I racconti, i sogni, le motivazioni e le speranze di alcuni giovani studenti (ed ex) di cinema italiani trasferitisi all’estero.
I governo britannico ha avviato da tempo i negoziati per abbandonare definitivamente l’Unione Europea, lasciando grande incertezza sul futuro dei cittadini UE che vivono e lavorano oltremanica. Secondo i dati dell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero pubblicati nel 2016, il numero di italiani residenti in UK è pari a 730.000, dei quali 350.000 non ancora inseriti ufficialmente nel registro AIRE.
Ciononostante, sono ancora tantissimi gli studenti italiani decisi a partire per il Regno Unito e provare ad essere ammessi in una prestigiosa istituzione universitaria. Anche molti aspiranti cineasti e professionisti desiderosi di completare la propria formazione hanno intrapreso questo cammino e lasciato il nostro paese per confrontarsi con un sistema didattico ed un’industria totalmente diversi da quelli nostrani. Ognuno di loro è stato spinto a compiere questo grande passo mosso da motivazioni e aspirazioni diverse. Ho raccolto qui di seguito le testimonianze di cinque italiani che studiano (o hanno studiato) presso alcune scuole o università di cinema in Europa.
Non ho la pretesa di offrire un quadro completo di un fenomeno complesso ed in continua evoluzione, ma vorrei proporvi le loro storie come semplice spunto di riflessione sul nostro sistema didattico e sulle loro esperienze.
Francesco Rufini, dopo aver conseguito la laurea in Antropologia a Bologna, a settembre dell’anno scorso ha iniziato un master of fine arts in regia cinematografica presso il College of Art dell’Università di Edimburgo, in Scozia.
“Ho deciso di studiare qui perché attirato dal programma di studi. Un corso universitario come quello del College of Art di Edimburgo, che unisce la pratica alla teoria [durante il corso è richiesta la realizzazione di un cortometraggio documentario e l’avviamento di un progetto per un lungometraggio, ndr], non ha eguali in Italia. Inoltre, in Scozia e in tutto il Regno Unito vi sono di gran lunga maggiori possibilità di lavoro, fondi e bandi diretti a giovani aspiranti filmmaker, nonché un maggiore interesse per il cinema documentario.”
Francesco reputa gli insegnamenti ricevuti in Italia di uguale importanza rispetto a quelli ricevuti nel Regno Unito, ovvero una formazione teorico-antropologica in Italia ed eminentemente pratica nel Regno Unito. Pur non avendo terminato gli studi, le aspettative sul suo futuro sembrano piuttosto rosee. “Il supporto creativo che ho ricevuto da parte dei miei tutor è ed è stato eccezionale. Il collegamento con il mondo del lavoro: superlativo. Le attrezzature e gli spazi: ottimi. Nonostante questo, trovo tuttavia che la retta da pagare sia altissima, sproporzionata rispetto all’offerta. Vi sono infatti delle lacune dal punto di vista didattico ed organizzativo, soprattutto. Non avrei potuto permettermi un secondo anno qui se non avessi ottenuto la borsa di studio TornoSubito disposta dalla regione Lazio.”
Ho chiesto poi a Francesco quali sono le buone pratiche che dovremmo adottare dall’Europa per migliorare il nostro sistema didattico. “Migliorare il collegamento tra mondo accademico e mondo lavorativo. Migliorare l’offerta accademica per chi volesse seguire una carriera nel cinema, soprattutto nell’ambito del documentario, e che non costringa a lasciare gli studi per seguire lavori di pessima qualità e mal pagati o tentare di entrare nelle poche scuole cinematografiche nel nostro Paese, dove i posti sono limitatissimi e la concorrenza spietata.”
Anche Eitan Pitigliani, giovane regista ed ex studente presso la London Film Academy in Inghilterra e la New York Film Academy negli Stati Uniti, rimarca l’importanza di sviluppare la concezione del mercato all’interno del sistema didattico italiano. “Il cinema in primis è un’arte, ma non si può assolutamente, specie nel mondo d’oggi, prescindere dall’aspetto del mercato, come accade a livello internazionale. Un film o una serie, oltre ad avere il dovere di rispettare il pubblico e di arricchirlo in termini emotivi, culturali e farlo divertire, piangere e ridere, deve anche essere visto e progettato come un prodotto destinato al mercato e, solo se ha basi culturali e valoriali forti per confontarsi a livello internazionale, riesce a raggiungere un pubblico più vasto ed auto-sostenersi.”
Inoltre, Eitan precisa che nei paesi anglosassoni c’è una grandissima ricerca di talenti e nuove storie da raccontare. In questo contesto, le figure dei manager sono fondamentali e fanno sì che i talenti si realizzino e siano incentivati a coltivarsi. In merito ai suoi studi Eitan prosegue: “Vivere in città come Londra, New York e Los Angeles sicuramente ti tempra e ti aiuta ad avere uno sguardo più ampio e più sottile sul mondo. Questo è stato fondamentale nel mio percorso registico, perché mi ha spinto a trovare e seguire la mia personalità dal punto di vista narrativo ed autoriale. Alla fine, è un po’ come quando danzi, non conta quanti giri sai fare su te stesso. Ci sarà sempre qualcuno che farà più giri di te. Ciò che conta, invece, è quello che esprimi, la tua anima, la tua vera unicità.”
Non a caso, questa continua ricerca della propria unicità artistica è il maggiore punto di forza che Eitan sottolinea in merito agli insegnamenti ricevuti nel corso dei suoi studi. Inoltre, grandissima importanza viene riservata al lavoro di squadra: “Il regista è un art director e, non mi stancherò mai di dirlo, non è nulla senza le persone intorno a lui, come il direttore della fotografia, il compositore, i costumisti e, in primis, gli attori.”
Tuttavia, non tutti hanno scelto di proseguire i propri studi in Regno Unito. Giulia Di Battista, classe 1998, ha appena iniziato un bachelor of arts in Film and Screen Media presso l’University College Cork, in Irlanda. L’amore per la lingua inglese ed il cinema anglosassone uniti al semplice desiderio di fare un’esperienza di vita lontana da casa l’hanno spinta ad avviare questo percorso.
In merito ai suo studi, Giulia ci spiega: “Non si tratta di un corso avanzato ma adatto a chi non ha esperienze sul campo, perfetto per incominciare dalle basi. Devo dire che ho imparato molto sull’analisi del film, sulla storia del cinema, nonché molte tecniche riguardanti l’uso della camera, le fasi di produzione, la scrittura della sceneggiatura e molto altro.”
La sua esperienza è iniziata soltanto pochi mesi fa e per ora il bilancio è molto positivo: “Tornando indietro, rifarei sicuramente la stessa scelta. Sono felice di quello che il corso offre e dell’esperienza che sto vivendo. Con quello che ho imparato mi sento anche più motivata a lavorare su qualche film per conto mio, al di fuori dell’università.”
Altri italiani hanno scelto di avviare i propri studi in Germania: è il caso, ad esempio, di Giulia Schelhas, studentessa presso la DFFB Deutsche Film-und Fernsehakademie Berlin, una delle più prestigiose scuole di cinema tedesche. Alla mia prima, semplice domanda “perché sei qui?”, Giulia risponde: “E’ una domanda che mi pongo spesso anch’io. La verità è che mi erano arrivate voci di raccomandazioni anche per scuole molto prestigiose del nostro paese, e non avevo voglia di partecipare ai soliti meccanismi all’italiana. Inoltre, volendo studiare per diventare direttrice della fotografia, desideravo confrontarmi con un ambiente che sentivo meno “sessista” di quello italiano. Non ultimo, ero concretamente interessata alla tipologia di insegnamento impartito dalla DFFB.”
Come ribadito da Giulia, l’approccio didattico della scuola è molto aperto. Non ci sono quasi docenti fissi ma vengono invitati professionisti del settore che tengono seminari di durata variabile. “Si tratta di un tipo di approccio che trovo molto interessante perché ti dà la possibilità di confrontarti con più tipologie di pensiero. Non si tratta mai di un insegnamento gerarchico o autoritario e si è lasciati molto liberi nella realizzazione dei progetti. Questa libertà comporta naturalmente una maggiore frequenza nel compiere errori. Tuttavia, è proprio dagli errori che credo di aver imparato di più. Commettere errori in uno spazio protetto imparando a riconoscerli, non lasciarsi scoraggiare e riprovare per me è stato essenziale”.
Pur essendo il futuro incerto, Giulia ha sfruttato diverse opportunità di networking e si ritiene molto soddisfatta dell’offerta didattica. “Possiamo girare alcuno progetti in 16 e 35 mm, credo sia assolutamente un lusso. La retta annua, infine, ammonta a soli 200 euro” conclude.
Silvia Lorenzi, milanese e trasferitasi a Tallinn nel 2014, ha scelto invece di studiare Audiovisual Media presso la Baltic Film and Media School, in Estonia.
“Il mio arrivo qua è stato un caso, non pianificavo per niente di venire a studiare a Tallinn e tanto meno cinema. Cinque anni fa studiavo Lingue e Letterature Straniere presso l’Università Statale di Milano e decisi di fare l’Erasmus in Estonia. Un giorno accettai di fare da comparsa per una pubblicità che giravano dei miei amici. Il ruolo della comparsa non mi piacque per niente. In compenso, non riuscivo a staccare gli occhi dalle persone che lavorano dietro la camera. In quel momento mi resi conto che quello era il mio posto. In tre mesi mollai l’università in Italia e mi iscrissi qui, passai l’esame di ammissione e tre anni fa iniziò il mio percorso di studi in Europa.”
Silvia racconta che l’approccio didattico è stato positivo in un primo momento, ma ha poi subito una battuta d’arresto. Le lacune principali sono state la mancanza di alcuni corsi riguardanti il mondo del cinema, poca specificità e uno stile d’insegnamento piuttosto datato. Ciononostante, Silvia ricorda un episodio cruciale del suo percorso di studi. “L’insegnamento più importante che ricevetti fu quello che mi impartì uno dei miei professori nel corso del primo anno. Disse: You think to be like this puntando il cielo, but actually you are like this, puntando per terra [“Pensi di essere così, ma in realtà sei così, ndr] Al momento mi sentii così mortificata da pensare di mollare, ma poi questa frase mi aiutò a cercare una mia identità sincera, senza cercare di emulare i grandi artisti o avere un approccio pretenzioso.”
Gli altri vantaggi evidenziati da Silvia riguardano le possibilità di lavorare in team internazionali, l’ottima attrezzatura, la retta piuttosto contenuta ed un forte approccio basato sull’apprendimento delle conoscenze tecniche del mestiere. “Conosco degli amici che hanno studiato cinema in Italia e non sanno come montare un file, le differenze tra i vari modelli di camera o le regole fondamentali per lavorare in questo settore, che quindi sono finiti, dopo gli studi, a lavorare in settori completamente diversi. L’Italia sta rimanendo un paese troppo basato su un modello teorico, che sforna ragazzi intelligenti ma con nessuna conoscenza pratica e che quindi si trovano comunque a dover iniziare da zero.”