Laura Spini è una giovane regista italiana di base a Londra. Critica cinematografica per molte testate italiane (nel suo curriculum, tra le altre, Linus, Rolling Stone, Prismo, Vice), si è diplomata tre anni fa alla London Film School e il suo corto di diploma è stato un caso di successo.
You are whole, infatti, ha fatto letteralmente il giro del mondo, partecipando a 22 Festival sparsi per tutto il mondo, da Taranto a Palm Springs al China Women’s Film Festival. È stato tra le Vimeo Staff Pick dello scorso giugno e nel Film Shortage’s “10 Marvelous Films by women filmmakers”. Inoltre, dettaglio da non sottovalutare, il protagonista del corto è Fred Melamed, quel Fred Melamed (A Serious Man dei Coen e vari film di Woody Allen).
Da poco è pronto il suo secondo cortometraggio, Dumbboat. Coprotagonista una bambina perfida che dovrebbe spronare un uomo a rimettersi in forma e a uscire di casa, con l’unico risultato di fargli riconoscere il suo essere totalmente fallimentare, in qualunque ambito della sua vita, una baby Miranda Pristley.
Stavo per raccontare la tua coprotagonista (che nei titoli appare semplicemente come The Boss) come un esempio atipico di rappresentazione di una bambina, poi ho pensato che nell’ultimo anno abbiamo avuto una rivalsa di bambine “atipiche”: Eleven di Stranger Things ma anche Chloe Mackenzie, la piccola di Big Little Lies, in attesa che il 16 luglio torni sugli schermi Arya Stark. Cosa state cercando di dirci?
Che se prendi un bambino e lo SPEZZI ottieni risultati meravigliosi! (Scherzo, noi abbiamo detto all’attrice che personaggio avevamo in mente, lei ha fatto il resto. La parte centrale del film è completamente improvvisata. È lei che ha spezzato noi).
Dumbboat è un’altra incursione nella black comedy, dopo il tuo fortunato corto di diploma, ma soprattutto è la storia di un aspirante musicista dipendente dagli snack che passa la sua vita in camera da letto. Da dove viene questa storia?
Laurence Brook, il co-regista del film, è un appassionato di snack. Da You Are Whole, avrai capito che io ho una passione per l’effetto dei libri di auto-aiuto. Volevamo prendere una storia classica, quella del “ragazzo depresso incontra qualcuno che gli svolta la vita” (quella in cui, di solito, a un certo punto spunta la manic pixie dream girl) e vedere fino a che punto potevamo distorcerla e farci odiare dal pubblico.
Si parla sempre più spesso del divario tra uomini e donne, come siete messi in Inghilterra quanto a misrepresentation femminile nell’industria del cinema?
L’anno scorso Stephen Follows, il mio studioso di statistiche cinematografiche preferito, ha pubblicato uno studio sulla disparità di genere nel settore cinematografico in UK. Non dico che sia stato solo lui, ma nell’ultimo anno le cose sono cambiate molto, e le istituzioni “tradizionali” sono corse ai ripari. Per esempio, i BAFTA hanno imposto delle quote per cui un film può essere nominabile solo se, dietro o davanti alla macchina da presa, ha incluso persone generalmente “non rappresentate”. È un passo importante, Ma se parliamo di misrepresentation, i progressi di anni sono stati annullati da Theresa May. Tutti a promuovere il non-odio tra donne, tutti a dire “i film con le evil bitch monodimensionali sono il frutto di una società patriarcale” e poi mettete un Lord Sith al governo. Dài, però…
Quando nel 2015 ci fu la polemica #OscarsSoWhite alcuni dissero che semplicemente quell’anno non c’era nessun attore nero che valesse una nomination; l’anno dopo le associazioni LGBT proposero un boicottaggio del TGLFF – Torino Gay Lesbian Film Festival, colpevole di aver eliminato ogni riferimento a Transgender e Bisessuali e l’allora direttore (e co-fondatore) del festival, Giovanni Minerba, rispose che «i film vengono scelti per il loro valore cinematografico, non nell’ottica di dover rispettare delle quote».C’è stata una sola donna vincitrice dell’Oscar e nessuna donna vincitrice del David di Donatello per la miglior regia, il problema è che non ci sono registe valevoli di questi premi?
Il problema del “rispetto delle quote” è comprensibile da un certo punto di vista: nessun direttore di festival vuole organizzare un festival “di minor valore cinematografico”, perché ogni direttore di festival vuole mostrare al proprio pubblico una selezione di quelle che ritiene essere le eccellenze dell’anno. Come argomentazione, però, diventa inammissibile quando si vanno a vedere i dati sulla rappresentatività. Perché se ho 7 registe e 93 registi, vorrà dire che solo a una donna su 13,3 uomini viene data la possibilità di fare un film.
Se la percentuale di registe donna (o LGBT, o parte di una minoranza etnica) è in netto svantaggio, com’è effettivamente nel mondo reale, il problema è da risolvere alla radice, e lo si risolve – all’inizio goffamente – usando il sistema delle quote. Anche i festival hanno una funzione cruciale nel raggiungimento dell’uguaglianza, nel promuovere i lavori di persone che, proprio grazie ai festival, vengono “notate” e sono quindi in grado di continuare nell’industria cinematografica e di conseguenza possono ingrandire le fila di quel 7%.
Occorre uno sforzo politico nelle assunzioni, nelle storie da raccontare e, non ultimo, nei festival. La “domanda” c’è: le registe donne ci sono, soprattutto (secondo le statistiche) agli inizi, nel campo dei cortometraggi. Poniamo: sei un selezionatore di festival, e di fronte ti capitano due film, uno diretto da una donna (o con una preponderanza di cast o troupe femminile), uno diretto da un uomo (o con una preponderanza ecc). Ti piacciono entrambi da matti, e li vuoi entrambi nel festival. È qui che entra in campo la scelta politica.
Se, nonostante i dislivelli dell’industria, nonostante una tua mancanza di preferenza, scegli comunque il film a maggioranza maschile, allora sei in malafede, perché stai a tutti gli effetti tagliando le gambe a un gruppo di persone che non è adeguatamente rappresentato nel mondo attuale. Sono situazioni che si verificano continuamente, non sempre per malafede ma molto spesso per pigrizia. È solo a evitare cose del genere che servono le quote. Altrimenti ne faremmo tutti a meno.
Come risolvere il problema del “valore cinematografico”? Magari sono un’utopista, ma secondo me un festival può cominciare fornendo incentivi al gruppo interessato, o andando attivamente a cercare buoni film di quel gruppo, così che il punto di inizio della selezione abbia una parvenza di uguaglianza. Usando ancora l’esempio donne/uomini, se ho da fare una selezione tra 50 film di uomini e 50 film di donne, è improbabile che tutti e 50 i film di uomini siano dei capolavori, e tutti e 50 i film di donne siano delle vaccate.
Ci sono registe donne che prendi come modello di riferimento o ispirazione?
Claire Denis, Kelly Reichardt, Jessica Hausner: persone che hanno sempre un po’ fatto il cazzo che pare a loro. Si può dire cazzo?
Tu, in quanto regista donna, ti sei mai sentita discriminata (sul set, a bandi di concorso, application per fondi)?
Spiace lamentarmi perché sono stata trattata con rispetto quasi da chiunque, però rimane sempre una coltre di discriminazione nei rapporti tra “branchi di persone” che non ti vedono mai come un professionista di settore, ma come una donna o come [inserite qui una minoranza a piacere]. L’altro mese ho sentito questa perla: «Perché vedi, la protagonista è una donna di trent’anni, e scenografa X è anche lei una donna di trent’anni, quindi può portare una sensibilità più femminile. Lo stile di Y [un cinese] è troppo cinese».
Come tutte le reginette di bellezza, anche io ho un sogno: mi piacerebbe vivere in un mondo in cui poter tranquillamente venir assillata dalla paranoia che i lavori non mi vengono assegnati perché non sono brava. E invece vivo in un mondo in cui, oltre alla paranoia di non essere brava, c’è la paranoia del grande muro della “compagnoneria maschile”.
Senza far nomi, una volta eravamo in tre in una stanza: due persone che fanno montaggio, io e un uomo, e una (un uomo) che non lo fa. L’altro montatore conosce i miei lavori. A un certo punto, con me presente, ha offerto un lavoro di montaggio alla persona che non fa montaggio. Questa persona ha subito fatto presente: «Io non sono montatore, lei sì». Il montatore gli ha risposto: «Ma non ti preoccupare, questa è roba facile, la fai a occhi chiusi».