vista è stato divertente e stimolante, cosa che mai avrei pensato del lavorare con uno sceneggiatore. Mi piace fare cose diverse e questo libro è diverso in ogni pagina: è un concentrato di situazioni al limite che si disinnescano poco prima di esplodere, fino all’esplosione finale. Per questo motivo pensavamo potesse suscitare qualche polemica, e invece è stato accolto piuttosto bene, al punto da andare in ristampa dopo poco tempo.

Cosa puoi dirci dei tuoi progetti in corso?
Proprio per il fatto che non amo ripetermi ora sto provando a cimentarmi in qualcosa di nuovo: un libro illustrato, di quelli che in terza media pensavo di voler disegnare per tutta la vita. Ci provo ora dopo dieci anni di soli fumetti!

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Zuzu, da Cheese a Giorni felici: “oggi sono più libera” https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/zuzu-da-cheese-a-giorni-felici-oggi-sono-piu-libera/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/zuzu-da-cheese-a-giorni-felici-oggi-sono-piu-libera/#respond Mon, 09 Oct 2023 12:50:35 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18754 Giulia Spagnulo, in arte Zuzu, è una fumettista profonda e consapevole, capace di dosare narrazione e scelte grafiche per seguire un autonomo percorso di maturazione senza adagiarsi su un unico stile. A distanza di qualche anno dall’uscita di Cheese, che bilancio puoi fare di quell’esperienza? Non era certo scontato quel grande successo per un’autrice giovane […]

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Giulia Spagnulo, in arte Zuzu, è una fumettista profonda e consapevole, capace di dosare narrazione e scelte grafiche per seguire un autonomo percorso di maturazione senza adagiarsi su un unico stile.

A distanza di qualche anno dall’uscita di Cheese, che bilancio puoi fare di quell’esperienza? Non era certo scontato quel grande successo per un’autrice giovane al suo esordio.

Esordire ed essere subito sotto i riflettori mi ha liberato dall’ansia di trovare dei lettori, perché ho già provato la sensazione di avere tante persone che leggono il fumetto: è un’emozione bella, sì, però dura molto poco, non è gratificante quanto credevo, anzi, mi fa sentire responsabile nei confronti del pubblico. Oggi sono più libera di fare le cose solo perché mi va di farle. Ma la cosa più brutta è che non ho vissuto affatto bene quel successo: mi hanno dipinto come “la nuova stella del fumetto”, come se fossi già pronta, senza invece dare l’attenzione giusta a un percorso artistico che poteva migliorare. Io invece vorrei migliorare nel tempo, tra cinque anni fare qualcosa di molto più bello di quello che ho fatto all’inizio. Però adesso ho capito che si fa sempre così, che è un modo che hanno i giornali di parlare delle cose e non mi interessa più neanche tanto.

A livello artistico quanto sei cambiata nel tempo?

Tanto. Sicuramente sono diventata molto più riflessiva, meno incosciente. Cheese è un fumetto nato in modo istintivo, mentre invece per Giorni felici, il secondo libro, c’è stato un ragionamento molto lungo e articolato in tutto, a partire dalla storia, il ritmo, la scelta della tecnica: tutto quello che c’è in quel fumetto è stato una scelta. In Cheese ho fatto delle scelte, sì, ma come una persona che sta correndo e deve capire dove mettere i piedi, non come una che sta costruendo un percorso. Oggi quando penso a una storia sono anche molto più pignola, purtroppo. Forse dovrei imparare a recuperare un po’ di quella sana incoscienza che mi aveva accompagnato. Per quanto riguarda le tecniche io cambio sempre, non mi piace diventare “brava” in qualcosa e poi essere schiava di quella tecnica, di quello stile, di quel tipo di racconto. Non credo che avrò mai un linguaggio fisso, continuerà a essere piuttosto un continuo domandarmi in che modo mi devo vestire: è come essere invitata ogni volta a uno nuovo evento, non aver ben capito qual è il dress code e dover fare ogni volta delle indagini. Però è divertente. I riferimenti sono sempre stati tanti, ma il cinema ultimamente mi influenza tantissimo, sicuramente di più rispetto al passato.

Zuzu

In Giorni felici, oltre alla tecnica nuova, è cambiata molto anche la gestione del racconto, la scansione delle vignette, per esempio.

È stato un percorso nel quale ogni tanto entrava una nuova informazione e quindi dovevo un po’ ricalcolare tutto, finché non ho avuto una solidità tale da iniziare a disegnare. Per quanto riguarda il ritmo, l’influenza di Giorni felici di Beckett è stata la chiave di volta, perché ho capito che a un certo punto del fumetto Claudia, la protagonista, avrebbe dovuto recitare il monologo di Beckett: avevo bisogno che si potesse dedicare davvero molta attenzione alle parole di quel testo e questo mi ha costretto anche a mettere pochissime parole per vignetta, per dargli il giusto peso. Ho dovuto disegnare un fumetto lento, non nella lettura, ma perché fatto di tanti fotogrammi.

Ultimamente stai curando anche “Play Books”, una rubrica di RaiPlay in cui dai consigli di lettura sul fumetto. In questo caso ci sei di persona e sembri molto a tuo agio in video. Non è una cosa scontata, se badiamo allo stereotipo del fumettista che lavora solo e chiuso nel suo studio.

In realtà anch’io avevo questa idea nella mia testa: fare i fumetti motivata soprattutto da quell’idea di vita solitaria dove tu lavori alle tue storie tranquillo e non devi parlare con nessuno. Poi invece ho scoperto che questo è il dieci per cento del lavoro, il resto del tuo tempo lo passi – purtroppo o per fortuna – molto esposto, e questa cosa non è che mi renda sempre felice. “Play Books” mi diverte molto perché consiglio fumetti che amo e che mi piacciono però non parlo di me, non parlo dei miei fumetti, e quella è la parte che mi affatica di più, che mi fa sentire più vulnerabile. E poi grazie a questo programma sono diventata una lettrice più attenta.

A cosa stai lavorando ultimamente?

Sto lavorando a dei progetti per il cinema, che non si sa se vedranno la luce e quando, però mi sto divertendo molto, sto scrivendo e basta ed è un lavoro di squadra, non sono sola. Nel frattempo sto facendo anche un fumettino per me stessa, per affrontare la mia fobia per gli scarafaggi, ma lavorare per il cinema è anche un modo per staccarmi dalle mie solite cose. Vedremo che cosa succederà.

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Margherita Premuroso, nominata agli Emmy: non dimenticate di portare avanti progetti personali https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/margherita-premuroso-nominata-agli-emmy-non-dimenticate-di-portare-avanti-progetti-personali/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/margherita-premuroso-nominata-agli-emmy-non-dimenticate-di-portare-avanti-progetti-personali/#respond Mon, 22 May 2023 16:29:01 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18479 Margherita Premuroso vive a Milano e lavora nell’animazione dal 2005, è creative director a elastic.tv e nel 2017 è stata nominata agli Emmy Awards per le sequenze animate dei titoli di coda della serie Feud: Bette and Joan (Ryan Murphy). Nel suo ultimo cortometraggio, Ecce, racconta attraverso migliaia di disegni realizzati a matita un viaggio alla Escher: la […]

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Margherita Premuroso vive a Milano e lavora nell’animazione dal 2005, è creative director a elastic.tv e nel 2017 è stata nominata agli Emmy Awards per le sequenze animate dei titoli di coda della serie Feud: Bette and Joan (Ryan Murphy). Nel suo ultimo cortometraggio, Ecce, racconta attraverso migliaia di disegni realizzati a matita un viaggio alla Escher: la giornata qualunque di una donna che rivive ogni giorno lo stesso compito dal quale non riesce a districarsi.

Parlami di come la tua passione si è estesa dall’illustrazione all’animazione.

Nell’immagine statica mi sentivo ingabbiata. Senza togliere nulla all’illustrazione, volevo che le immagini che descrivevo col tratto si muovessero nel tempo, raccontando storie o anche semplicemente azioni. Inoltre, credo che un film d’animazione sia un raffinato contenitore di più arti: disegno, sceneggiatura, musica, voce.

Margherita PremurosoNei tuoi lavori si possono rintracciare infatti diverse forme d’arte e tecniche espressive, anche miste. Cosa ti muove?

Mi piace sperimentare tecniche diverse, tentare nuove strade per raccontare una storia o far passare un messaggio. Non voglio soffermarmi sullo stile o darmi etichette, né farmi chiudere in una particolare tecnica o tratto, per cui provo tutto e ogni volta mi rimetto in gioco. Quella che rimane costante è la passione, il resto poi viene da sé. In generale, credo di farmi molto influenzare da quello che vedo e scelgo di vedere in un determinato periodo. Ad esempio, nell’ultimo anno, mi sono appassionata alla stop motion e ho deciso di realizzare un cortometraggio con questa tecnica – che conosco poco – per cui sto facendo molta ricerca. Cerco di capire come lavorano gli altri, il loro workflow, le lenti, i materiali, gli strumenti, i segreti. Mi impegno finché non ne esce qualcosa di mio, è come una scuola per me.

Nelle tue opere è rintracciabile un grande amore per l’espressionismo di Egon Schiele. Hai dei punti di riferimento anche nell’animazione e nella regia?

Si, Schiele è stato tra i miei riferimenti artistici insieme a Käthe Kollwitz, Alberto Giacometti e Basquiat, negli anni li ho copiati e ricopiati fino a farmeli “rimanere tra le falangi”. Quando si è adolescenti si è più inclini all’ammirazione, oggi non ho dei veri e propri miti ai quali ispirarmi. Però, se posso citare degli artisti nell’animazione che stimo molto, direi Sylvain Chomet (Appuntamento a Belleville, L’illusionista), Katsuhiro Otomo (Akira), Hayao Miyazaki (La città incantata, Il mio vicino Totoro). Trovo tanta ispirazione anche nei fumetti, amo soprattutto quelli francesi: Cyril Pedrosa, Bastien Vivès, Manu Larcenet. Mentre tra gli italiani mi piacciono Gipi e Manuele Fior.

Solitamente quale fase del tuo lavoro prediligi?

Secondo me la pre-produzione è la fase più delicata ma anche la più divertente. Mi piace disegnare personaggi e storyboard, dare tempi di narrazione, ritmo, soffermarmi sui dettagli. È lo step in cui si impostano le radici di tutto: dedico molta cura a questo momento e voglio che sia il più definito possibile, in modo da non perdere tempo dopo a dover rifare in parte il lavoro.

Sei creative director di elastic.tv, che ha firmato con il suo team di animazione alcuni opening iconici della serialità contemporanea, come quello di Game of Thrones. Com’è il tuo ambiente di lavoro e cosa consigli ai giovani professionisti che cercano di farsi strada in questo campo?

Lavoro con elastic.tv da diversi anni e per me è ormai una grande famiglia. È uno studio grande e direi anche potente, in America, ma è composto da persone con un fortissimo senso etico, attente nel valorizzare i collaboratori. Ho lavorato in altri studi e vedevo freelance andare e venire, li incrociavo quattro o cinque giorni e poi sparivano e ne arrivavano altri; questo modo di lavorare non permette che si crei un nucleo, mentre serve un team molto solido. In Elastic invece la maggior parte di noi rimane anni. Si sono fidati fin dall’inizio di me, che stavo dall’altra parte del mondo e attraversavo una fase molto delicata della mia vita, e non era scontato. Ai giovani consiglio di sperimentare e credere nelle proprie passioni, di tentare – almeno all’inizio – con studi piccoli, dove si è più seguiti. Sembra banale ma è così. Suggerisco a tutti i creativi di non dimenticare, finito il lavoro, di portare avanti i progetti personali, di non fermarsi al cliente o al datore di lavoro ma di portare avanti un proprio discorso. Non siate pigri.

Margherita PremurosoPer le sequenze animate dei titoli di coda della serie Feud: Bette and Joan sei stata nominata agli Emmy Award, nella categoria Outstanding main title design.

È stato il mio primo grande progetto per i titoli di coda. La nomination agli Emmy era completamente inaspettata, partecipare poi alla serata di premiazione è stato stupefacente.

Il tuo ultimo cortometraggio, Ecce (2022), è realizzato a mano con matita su carta, ma non solo. Quale tipo di lavorazione richiede questa tecnica?

È stato un lavoro molto impegnativo dal punto di vista tecnico, parliamo di migliaia e migliaia di disegni a matita. La mia compagna mi ha aiutata sia nella produzione che nella recitazione. Ogni scena è stata ripresa live, stampata frame per frame su carta fotocopiatrice e poi ricolorata a mano sempre frame by frame, scansionata e ritagliata al computer. Ecce ci ha coinvolte per circa due anni: una vera una scuola, che mi ha consentito di raffinare la tecnica e velocizzare alcune fasi.

La musica sembra avere molta importanza nelle tue opere.

Preferisco sempre appoggiarmi alla musica e farmi suggestionare. Purtroppo non è stato così per Ecce, che è stato sonorizzato in un secondo momento da un bravissimo compositore: Paolo Fornasier, con la voce di Mila Trani.

Da MOM a Paper Plane a Ecce sono passati un po’ di anni, ma un filo rosso sembra legare i tuoi lavori. Le figure che emergono dalle tue opere seguono la regola eroica di Pavese: essere soli.

Sicuramente la solitudine è un tema che sento molto. Mi piace ascoltarmi, sentirmi e capire cosa mi piace e cosa no, e questo lo posso fare soprattutto nel silenzio. Credo che riuscire a stare soli sia il più grande passo per sentirsi liberi. Spesso nelle relazioni giochiamo con l’ambiguità, fra detto e non detto, perché abbiamo paura di perdere il legame con l’altra persona, di rimanere soli. Credo invece che solo allontanando la paura della solitudine possiamo diventare autentici e creare legami trasparenti con l’altro.

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Salomè, l’horror sexy che parla romanesco https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/salome-lhorror-sexy-che-parla-romanesco/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/salome-lhorror-sexy-che-parla-romanesco/#respond Mon, 15 May 2023 14:08:15 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18473 Con la sua prima storia a fumetti lunga, Salomè. Liberaci dal bene – pubblicata da Edizioni BD – Emanuele Caponera tiene assieme atmosfere horror ma anche spunti comici. Tra avventura, erotismo, boschi e streghe, Salomè porta avanti la sua missione, ma in lei, come ci ha rivelato l’autore, si cela anche un po’ della personalità […]

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Con la sua prima storia a fumetti lunga, Salomè. Liberaci dal bene – pubblicata da Edizioni BD – Emanuele Caponera tiene assieme atmosfere horror ma anche spunti comici. Tra avventura, erotismo, boschi e streghe, Salomè porta avanti la sua missione, ma in lei, come ci ha rivelato l’autore, si cela anche un po’ della personalità dell’artista (e del suo dialetto).

Come è nata la storia e quali sono stati i tuoi riferimenti nel fumetto ma anche nel cinema e nella letteratura?

La storia è nata dall’attrazione per certi temi horror. Ho sempre amato questo genere, sia nel cinema che nella letteratura e soprattutto nel fumetto. La figura della strega mi ha sempre affascinato e, dopo aver visto il film The Witch di Robert Eggers, probabilmente è scattato qualcosa. Anni dopo, con Salomè, ho rispolverato queste figure inquietanti spesso protagoniste anche del folclore italiano. Ho pubblicato le prime strisce su Instagram nel 2018, dopodiché, essendomi affezionato al personaggio di Salomè, ho deciso di renderla protagonista di altre avventure. Per quanto riguarda il cinema horror, a parte il già citato The Witch, sicuramente le mie influenze sono riconducibili a vecchi film italiani come La casa dalle finestre che ridono e Suspiria. In adolescenza ho macinato anche molti manga – tra cui Berserk – poi Dylan Dog e varia letteratura horror, partendo da Poe e Lovecraft per arrivare a King. La storia che ho scritto è sì figlia del folclore che appartiene alle terre del Sannio, ma soprattutto a quelle laziali e dei Castelli Romani in particolare, proprio perché è qui che sono nato e cresciuto. La stessa Lupa è una figura facilmente riconducibile alla leggenda di Romolo e Remo.

Una cosa che colpisce e che stride volutamente, credo, con l’ambientazione oscura e “infernale” è l’uso del dialetto parlato da Salomè. Come mai questa scelta?

Esatto, “stride” volutamente. Mi faceva molto ridere spezzare l’atmosfera dark attorno alla trama. Volevo creare un personaggio sboccato, che in qualche modo scandalizzasse per linguaggio e condotta. Il dialetto romano è l’unico che conosco abbastanza bene, a parte quello del mio paese, quindi l’ho usato per comodità e anche perché l’irriverenza romana secondo me rende molto comici certi passaggi.

Nelle note al termine del volume hai detto che nell’eroina della tua storia c’è molto di te, del tuo inconscio.

Sì, ho riversato nel personaggio parte del mio carattere, soprattutto di quando ero ragazzo: il modo di scherzare, le parolacce e tutto il resto. In ambito confidenziale, con gli amici stretti, ho ancora quel tipo di approccio. C’è invece l’altra metà di me che è molto educata e timida, quasi impacciata. Insomma, una specie di dottor Jekyll e mister Hyde. Però sto migliorando: sono alla ricerca di un equilibrio tra le due personalità e provo a bestemmiare solo quando è strettamente necessario. Quando scrivo i dialoghi di Salomè, in un certo modo faccio dire e fare a lei quello che spesso vorrei dire e fare io: insomma disegno fumetti anche a scopo terapeutico, per dar sfogo a quello che non posso fare nella vita reale. C’è chi ha detto che Salomè dà l’impressione di essere un personaggio femminile scritto da un uomo, ci sono invece anche molte ragazze che si rivedono in lei, o altre che la stimano, forse perché ha il coraggio di essere, nel bene e nel male, autentica, senza filtri.

SalomèUn altro aspetto molto interessante del libro è la perfetta scelta cromatica, indispensabile per rendere la giusta atmosfera dark alla storia. Come si è svolto il lavoro per quanto riguarda quindi la fase tecnica e grafica? Lavori direttamente in digitale?

Lavoro in digitale per una questione di velocità. Gli strumenti che uso su Procreate sono volti a replicare il più possibile l’effetto china/pennello. Per quanto riguarda i colori stesso discorso: in digitale ho la possibilità di sperimentare in modo velocissimo tonalità e altri procedimenti che nel modo tradizionale mi prenderebbero un sacco di tempo. Con la colorazione vado molto di pancia, mi lascio guidare dall’istinto. Qualche volta mi capita anche di correggere e cambiare completamente direzione. Insomma, quando non hai una strada ben marcata da seguire, il digitale ti permette di provare molte possibilità in breve tempo.

Sappiamo che Salomè avrà un seguito, quindi immagino che tu stia lavorando al secondo volume. Cosa puoi anticipare dei tuoi prossimi lavori?

Esatto, sto lavorando al secondo volume che sarà il seguito e la conclusione della storia. Il sottotitolo provvisorio è Lo spirito e il corpo. Racconterà del viaggio che farà Salomè per cercare giustizia rincorrendo la speranza di poter tornare a casa. Incontrerà nuovi e vecchi personaggi e la storia avrà tinte un pochino più dark fantasy. Oltre a Salomè, sto lavorando a un nuovo fumetto che avrà due protagonisti, ex fidanzati, alle prese con le inquietanti vicende legate a un misterioso paesino medievale arroccato su una montagna. In aggiunta a questi progetti personali, porto avanti delle piccole collaborazioni con alcuni collettivi come Acid free, Cappuccino ExPress e Blackboard.

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Quasi nessuno ha riso ad alta voce, il nuovo fumetto di Pastoraccia https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/quasi-nessuno-ha-riso-ad-alta-voce-il-nuovo-fumetto-di-pastoraccia/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/quasi-nessuno-ha-riso-ad-alta-voce-il-nuovo-fumetto-di-pastoraccia/#respond Sun, 12 Feb 2023 18:05:14 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=18179 Grandi spazi aperti e silenziosi o minuscoli oggetti dettagliati: sono le due estremità fra le quali si muove Quasi nessuno ha riso ad alta voce, disegnato su carta con chine e pennarelli acrilici e dove “i neri sono tutti analogici”. Stefano, l’apatico protagonista del fumetto di Alessandro Pastore, in arte Pastoraccia, scopre di avere una […]

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Grandi spazi aperti e silenziosi o minuscoli oggetti dettagliati: sono le due estremità fra le quali si muove Quasi nessuno ha riso ad alta voce, disegnato su carta con chine e pennarelli acrilici e dove “i neri sono tutti analogici”.

Stefano, l’apatico protagonista del fumetto di Alessandro Pastore, in arte Pastoraccia, scopre di avere una sorella il giorno in cui i carabinieri bussano alla porta avvisandolo della sua morte. Da qui, come una fitta al petto nell’ennesima monotona giornata, si innesta la vicenda: un crescendo in cui, come ci ha rivelato l’autore, pittura, cinema, fotografia e letteratura si mescolano in un sapiente gioco di citazioni e rimandi.

Com’è nata l’idea della storia e in che modo sei arrivato a un fumetto lungo e compiuto?

L’idea della storia si è sviluppata in modo “lento” a partire da quattro disegni che avevo fatto su un quaderno di appunti: un corpo nudo di donna sdraiato in riva all’acqua, una palude, il volto di un uomo e uno scorcio urbano. Da subito il mio sguardo si è rivolto verso quel corpo per capire chi fosse e cosa ci facesse lì. Nello stesso periodo mi sono imbattuto nelle immagini dei pittori del gruppo del Novecento italiano e nella Nuova Oggettività tedesca, che hanno dato vita in me a un’atmosfera e una cifra emotiva attorno a cui volevo ragionare. Non ero ancora arrivato a pensare all’intero sviluppo della storia e ho iniziato a scrivere, non in forma sceneggiata, ma come se fosse un romanzo breve. Ci ho messo un anno abbondante per arrivare a una prima chiusura della storia scritta e a un inizio di fumetto disegnato. Il processo, fino alla fine, non è mai stato lineare ma costellato di prove e cambiamenti.

Quasi nessuno ha riso ad alta voceMi ha colpito molto il contrasto apparente nelle tavole fra grandi silenzi sospesi e abbondanza di dettagli e piccoli oggetti – l’arredamento degli ambienti, le automobili o le architetture. Come si è svolto il processo di documentazione del libro anche a livello tecnico?

L’intera storia è disegnata su carta con chine e pennarelli acrilici. I neri sono tutti analogici. In una seconda fase ho aggiunto un effetto noise e i grigi digitalmente. L’effetto noise non è un semplice retino, per me ha un vero e proprio significato sul piano visivo: mi è servito per creare quella patina polverosa e vissuta, retrò, a cui volevo arrivare. Un po’ come in alcuni film o fotografie in bianco e nero che non sono perfettamente nitidi e si percepisce la grana della pellicola. La scelta di ampi spazi di sospensione è un rimando proprio a quell’atmosfera a cui mi riferivo sopra, che è una caratteristica tipica di alcuni romanzi dei primi del Novecento che fanno capo al genere del Realismo magico e si ricollegano alle fotografie di Luigi Ghirri o Guido Guidi, e allo sguardo narrativo di Gianni Celati. Gli oggetti piccoli sono arrivati a controbilanciare la dimensione spaziale aperta. Entrambi i poli, spazi aperti o dettagli, descrivono qualcosa che i personaggi non mostrano in modo trasparente. La documentazione è stata continua, sia per l’apparato visivo che per la parte narrativa. Passavo da documentazioni online, a video e film, pellicole, foto nei mercatini delle pulci, libri, cataloghi, conversazioni, corsi. Uno su tutti, un ciclo di lezioni sulla letteratura femminile a cura di Antonio Faeti del 2018 intitolato Il pigiama del moralista. Lì, tra le tante autrici, ho scoperto Grazia Deledda.

Quasi nessuno ha riso ad alta voceLa storia è pregna di riferimenti visivi espliciti e anche distanti fra loro – cinema, pittura, fumetto, fotografia. Tutti però rendono bene il tono dell’intera vicenda. Come ti sei avvicinato a queste fonti e perché le hai scelte?

Nel 2016 visitai una mostra a Forlì intitolata Piero della Francesca. Indagine su un mito: il percorso espositivo prevedeva un parallelismo tra Piero della Francesca e la pittura italiana del movimento del Novecento. Tra i vari pittori esposti c’erano Antonio Donghi, de Chirico, Giorgio Morandi, Achille Funi, Felice Casorati e Mario Sironi. Da quel momento ho iniziato a ricercarli e ad approfondirli fino a scoprire Cagnaccio di San Pietro, una vera rivelazione. Luigi Ghirri l’ho scoperto durante gli studi accademici dieci anni fa, in particolare le sue collaborazioni con Gianni Celati, in cui sempre più mi sono ritrovato. Tutti questi nomi non sono solo un elenco, piuttosto una mappa: quando cercavo risposte ripartivo da dove ero arrivato. Un libro portava a un altro libro, un’immagine portava a un’altra immagine. Ad esempio, individuata l’ambientazione lagunare, a un certo punto cercavo un modo per inquadrare e mostrare il paesaggio. I documentari di Gianni Celati mi hanno condotto a un film: La Isla Minima di Alberto Rodríguez, che mi ha mostrato come esplorare uno spazio dall’alto in piani sequenza con inquadrature dall’alto, zenitali, con texture e movimenti inediti. Così il processo si è arricchito fino a creare una mappa cartografica con coordinate precise. Oltre a tutto questo apparato orientativo, a fianco sulla scrivania ho tenuto tre libri a fumetti che per me hanno fatto da “bibbie”: La notte dell’alligatore di Jacques De Loustal, L’attrazione di Lucas Harari e Micky Micky di Mezzo Pirus.

Quanto di questo approccio anche “geografico” alla storia che hai scritto deriva dalla tua provenienza e formazione bolognese o più in generale emiliana?

C’è molto del mio vissuto e del mio andare in giro per la regione. Fin da bambino sia io che mio fratello giocavamo a calcio. Mi ritrovai a girare prima nella provincia bolognese poi per tutta l’Emilia-Romagna. Ricordo bene ciò che vedevo dal finestrino dell’auto, principalmente erano paesaggi piatti, brulli e infiniti. Poi si transitava da paesi piccoli, alcuni “addormentati”, altri vivacissimi. E questo modo di guardare “fuori dal finestrino” crescendo è continuato, con i treni, a piedi… Poi ho iniziato ad aggiungere al transito anche le fermate e il guardare. Non ho mai avuto mezze vie nell’atto di osservare spazi e oggetti: o ero distante così da avere una visione d’insieme, oppure mi avvicinavo tantissimo fino a vedere dei dettagli, delle texture.

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Vania Calabri: l’arte deve lasciare un segno, creare una frattura https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/vania-calabri-larte-deve-lasciare-un-segno-creare-una-frattura/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/vania-calabri-larte-deve-lasciare-un-segno-creare-una-frattura/#respond Wed, 20 Apr 2022 11:03:05 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17090 Vania Calabri è una giovanissima pittrice, classe 1994. La sua è una pittura che coniuga vigore espressivo e intuizione estetica, dove l’arte diventa il mezzo per conoscere se stessi. Raccontaci di te e di come nasce la passione per la pittura. Dipingere è il mio modo di esprimermi da sempre, fin dai banchi di scuola. […]

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Vania Calabri è una giovanissima pittrice, classe 1994. La sua è una pittura che coniuga vigore espressivo e intuizione estetica, dove l’arte diventa il mezzo per conoscere se stessi.

Raccontaci di te e di come nasce la passione per la pittura.

Dipingere è il mio modo di esprimermi da sempre, fin dai banchi di scuola. Mi permette di conoscere me e gli altri, salvandomi la vita ogni giorno. Credo che fare arte sia un atto d’amore, quando un artista crea sceglie di lasciar morire qualcosa dentro di sé per renderlo fruibile dagli altri.

Quali tecniche prediligi e che direzione sta prendendo il tuo lavoro?

Alterno stili diversi, prediligo l’uso dell’acrilico colorato a contrasto con il nero della grafica dei volti, cruciali nei miei lavori. Lo scopo della mia arte è quello di dare una chiave per esplorare le sfumature più profonde dell’anima di ognuno attraverso un percorso introspettivo.

Le fonti d’ispirazione e i miti artistici che fanno parte del tuo background sono…

Il Duca Bianco, lo Sturm und Drang, Platone e Franco Battiato sono le chiavi per aprire la mia “porta magica”. Colleziono tutto ciò che mi affascina, non solo visivamente (un profumo, una voce, una espressione), e diviene poi fonte d’ispirazione.

Secondo te è più importante oggi l’impatto estetico di un’opera o il messaggio che vuole trasmettere?

Se una cosa è bella e basta non la ricordi. Per me è importante lasciare un segno, creare una frattura, dare una direzione: quando osservi una mia opera so già dove ti sto portando, poi sta a te decidere se entrare oppure no.

L’arte sui social: un modo alternativo per farsi conoscere o ormai l’unico modo?

Un modo in più per divulgarla. Il fare è un atto creativo, manuale, materiale. La modernità ha creato un modello per il quale la “genialità” risiede in colui che ha l’idea, mentre poi fa eseguire l’opera ad altri; a me piace sporcarmi le mani e farle sporcare a chi tocca le mie tele.

Influenze cinematografiche? 

Sono molto legata al lato onirico e malinconico di Federico Fellini, capace di trasformare in immagini le proprie visioni interiori, e a quello poetico di Bernardo Bertolucci, che riesce con delicatezza a mostrarci sogni, demoni e desideri attraverso il buco della serratura.

Che progetti hai per il futuro?

Continuare a creare, rimanendo fedele a quello che sono. Dipingere, un po’ come scrivere, è un tentativo spesso effimero di sistemarsi l’anima. Per prendere la decisione di rendere pubblico un simile gesto ci vuole tanto coraggio ed io mi auguro di continuare ad averlo sempre.

Vania Calabri
Vania Calabri, “You Only Live Twice”.

ENGLISH VERSION

Vania Calabri is a young painter born in 1994. Hers is an artform which combines expressive force to aesthetic intuition; a place where art becomes a means of self-discovery.

Tell us about yourself. Where did this passion for painting come from?

Painting has always been a way of expressing myself, since school. It allows me to get to know myself and others, saving my life every day. I think doing art is an act of love; when an artist creates something he’s letting something within themselves die, making it possible for others to enjoy it.

What techniques do you use, which do you prefer, and where do you see your art going?

I switch between styles, preferring to use acrylic colours which stand out against the black of the faces designed, crucial in my work. The purpose of my art is to provide a key to explore the deepest nuances of the each one’s soul through an inner journey.

What are your sources of inspiration and who are your idols?

The White Duke, the Sturm und Drang, Plato and Franco Battiato are the keys to open the “magic door”. I pick up whatever fascinates me, not just visually – a scent, a voice, an expression – which becomes then a source of inspiration.

What’s more important in a work of art today, its aesthetic, visual impact or the message it aims to transmit?

If something is just beautiful period, it’s not necessarily memorable. For me it’s important to leave a mark, create a rift, give direction: when you look at my work I already know where I’m taking you, then it’s up to you to decide whether to let yourself in or not.

Art in social media: an alternative way to make yourself known, or the only way at this point?

One more way of divulging it. Making art is a creative, physical, material act. Modernity has given us a model of “brilliance” where they who have an idea make others work on it. I’d rather get my hands dirty, and who touches my paintings has to do so too.

Have you been influenced by cinema?

I’m quite attached to Fellini’s dreamlike and melancholic side, able to transform his own interior visions into pictures, and Bertolucci’s poetic side, who manages to gently reveal dreams, demons, desires through a keyhole.

Your projects for the future?

Continue to create, staying faithful to who I am. Painting, a bit like writing, is an often a fleeting attempt to find rest for one’s soul. To take the decision to make such a gesture public requires a lot of courage, and I hope to have it always.

Traduzione a cura di David Scicluna for @successinenglish.eu

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“Anche in guerra gli artisti non tacciono”: Ruslan, dai gioielli alle croci anticarro https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/anche-in-guerra-gli-artisti-non-tacciono-ruslan-dai-gioielli-alle-croci-anticarro/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/anche-in-guerra-gli-artisti-non-tacciono-ruslan-dai-gioielli-alle-croci-anticarro/#respond Tue, 05 Apr 2022 15:41:16 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=17041 Ho conosciuto Ruslan Yakovets per caso. Sono stato diverse volte in Ucraina e ho tanti amici lì, molti che stanno combattendo e resistendo all’invasione russa. Un caro amico mi ha fatto scoprire questo giovane e talentuoso artista che crea poetici gioielli in legno. Ma quello che mi ha colpito di più, oltre alla sua incredibile […]

L'articolo “Anche in guerra gli artisti non tacciono”: Ruslan, dai gioielli alle croci anticarro proviene da Fabrique Du Cinéma.

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Ho conosciuto Ruslan Yakovets per caso. Sono stato diverse volte in Ucraina e ho tanti amici lì, molti che stanno combattendo e resistendo all’invasione russa. Un caro amico mi ha fatto scoprire questo giovane e talentuoso artista che crea poetici gioielli in legno. Ma quello che mi ha colpito di più, oltre alla sua incredibile arte, è la sua grande umanità, il suo prestarsi ad aiutare il prossimo in un momento così difficile. Un altruismo che gli ha cambiato completamente la vita, lo ha portato a rinunciare alla sua arte per mettersi al servizio della resistenza, costruire croci anticarro e usare i suoi risparmi per aiutare il più possibile le vittime di quest’orrenda guerra.

Ruslan, cosa ti ha portato a realizzare gioielli?

Fin da bambino ho sempre amato disegnare e creare oggetti, nel villaggio dove sono nato passavo la maggior parte del tempo libero a dipingere. Ho studiato all’Accademia Nazionale delle Belle Arti di Lviv, nel dipartimento specializzato nell’arte della lavorazione dei metalli. Dipingevo e forgiavo belle decorazioni, ma la cosa che mi entusiasmava di più era creare e regalare oggetti fatti a mano. È stata la mia passione per l’arte e il desiderio di creare qualcosa di unico che hanno dato vita al mio primo gioiello, che regalai a una ragazza. Sono passati cinque anni dalla nascita del mio brand WOODA, ma ogni giorno mi sembra il primo. Quando vedo brillare gli occhi dei clienti di soddisfazione e mi chiedono “come sei riuscito a farlo?” io sono veramente felice.

Con quale tecnica produci i tuoi gioielli?

Di solito creo i miei gioielli usando legno e resina. Uso differenti tipi di legno: pero, quercia, frassino, bosso, mogano e altri ancora. Una volta sono riuscito a trovare un pezzo di legno pregiato, una quercia di palude. Un albero che può avere migliaia di anni e per questo acquisisce colore scuro, durezza e resistenza in un processo di mineralizzazione dovuto ai sali metallici naturali di paludi, fiumi e laghi. Da quel legno ho ricavato un gioiello chiamato Revival. Per realizzarlo tecnicamente è stato necessario essiccare l’albero, successivamente passare alla fase di formazione e intarsio della decorazione. Usando un microscopio e altri strumenti, ho fissato i fiori sul legno (uso sempre fiori freschi) e ci ho inserito la piccola scultura di un bambino d’argento. Il bambino è stato disegnato in 3D e stampato come modello di cera per gioielli, e alla fine, modellato con l’argento. Una volta pronto, ho riempito il pezzo con resina per gioielli e pochi giorni dopo la completa solidificazione (cristallizzazione) ho dato all’oggetto la forma di un anello. Dopo la molatura, il gioiello è stato inviato alla camera di stabilizzazione, una fase molto importante nella produzione di gioielli in legno, dove il legno si trasforma in un materiale con proprietà completamente nuove. Diventa più forte, più resistente all’umidità e più durevole.

Ruslan Yakovets anelloCom’è cambiata la tua vita dopo l’invasione russa? E com’è la situazione attuale nella tua città?

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la mia vita si è divisa in prima e dopo. Non è passato molto tempo, ma sembra un’eternità. Ricordo il mio solito ritmo di vita: palestra mattutina, caffè, lavoro, nuove idee, progetti, mostre, conoscenze, nuove collaborazioni, chiamate alla mia famiglia, serate con gli amici, appuntamenti, immaginare dove passare il weekend, risparmiare soldi per una macchina. Non avrei mai pensato che a un certo punto, improvvisamente, alle 4 del mattino, le priorità della mia vita potessero cambiare così drasticamente. Ti svegli perché le sirene suonano, chiami la tua famiglia e i tuoi amici nel pieno della notte, ti preoccupi per tutti e pensi a cosa fare per aiutare come fosse una preghiera. I giorni diventano confusi e perdi la cognizione del tempo. Nello zaino hai un kit di pronto soccorso, armi e documenti. Ora sto raccogliendo fondi per comprare un giubbotto antiproiettile e un elmetto e sto cercando dove comprare delle armi. Ho capito che ci sono tante cose senza le quali posso vivere, ho perso molti amici in guerra e capisco perfettamente che anche la mia vita può finire in un attimo. Anche il mio atteggiamento verso la morte è cambiato, le cose materiali non contano ora. Nella mia città ci sono diversi allarmi aerei ogni singolo giorno, per molto tempo ci siamo nascosti in un rifugio antiaereo. I razzi hanno raggiunto i loro obiettivi e hanno ucciso 35 persone, 134 ferite. Ma la città sta facendo di tutto per aiutare, Lviv è attualmente il principale quartier generale umanitario e di volontariato, un luogo sicuro dove trovano riparo le persone provenienti dalle zone calde del conflitto. Siamo tutti molto uniti e lavoriamo insieme per aiutare tutti coloro che ne hanno bisogno.

Cosa stai facendo per aiutare i tuoi concittadini?

Come ho già detto, il ritmo della vita e le priorità sono cambiate molto, ora la mia più grande motivazione è aiutare il prossimo. Questa guerra, questa invasione russa su vasta scala dell’Ucraina, ha unito il popolo e il mondo intero. Tutti i miei amici, conoscenti, parenti, compagni di classe, artisti, tutti quelli che conosco sono uniti e stanno facendo tutto il possibile per aiutare. Io e i miei amici ci siamo messi a costruire ostacoli anticarro, spuntoni contro veicoli corazzati, stufe per i posti di blocco e attrezzature per lo sminamento. Lavoriamo per strada e nei cantieri usando il metallo destinato alle costruzioni. Abbiamo preparato migliaia di bottiglie molotov. Abbiamo cucinato e preparato cibo per i rifugiati, aiutato le persone a trovare un posto dove vivere o prendersi cura di se stesse. Ho donato quasi tutti i miei risparmi per la causa. Ora vendo i gioielli rimasti in magazzino e dono parte del denaro all’esercito. Sono felice di questo ambiente unito e meraviglioso e pieno d’orgoglio.

Ruslan Yakovets
Ruslan Yakovets in officina.

In tempo di guerra, in che modo un artista può rappresentare ciò che accade?

Tutti noi artisti stiamo cercando raccontare quello che accade qui. Gli artisti non tacciono, ognuno parla e si esprime a modo suo. Creano immagini emozionali della guerra e le trasferiscono su tele, illustrazioni, grafici. Noi artisti cerchiamo e dobbiamo raccontare come la Russia bombarda i civili, come i soldati difendono disperatamente il nostro Paese, come i volontari cercano di aiutare. La fatica, le lacrime e il sangue. Dobbiamo raccontare i lavoro dei medici che vivono tutto il dolore delle persone al fronte, e lo sforzo dei civili, che addirittura fermano i carri armati a mani nude. Gli artisti esprimono tutto ciò come un flusso di emozioni su di una tela. Come riflessione e presa di posizione civica, un modo per trasmettere e sostenere gli altri. E il denaro delle opere vendute è devoluto per sostenere il nostro esercito.

Raccontaci un tuo sogno per il futuro.

Il mio sogno è quello di visitare tutte le città dell’Ucraina dove, sfortunatamente, non ho avuto la possibilità di andare. Il mio sogno è aprire un piccolo caffè accogliente nella mia città, arredarlo con mobili costruiti da me, dove ci sarà uno showroom di gioielli e mostre d’arte. Mi piacerebbe accogliere lì ogni domenica i miei amici e la mia famiglia. Poi vorrei imparare bene l’inglese (a tradurre le vostre domande mi ha aiutato il mio amico Dmytro Basok) e viaggiare per il mondo a salutare tutti coloro che mi hanno supportato in questo momento difficile e ringraziarli personalmente. Ma prima di tutto vorrei che questa guerra finisse il prima possibile. 

ENGLISH VERSION

I met Ruslan Yakovets by chance. I have been to Ukraine several times and have many friends there, many who are fighting and resisting the ruthless Russian invasion. A dear friend introduced me to this young, talented artist. His creations are poetic wooden jewels. But what struck me most besides his incredible art is his great humanity, his willingness to help others in such a difficult moment. An altruism that completely changes your life, which leads you to give up your art to put yourself at the service of the resistance and build anti-tank crosses and use your savings to help the victims of this horrendous war as much as possible.

What made you start doing this jewelery?

Since I was a child I have always loved drawing and creating objects. In the village where I was born I spent most of my free time painting. I had a neighbor Mr. Andrew who was a painter. For days I would sit there and watch him paint. I also have to thank my family, who have always supported and helped me in my passion. I studied at the National Academy of Fine Arts in Lviv, in the department specializing in the art of metalworking. I painted, I forged beautiful decorations, but the thing that excited me most was to create and give unique handmade objects. It was my passion for art and the desire to create something unique that gave birth to the creation of my first jewel, which I gave to a girl. It’s been 5 years since the birth of my WOODA jewelery brand, but every day seems like the first to me. When I see customers’eyes sparkle with satisfaction and they ask me: How did you do it? I am really happy.

Ruslan Yakovets
Un’immagine di Ruslan Yakovets prima della guerra.

How do you make your jewelery?

I usually make my jewelry using wood and resin. I use different types of wood: pear, oak, ash, box, mahogany and others. I remember a time when I managed to find a piece of fine wood. It was a swamp oak. A tree that can be thousands of years old and for this reason acquires dark color, hardness and resistance in a mineralization process due to the natural metal salts of swamps, rivers and lakes. From that wood I made a jewel called “Revival”. To make it technically, it was necessary to dry the tree, then move on to the formation and inlay phase of the “inner world” of the decoration, the creation of what is inside the crystal. Using a microscope and other tools, I fixed the flowers on the wood (I use fresh flowers in all the decorations) and inserted the small sculpture of a silver child. The child was drawn in 3D and printed as a wax model for jewelry, and in the end, I modeled him with silver. Once ready, I filled the piece with jewelry resin and a few days after complete solidification (crystallization) I gave the object the shape of a ring. After grinding, the jewel was sent to the stabilization chamber, a very important stage in the production of wooden jewelry, where the wood is transformed into a material with completely new properties. It becomes stronger, more resistant to moisture and more durable. The next step was the inlay of a silver ring in the wooden ring, also made by hand. The metal was cast into a mold, rolled onto rollers and after a series of other processes the silver was soldered with a propane burner. After the final polishing, I covered the ring with a special oil, cleaned it and sent it to the customer.

How has your life change since the Russian Invasion? And what is the situation now in your city?

After the Russian invasion of Ukraine, my life split into before and after. It hasn’t been long, but it seems like an eternity. I remember my usual rhythm of life: morning gym, coffee, work, new ideas, projects, exhibitions, acquaintances, new collaborations, calls to my family, evenings with friends, appointments, imagining where to spend the weekend, saving money for a car etc. I never thought that at some point, suddenly, at 4 in the morning, my life priorities could change so drastically. You wake up because the sirens are ringing, you call your family and friends in the middle of the night, you worry about everyone and think about what to do to help. Days get confused and you lose track of time. In your backpack you have a first aid kit, weapons and documents. Now I’m raising money to buy a bulletproof vest and helmet and I’m trying to figure out where to buy weapons. I realized that there are so many things I can live without, I have lost many friends in the war and I fully understand that my life can end in an instant. My attitude towards death has also changed. Material things don’t matter now. In my city, there are several air alerts every single day, for a long time we hid in a bomb shelter. The rockets reached their targets and killed 35 people, wounded 134. But the city is doing everything to help, Lviv is currently the main humanitarian and volunteer headquarters, a safe place where people from the conflict hotspots find shelter. We are all very close and we work together to help all those who need it.

What are you doing to help fellow Ukranians?

As I said before, the rythm of life and priorities have changed a lot, now my biggest motivation is to help others. This war, this large-scale Russian invasion of Ukraine, has united the people and the whole world. All my friends, acquaintances, relatives, classmates, artists, everyone I know are united and are doing everything they can to help. My friends and I have been building anti-tank obstacles, spikes against armored vehicles, stoves for checkpoints and demining equipment. We work on the street and on construction sites using metal intended for construction. We made Molotov cocktails by the thousands with tons of fuel every day. We cooked and prepared food for refugees, coordinated and helped people find a place to live or take care of themselves. I donated almost all of my savings to the cause. Now I sell the jewels left in the warehouse and donate part of the money to the army. I am happy with this united and wonderful environment full of pride.

In time of conflict in what way artists may represent their current situation?

All of us artists are trying to tell what is happening here as much as possible. The artists are not silent, everyone speaks and expresses himself in his own way. They create emotional images of the war and transfer them to canvases, illustrations, graphics. We artists seek and must tell how Russia bombs civilians, how desperate soldiers defend our country, how volunteers try to help. The fatigue, the tears and the blood. We must tell the work of the doctors who experience all the pain of the people at the front, and the effort of the civilians, who even stop the tanks with their bare hands. Artists are very sensitive to this world and and they express all this as a flow of emotions on a canvas. As a reflection and a civic position, a way to convey and support others. And the money from the works sold is donated to support our army.

Tell us a dream you have for the future.

My dream is to visit all the cities of Ukraine where, unfortunately, I have not had the opportunity to go. My dream is to open a small cozy café in my city, furnish it with furniture built by me, where there will be a jewelry showroom and art exhibitions. I would love to meet my friends and family there every Sunday. Then I would like to learn English well (my friend Dmytro Basok helped me translate your questions) and travel the world to greet all those who have supported me in this difficult time and thank them personally. But first of all I would like this war to end as soon as possible. 

 

 

 

L'articolo “Anche in guerra gli artisti non tacciono”: Ruslan, dai gioielli alle croci anticarro proviene da Fabrique Du Cinéma.

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Lopez Del Espino, la scultura tra religione e innovazione https://www.fabriqueducinema.it/magazine/arts/lopez-del-espino-la-scultura-tra-religione-e-innovazione/ Fri, 18 Feb 2022 10:39:29 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=16813 Lopez Del Espino, classe 1985, è un giovane scultore spagnolo di fama internazionale che, fra l’altro, in Francia ha ottenuto la medaglia d’argento al merito delle Belle Arti. La sua arte ricca di soggetti religiosi prende le mosse dalla spiritualità della sua terra natia, l’Andalusia. Ad ispirarlo però è anche il cinema, al quale progetta […]

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Lopez Del Espino, classe 1985, è un giovane scultore spagnolo di fama internazionale che, fra l’altro, in Francia ha ottenuto la medaglia d’argento al merito delle Belle Arti. La sua arte ricca di soggetti religiosi prende le mosse dalla spiritualità della sua terra natia, l’Andalusia. Ad ispirarlo però è anche il cinema, al quale progetta di dedicarsi per ampliare le sue possibilità espressive.

Lopez Del Espino, born in 1985, is a young sculptor of international fame. His religious art is inspired by the spirituality of his homeland, Andalusia. Cinema inspires him as well and he would not mind being able to work with it, to broaden his expressive possibilities. He was awarded the Silver Medal of Merit in Fine Arts in Paris in 2016.

Cosa ti ha spinto ad avvicinarti alla scultura?

Fin da bambino ho sempre avuto una certa inclinazione per l’arte. Mi piaceva disegnare e passavo le giornate a dipingere. A dodici anni fortunatamente ho scoperto la scultura e da quel momento il mio desiderio è stato esclusivamente quello di diventare uno scultore. Era un talento che sentivo innato dentro di me.

What prompted you to approach sculpture?

Since I was a child, I’ve always had a certain inclination towards art. I enjoyed drawing, I spent the day painting and, luckily, when I was twelve, I discovered sculpture. From that moment on, I focused all my desires on becoming a sculptor, and I found out that it’s a talent I was born with.

Lopez-Del-Espino-intervista

Trattare temi religiosi oggi potrebbe essere considerata una scelta anacronistica per un giovane artista, invece nel tuo stile c’è una grande innovazione che guarda al futuro. Da dove deriva il tuo interesse per la religione e le immagini religiose?

Lo devo al luogo dove sono nato, l’Andalusia, nel sud della Spagna, che ha radici religiose molto importanti. Ad esempio, la Semana Santa (Settimana Santa) qui è vissuta intensamente, ed io sono cresciuto in tutto questo. Se fossi nato in un’altra città la mia arte sarebbe stata probabilmente meno influenzata dalle immagini religiose e sarei uno scultore diverso. Oggi invece quello che faccio è contrapporre il mio background religioso e le altre correnti artistiche più avanguardistiche che ho conosciuto in seguito ai miei studi professionali.

Dealing with religious subjects, today could be considered an anachronistic choice for a young artist.  Instead, your style, comprises great innovation that looks to the future.  What is the basis of your interest in religion and religious images?

I owe this to my birthplace, Andalusia, in the south of Spain, because it has very important religious roots. For instance, the Semana Santa (Holy Week) here is lived deeply, and it’s something I feel connected to. If I had been born in another city, my art would probably be less influenced by religious images, and I might have become a civil sculptor. So my art is a juxtaposition of my religious background, I would say, and the other more avant-garde artistic currents that I studied professionally.

Le espressioni e i sentimenti che danno vita alle tue sculture sembrano voler raccontare qualcosa in più. Quanto è importante per te il realismo nella resa artistica?

Io sono uno scultore figurativo, tuttavia in alcuni lavori sono voluto andare oltre con l’anatomia e l’espressione. Alla fine, non importa quanta anatomia conosci e quanti libri hai studiato, il modo migliore per imparare e rappresentare un argomento è attraverso il lavoro dal vivo. Non mi piace l’arte tiepida e banale, quindi cerco sempre di appassionarmi a quello che faccio e a concentrarmi su ciò che sento con le mani mentre scolpisco. Voglio rappresentare l’essere umano nei suoi momenti più profondi, non si tratta solo di rappresentare l’anatomia di un corpo, ma anche l’anima della persona.

The expression, the feelings that make your sculptures come alive, want to tell something more.  How important is the realism of artistic rendering to you?

You can see through my work that I am a figurative sculptor. However, in certain works, I aimed to go further with anatomy and expression. At the end, no matter how much anatomy you know, and how many books you’ve studied, the best way you can learn and represent a subject is through a live model. I do not like lukewarmness in art, so I try to be passionate about what I do and what I feel through my hand when I am sculpting. I feel that I must represent the human being in its deepest moments – it is not only about representing anatomy but also, on many occasions, about capturing the essence of the person.

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Che rapporto hai con il cinema? Ci sono film che hanno influenzato il tuo percorso?

Ci sono state cose che avrei voluto rappresentare, ma la scultura, come forma artistica, non è stata all’altezza, non me lo ha permesso. La musica e il cinema sono media che ti permettono di creare atmosfere e attimi che la scultura non può raffigurare. Mi dispiacerebbe poter intraprendere un’altra carriera artistica per poter dare libero sfogo a tutte le sensazioni che musica e cinema mi trasmettono. Per molti motivi, il mio film preferito e quello che mi ha influenzato di più è Il Padrino.

What does cinema mean to you? Are there any films that have influenced your path?

I have said, on many occasions, that there have been things that I wanted to represent, but sculpture fell short. Music and Cinema are media that would allow you to create the atmosphere and moments that sculpture cannot do. I would like to be able to develop another career apart from sculpture to be able to give free rein to all the feelings that music and cinema can open for me. In many ways, my favourite movie and the one that has influenced me the most is The Godfather.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Cosa rappresenta per te l’Italia?

Quest’anno, dobbiamo consegnare circa sette diverse opere: una in Spagna, una nella Repubblica Dominicana, un’altra per il Messico. Anche l’anno prossimo saremo carichi lavoro: mostre a Madrid, Parigi e New York. Per quanto riguarda l’Italia, per me è la madre di tutte le ispirazioni, maestra e culla dell’arte. Passando per le sue strade, visitando le sue chiese, i suoi quartieri, gli angoli, le terrazze e i musei… è il paese più stimolante che conosco. Amo la sua storia, i suoi artisti sono il mio riferimento. L’Italia è il luogo dove mi sarebbe piaciuto nascere, dopo la Spagna.

What are your future projects? What does Italy represent for you?

This year, 2022, we have to deliver about seven different works of sculpture: a monument in Spain, in the Dominican Republic and another monument for Mexico. Next year we are also busy with a lot of work – we have exhibitions in Madrid, Paris and New York. Italy is a mother of inspiration, a teacher and the cradle of art.  Walking its streets, visiting its churches, its neighbourhoods, corners, terraces and museums… it’s the most inspiring country I know. I am a lover of its history, and its artists are my reference. For me, Italy is the place where I would have liked to be born, after Spain.

Traduzione a cura di David Scicluna for @successinenglish.eu

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