Nel corso di cinquant’anni di carriera Pupi Avati ha raggiunto una cifra stilistica riconoscibile pur spaziando tra generi diversi, riuscendo a intercettare un pubblico affezionato al suo sguardo semplice ed essenziale.
Dall’estero è arrivato nei mesi scorsi un importante riconoscimento: Guillermo Del Toro ha infatti indicato tra i sette film della sua vita proprio L’arcano incantatore di Avati, la storia di un religioso che abbandona i voti per amore di una donna. In Italia invece la sua figura suscita sentimenti contrastanti, apprezzamenti e critiche in egual misura.
Lo scorso gennaio Avati è stato nominato dal Ministro Franceschini, insieme a Daria Bignardi, Marina Cicogna, Enrico Magrelli e Paolo Mereghetti, tra gli esperti della Commissione per la selezione dei progetti e la concessione di contributi selettivi al settore cinematografico e audiovisivo: ovvero la commissione chiamata a valutare in relazione alla qualità artistica o al valore culturale le opere dei giovani autori, le opere prime e seconde, i film difficili per concedere eventuali contributi alla loro scrittura, sviluppo, produzione e distribuzione nazionale e internazionale.
[questionIcon]Pupi, com’è noto, la nomina della commissione ha generato qualche polemica, e dopo qualche giorno hai rassegnato le tue dimissioni. Sono rimasto sorpreso, anche perché credo che, al di là delle valutazioni che ognuno può avere su di te, l’esperienza non ti manchi.
[answerIcon]Autorevoli commentatori hanno detto di non ritenermi adatto a quel ruolo per ragioni anagrafiche, per fede religiosa e idee politiche. Elementi che fanno parte dell’identità di un uomo e che in un paese democratico devono essere rispettati. Nella mia vita non ho mai discriminato nessuno; tra i miei collaboratori, la mia troupe, ci sono persone che hanno caratteristiche identitarie diverse tra loro. Sei LGBT? Sei ateo? A me interessa che tu sia in grado di fare il tuo lavoro, il resto fa parte della tua identità, che rispetto e non giudico, anche se posso essere diverso da te e pensarla in altro modo. Non vedo per quale motivo, all’interno di una commissione giudicatrice, avrei dovuto comportarmi diversamente.
[questionIcon]Ti ritieni insomma aperto al confronto, insomma.
[answerIcon]Scherzi? Molti anni fa fui io a proporre al ministro Urbani di istituire un’audizione per gli autori dei progetti che richiedevano il contributo al MIBACT. Poi è diventata una regola, ma prima veniva richiesto solo di presentare documenti e copione. Per giudicare un autore devi confrontarti con lui sulla storia che vuole raccontare, sulle sue idee di regia: “Questa scena come pensi di girarla? Quali sono gli attori?”. Davanti a un autore devi essere in grado di fare le domande giuste. Diversi anni fa presentai un progetto, e all’incontro nessun componente della commissione mi fece domande. Niente! Non è accettabile quando si gestiscono milioni di euro di denaro pubblico.
[questionIcon]Cos’altro ti ha portato a rinunciare all’incarico?
[answerIcon]Quello di commissario è un ruolo complesso, la mole di lavoro è enorme. Mi era stato detto che gli uffici avrebbero fatto una scrematura… Che cosa vuol dire? Cosa sono gli uffici? I giovani che aspettano da anni una risposta sui loro progetti, da chi devono ricevere una risposta? Non so come affronteranno questo muro di progetti. Ho concluso che sarebbe stato disonesto dire “lo faccio”. Farlo bene non è pensabile.
[questionIcon]Perché allora hai inizialmente accettato la nomina?
[answerIcon]Lì per lì ero lusingato della proposta. Mi avevano precisato che ero il primo della lista, mentendo. Avevano già detto di no in tantissimi, già cosa non simpatica. Ricordo inoltre che è un incarico completamente gratuito. A 80 anni avrei dovuto precludermi per tre anni la possibilità di presentare un progetto, per ricevere in cambio commenti sulle mie idee e sull’età! Io sul momento ho accettato, ma anche la mia famiglia era preoccupata. Ho dunque colto l’occasione di questi attacchi per fare un passo indietro.
[questionIcon]Hai delle proposte per impostare diversamente il lavoro di valutazione?
[answerIcon]Le valutazioni devono essere fatte soprattutto da figure professionali che concorrono alla realizzazione dei film: un produttore, un regista, un distributore e così via. Non è come dice Mark Twain, “se non sai fare una cosa, insegnala”. Eh no!
[questionIcon]Cosa andrebbe fatto, sin da subito?
[answerIcon]Riorganizzare tutto il sistema di valutazione, creando gruppi di lavoro con un responsabile coordinatore composti da professionisti competenti, senza considerare la loro età o altro, così da dare a tutti gli autori una riposta vera, diretta e concreta, non affidata a poche righe. Sarebbe inoltre molto utile incontrare gli autori dopo l’uscita delle graduatorie per comunicare loro le motivazioni per le quali sono o non sono stati finanziati. La politica non può capire a fondo le dinamiche produttive, deve delegare, ma delegare è visto ahimè troppo spesso solo come perdere un po’ di potere.
Questo è un estratto dell’intervista più ampia che Pupi Avati ha rilasciato al produttore Simone Isola, e che sarà pubblicata per intero sul prossimo numero di “Fabrique du Cinéma”.