“C’era una volta …”. No, non è più così che iniziano gran parte delle storie raccontate dai nostri sceneggiatori, ma con il meno letterario “Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale”.
Sì, perché il “matrimonio” tra arte e reale gode di particola fortuna. Anche Hollywood se ne è accorta, tanto che da anni film basati su storie vere vedono la partecipazione di cast stellari e sono tra i più premiati nella notte degli Oscar. Solo nel 2020, quattro sui nove film candidati all’ambita statuetta: Le Mans 66 – La grande sfida di James Mangold, C’era una volta a … Hollywood di Quentin Tarantino, Irishman di Martin Scorsese e 1917 di Sam Mendes, traevano origine o ispirazione da eventi realmente accaduti. È indubbio che il collegamento con il reale può aggiungere un gradiente di fascinazione e interesse alla finzione cinematografica. Non sono poche, però, le difficoltà che si incontrano quando si raccontano storie che hanno riscontro con la realtà.
La stessa dizione «This motion picture is a work of fiction and any resemblance to persons living or dead is purely coincidental» esiste per una disputa legale relativa al film Rasputin e l’imperatrice del 1932, che non la conteneva. Il film narra la storia e l’omicidio del monaco russo Rasputin; la principessa Irina Yusupova, moglie di uno degli attentatori del vero Rasputin, descritta nel film anche se con nome di fantasia come amante di Rasputin e poi vittima di stupro, fece causa alla Metro-Goldwin-Mayer che lo aveva prodotto, contestando la non veridicità di tali fatti e ottenne un risarcimento. Da allora per le produzioni americane, e non solo, divenne la regola introdurre nei titoli il all persons fictitious disclaimer.
Questa soluzione, sebbene utile, non è di per sé sufficiente a mettere al riparo dal rischio di cause. Chiunque voglia raccontare storie vere deve sempre mantenere l’equilibrio tra due opposti diritti di rango costituzionale: la libertà di espressione artistica che si manifesta attraverso la realizzazione di un’opera può anche prendere spunto o raccontare fatti realmente accaduti rielaborandoli a scopo artistico, ma non può travalicare il limite implicito imposto dal rispetto della reputazione, onore e identità personale dei soggetti coinvolti nella vicenda. A differenza della stampa, che ha la funzione di informare e quindi deve riportare notizie vere, obiettive e che rispondano a un pubblico interesse, le opere artistiche sono pur sempre frutto di creatività e quindi possono anche discostarsi dalla realtà, ma con degli specifici limiti. L’autore di un film potrà riportare e immaginare anche fatti non veri e potrà descrivere un personaggio attribuendogli comportamenti e dialoghi di fantasia che ne arricchiscano la figura e lo rendano più comprensibile, ma non potrà travisare la veridicità della vicenda e la personalità dei soggetti realmente esistiti.
I limiti posti alla libertà di creazione artistica andranno comunque modulati in base alla natura dell’opera cinematografica. Nei film di genere documentario, assimilabili alla stampa per la loro funzione di ricostruzione storiografica o biografica, i fatti andranno riportati in modo fedele e corrispondente alla verità a discapito di una maggiore compressione della libertà di creazione artistica.
Analoga impostazione andrà seguita nel caso di film ripercorrenti vicende di cronaca giudiziaria che dovranno essere raccontate in modo aderente agli atti processuali o comunque conforme agli accertamenti compiuti dall’autorità giudiziaria sino al momento della realizzazione del film. Qui l’autore nel ricostruire i fatti potrà accompagnarli con commenti critici che, per non incorrere in diffamazione, non dovranno risultare inutilmente aggressivi o esclusivamente volti a denigrare l’identità personale del soggetto rappresentato.
In alcuni film, invece, il ricorso a personaggi, vicende o ambientazioni reali è inserito nelle opere non con intenti di cronaca, ma solo per esigenze artistiche dell’autore. Si pensi ad esempio al film di Woody Allen Midnight in Paris in cui l’incontro tra il protagonista Gil, uno sceneggiatore dei giorni nostri, con Hemingway, Fitzgerald, Picasso e altri protagonisti della vita intellettuale dei ruggenti anni ’20, è chiaramente non veritiero, ma serve per creare lo sbigottimento e la confusione che condurrà Gil a cambiare le proprie scelte di vita. In questi casi lo spettatore è consapevole che si tratta di un’opera immaginaria priva di intenti informativi e che quindi prescinde dal requisito della verità. Per l’autore di tali opere resta comunque il limite di raccontare i fatti in modo misurato, ossia senza ricorrere a immagini, recitati, sequenze, inquadrature o musiche che possano indurre l’elaborazione di giudizi lesivi della personalità altrui.
A metà tra il racconto di pura finzione e di verità si collocano le fiction, la cui caratteristica è quella di ripercorrere vicende realmente accadute accompagnandole con elementi di finzione impiegati per finalità di “romanzare” l’opera. In questi casi di commistione tra reale e immaginario lo spettatore può non essere in grado di discernere la verità dalla fantasia dell’autore. Pertanto l’autore, per evitare di incorrere in ipotesi di diffamazione, dovrà aver ben chiaro quale funzione vuole attribuire alla sua opera. Nel caso prediliga un intento cronachistico dovrà rispettare in modo più rigoroso il requisito della verità, mentre una maggiore elasticità gli sarà consentita qualora persegua finalità di puro intrattenimento. Dietro ai The Wolf of Wall Street, Argo, Prova a prendermi, Tutti gli uomini del presidente o altri biopic impressi nella nostra memoria c’è quindi un intenso lavoro di precisione. Lavoro che non deve essere svolto con metro e compasso, ma che richiede una grande sforzo di elaborazione creativa e solide basi culturali. E ciò non solo per evitare di travalicare il perimetro definito dai limiti costituzionali, ma anche per non incorrere in asettiche ricostruzioni matematiche dei fatti che riducano il cinema-verità, per dirla con le parole del grande Werner Herzog, a «raggiungere una verità meramente superficiale. Una verità da ragionieri».
* Caterina Niccolai è avvocato, specializzata in diritto della proprietà intellettuale e industriale, con principale attenzione al diritto d’autore in ambito cinematografico e televisivo.