I moti celesti: tre adulti ma non troppo e una città

    I moti celesti
    "I moti celesti", l'esordio nel racconto a fumetti di Michele Peroncini.

     I moti celesti, pubblicato da Coconino, segna l’esordio nel racconto lungo a fumetti di Michele Peroncini. La storia ha però un ritmo e delle scelte stilistiche pienamente consapevoli, segno di una profonda conoscenza del linguaggio del fumetto, del cinema d’autore e, come ci ha confessato l’autore, di un rapporto quasi d’affetto con i suoi teneri e spietati “Zanni” da commedia dell’arte.

     Come è nata l’idea dei Moti celesti e quanto ci hai lavorato per portarla a termine?

    Questa storia è nata da riflessioni e suggestioni che si sono sedimentate nel tempo e slanci di idee più improvvise, che mano a mano si sono andate a compattare attraverso il bisogno di esprimermi con il racconto per immagini. Il fumetto è un’arte lenta e forse per questo bisogna essere veloci, ma in ogni caso è difficile iniziare e terminare un libro nel giro di pochi giorni. Ci ho lavorato molto, non saprei quantificare con precisione, perché durante la lavorazione facevo anche altro; penso spesso che ho scritto I moti celesti quando non avevo la penna in mano, durante quel “fare altro” appunto, rimanendo però sintonizzato con la necessità di raccontare.

    I moti celesti

    A proposito della composizione delle tavole, Manuele Fior ha scritto che le tue vignette sono «un mosaico dinamico che marca strettissimo i movimenti dei suoi personaggi». Ti chiederei allora quali sono i tuoi riferimenti, i tuoi “maestri”.

    Hai citato Manuele Fior e sicuramente lui è in cima alla classifica degli autori che più mi ispirano. Le prime opere che mi fecero capire che si potevano sviluppare storie lunghe e autoconclusive attraverso il linguaggio del fumetto furono Cinquemila chilometri al secondo di Fior, per l’appunto, e Appunti per una storia di guerra di Gipi. Sul fronte francese mi piace molto Christophe Blain. Per quanto riguarda la composizione delle tavole, credo che la cosa che più influisce nel “marcare strettamente” i movimenti dei personaggi sia il fatto che inizialmente devo visualizzare lo svolgersi dell’azione in maniera fluida, più o meno come in un film d’animazione, e poi scelgo le immagini e le inquadrature che meglio possono restituire questa dinamicità. Da qui la necessità non solo estetica di tenere una frequenza di vignette molto alta, cosa che permette di essere capillare nel ritmo e ottenere per esempio molti scambi nei dialoghi, oppure all’occorrenza di dilatare i tempi, andando a diminuire e ingrandire le immagini a pagina.

     Sfogliando il tuo libro, una fonte evidente sono inoltre la storia dell’arte e il cinema. Quali autori e quali atmosfere?

    Morandi, Gauguin, Exekias, della Robbia sono alcuni degli autori che vengono citati nel libro a volte per un’unica immagine, riferimenti scelti anche solo per un legame con il contesto narrativo, perché nell’arte mi piacciono davvero troppe cose, spesso molto diverse tra loro: se dovessi partire dalla pittura attica a figure nere sino ai giorni nostri l’elenco sarebbe lunghissimo e sicuramente dimenticherei qualcosa. Lo stesso vale per il cinema: sono una fonte di ispirazione enorme il cinema italiano del Fellini in bianco e nero, quello de I vitelloni, La dolce vita,   o I soliti ignoti di Monicelli, la trilogia del dollaro di Sergio Leone, ma anche la Nouvelle Vague e il cinema americano.

    I moti celesti

    Vista l’attenzione meticolosa all’ambientazione urbana – una Genova grigia e piovosa ma anche, per contrasto, vivacemente colorata – immagino che nella stesura della storia tu abbia studiato da vicino luoghi e scene. È così?

    Volevo che la città fosse un vero co-protagonista, ma devo dire che non è proprio Genova la città in questione, perché nonostante ci sia davvero molto del capoluogo ligure e di tutto il tratto di Levante, c’è ancora di più di La Spezia, la città in cui vivo. Più in generale mi interessava creare un immaginario che rispecchiasse il mio gusto, in cui potermi orientare e raccontare in modo credibile: di conseguenza è stato naturale per me ambientare questa storia in una città di mare dalla forte identità ligure, fatta di scorci e luoghi a me familiari, ma anche di colori e atmosfere che ben conosco, come quei cieli plumbei e piovosi che si trovano in autunno e inverno a La Spezia, così diversi dai cieli luminosi dei mesi estivi.

    Nel racconto picaresco, randagio se vuoi, i tre protagonisti sembrano affacciarsi a una redenzione possibile. Qual è il tuo atteggiamento verso Fausto, Siro e Gian?

    Per me ormai sono tre vecchi amici, tanto che a volte non mi ricordo neppure dove li ho incontrati per la prima volta: di certo li ho trovati disegnando, forse loro hanno trovato me, non so se mi hanno raccontato la loro storia o io avevo bisogno di loro per questo libro. Da subito mi sono sembrati tre randagi, come gli Zanni nella commedia dell’arte italiana, un po’ spiantati e sempre alla ricerca di cibo o denaro, ma in Fausto, Siro e Gian c’è anche un’irrequietezza esistenziale oltre quella materiale, e forse è questa tensione a offrire loro lo slancio per un cambiamento.