Quante volte vi siete trovati in giro per l’Europa con la voglia di vedere l’ultima puntata della vostra serie preferita o guardare il derby Roma-Lazio? Chiunque di voi abbia provato a utilizzare Sky Go o Premium Play fuori dal confine italiano sarà rimasto sicuramente deluso. Gli utenti di Internet, infatti, devono fare i conti con i limiti previsti dalle pratiche di geoblocking, una delle barriere più insidiose che gli assidui frequentatori del web avranno almeno una volta sperimentato.
In poche parole i contenuti digitali sono accessibili solo dai paesi coperti territorialmente dalle licenze concesse dai titolari dei diritti d’autore. Varcata la frontiera dite addio ai vostri canali on demand e godetevi il panorama della Tour Eiffel. Un problema strettamente connesso alla rivoluzione digitale, per cui gli insaziabili divoratori di contenuti online “pretendono” la fruibilità del bene consumato ovunque e senza limitazioni di alcun genere.
La Commissione Europea si è mostrata particolarmente vicina alla posizione dei consumatori e sensibile al tema. Il 6 maggio 2015 l’istituzione comunitaria ha infatti presentato la sua proposta per la realizzazione del Digital Single Market, una complessa strategia da attuare in due anni basata su tre pilastri e sedici azioni chiave. Lo scopo del progetto è quello di migliorare l’accesso a beni e servizi digitali, creare un contesto favorevole e parità di condizioni per lo sviluppo delle reti e massimizzare il potenziale di crescita dell’economia digitale. Dunque, realizzare un mercato unico di servizi digitali equiparandoli, con le dovute cautele, ai beni fisici. Al centro del framework europeo è la riforma del copyright «volta a ridurre le disparità tra i regimi di diritto d’autore nazionali e a permettere un accesso online più ampio alle opere in tutta l’Unione Europea, anche mediante ulteriori misure di armonizzazione».
Uno degli aspetti più complessi e dibattuti per la realizzazione di questa ambiziosa strategia riguarda proprio il geoblocking, sul quale la Commissione ha aperto una consultazione pubblica. Il pacchetto di azioni presentato a Bruxelles, a dicembre, parla chiaro: le limitazioni territoriali rappresentano un ostacolo alla libera circolazione di beni stabilita dal Trattato di Schengen, di conseguenza si deve assicurare il diritto alla portabilità dei contenuti. Musica per le orecchie dei consumatori, ma con qualche nota stonata. Infatti, la Commissione, che aveva previsto inizialmente l’abolizione incondizionata del geoblocking sulla scia delle politiche statunitensi, oggi fa qualche passo indietro a favore dei soli “viaggiatori”.
La necessità di contemperare e bilanciare esigenze diverse, dunque, è alla base del dibattito. Il tema della portabilità dei beni immateriali incontra inevitabilmente ostacoli di natura oggettiva dovuti alla stessa natura del bene in questione e a una normativa fortemente differenziata a livello mondiale ed europeo. Se come abbiamo visto l’Unione Europea punta al Mercato Unico in linea con gli interessi degli utenti, i rightholders storcono il naso. Tra i maggiori detrattori infatti vi sono i produttori di contenuti, i distributori, le emittenti e gli investitori che da questo significativo cambiamento del mercato uscirebbero in parte danneggiati.
In particolare sarebbero toccati soprattutto gli operatori medio piccoli e indipendenti dell’industria cinematografica, che come sappiamo è basata su un business fortemente territoriale e sulla prevendita nazionale dei diritti per assicurarsi le fonti di finanziamento. La stessa Unione Europea ha riconosciuto l’importanza delle licenze territoriali per il finanziamento, la produzione e la coproduzione di film e contenuti televisivi, sottolineando che la libertà contrattuale di scegliere l’estensione territoriale e le piattaforme di distribuzione incoraggia l’investimento in contenuti creativi e favorisce la diversità culturale.
Le pratiche di geoblocking sono al centro del mirino anche di un’altra autorità europea. Recentemente infatti l’Antitrust ha aperto un’indagine formale che coinvolge Sky Uk e sei major (Warner, Sony, Disney ecc.). Già in tempi non sospetti l’Antitrust aveva indagato su alcune disposizioni degli accordi di licenza tra diversi importanti studi di produzione americani e i principali gruppi di pay tv europei. Sotto accusa oggi gli accordi conclusi tra le parti per impedire ai consumatori abbonati a Sky di fruire altrove in Europa, sia online sia via satellite, dei servizi disponibili in Gran Bretagna e in Irlanda. La commissaria Margrethe Vestager punta il dito contro le major nella convinzione che siano state violate regole concorrenziali. Per la Commissione Europea il risultato è che «queste clausole garantiscono l’assoluta esclusività territoriale a Sky Uk e/o altri broadcaster, eliminando la concorrenza tra tv e ripartendo il mercato interno tra i confini nazionali». Le parti potranno formulare la loro difesa basata sulle accuse formulate nel cosiddetto Statement of objections (Comunicazione di Addebiti) della Commissione, la quale in caso di motivazioni poco convincenti potrà decidere di multare i colossi dell’audiovisivo internazionale.
La spinosa questione dell’abolizione delle restrizioni regionali divide e fa discutere. Le istanze sono tante quanti gli interlocutori, e le conclusioni opinabili a seconda del punto di osservazione che si predilige. Toccherà aspettare le decisioni prese a livello europeo e intanto continuare a guardare la Tour Eiffel.