E Legge Cinema fu.
L’abbiamo aspettata per cinquant’anni anni e infine salutata con un tripudio di applausi trasversali: l’Italia si è dotata di una nuova legge che disciplina il settore, e per una volta siamo tutti d’accordo. Tutti? Quasi. È difficile, e forse anche antipatico, trovare una voce fuori dal coro. Eppure qualcuno, da questa legge che aiuta i “giovani”, i film “difficili”, le sale e i produttori, qualcuno è rimasto ancora una volta tagliato fuori. Qualcuno che non ha voce per lamentarsi, perché nel cinema istituzionale non esiste o esiste troppo poco.
Per esempio le donne, le autrici e le registe che Fabrique ha sempre seguito con attenzione. Solo il 16,3% di tutti i film arrivati nelle sale europee negli ultimi dieci anni sono stati diretti da donne, avverte l’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo. E la percentuale scende al 10% in Italia. Cosa poteva fare la legge? In Svezia, senza bisogno di quote, il numero delle donne registe è arrivato a sfiorare il 40%, semplicemente attraverso politiche pubbliche di sostegno alle differenze di genere.
Per esempio gli italiani di seconda generazione, soprattutto attori le cui (spesso lontane) origini non europee costituiscono un ostacolo insormontabile per l’accesso a ruoli, provini, audizioni. Il progetto più ambizioso raccontato in questo numero di Fabrique, non a caso, l’ha firmato un regista di Firenze col cognome iracheno. Cosa poteva fare la legge? Da anni negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Francia si moltiplicano le voci che chiedono di aumentare sullo schermo la presenza di soggetti espressione di diversità, premendo perché il settore pubblico vigili e si impegni contro la diffusione di pericolosi stereotipi culturali.
Nella nostra nuova legge, invece, tanto l’equilibrio di genere quanto la diversità etnica non sono ritenuti fattori da tutelare. In poche parole: ai fini dei finanziamenti, automatici o selettivi, non contano nulla. E anche adesso, a legge approvata, il dibattito è zittito dal borbottio del benaltrismo: con tutti i problemi che aveva il settore, perché preoccuparci anche di questo?
Perché le donne e i “nuovi italiani” sono oggi gli unici soggetti in grado di esprimere uno scarto sostanziale tra le storie che il cinema raccontava ieri, sotto l’ombrello di una legge invecchiata male, e quelle che potrebbe raccontare domani. Storie che parlino di una nuova Italia, fatta di colori e generi diversi, con protagoniste e protagonisti inimmaginabili nel cinema whitewash del 1965. Storie che la nuova legge, purtroppo, non fa nulla per aiutare a sbocciare.
E allora salutiamola comunque con soddisfazione, questa legge che fotografa finalmente il presente. Ma mordiamoci le mani per aver perso un’occasione importante: quella di immaginare il futuro.
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