Fabrique du Cinéma segue da vicino con Chicco Agnese il dibattito sul decreto Franceschini, ospitando i pareri delle diverse parti in causa e aggiornando i lettori sull’evoluzione della legge che potrà avere importanti ricadute nel nostro settore.
Il 2 ottobre scorso il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo che riforma le norme in materia di promozione delle opere europee e italiane da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi, cioè delle reti televisive, aggiornando l’articolo 44 del Testo unico della radiotelevisione. Per il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, si tratta di «un provvedimento concreto che serve ad aiutare, tutelare e valorizzare il cinema, la fiction e la creatività italiane».
Non sono dello stesso avviso i broadcaster – RAI, Mediaset, Sky, Discovery, La7 ecc. – che hanno scritto una lettera molto critica al Ministro, in cui definiscono il provvedimento un’imposizione insostenibile, sotto il profilo editoriale, economico e occupazionale, a danno dei maggiori operatori televisivi nazionali. I broadcaster lo giudicano un intervento peggiorativo, di tipo protezionistico, e considerano eccessivo sia l’innalzamento delle aliquote complessive e delle relative sotto quote a favore della produzione indipendente europea e nazionale, sia le sanzioni previste in caso d’inadempimento.
E così la polemica scivola, ovviamente, nei numerosi talk show televisivi, nei quali si confrontano animatamente le diverse opinioni e i contrapposti interessi chiamati in causa dagli effetti del provvedimento: vari e autorevoli giornalisti ne denunciano il carattere illiberale e autoritario, polemizzando con produttori e autori, che invece sostengono la riforma.
A fianco del decreto si schierano, infatti, i produttori indipendenti dell’Anica e anche l’Associazione dell’Autorialità Cinetelevisiva 100autori, oltre a numerosi registi e intellettuali. Considerando che il testo non è ancora definitivo, perché occorrono ancora i pareri del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti, è prevedibile che, nelle prossime settimane, il tema rimanga all’ordine del giorno, visto che i protagonisti sono proprio i potenti media televisivi.
Si tratta, a nostro avviso, di un provvedimento che offre nuove e importanti opportunità ai giovani, e non solo, che operano del mondo della produzione cinetelevisiva, rendendo disponibili nuove risorse finanziarie, che possono tradursi non solo in una crescita produttiva – si stima che il provvedimento comporterà un aumento della spesa complessiva in produzione audiovisiva dagli attuali 750 milioni a circa 1,2 miliardi di euro – ma anche in una valorizzazione della creatività e quindi della qualità del cinema italiano, delle serie tv, dei documentari e delle opere di animazione.
Proprio per questo cominceremo il nostro giro d’interviste con un rappresentante del mondo autorale, Alberto Simone, regista, autore, sceneggiatore ed anche produttore di fiction, membro della Direzione dell’Associazione 100autori, di cui fa parte, fra gli altri, il giornalista-scrittore Andrea Purgatori. Prima di passare all’intervista è forse opportuno descrivere brevemente i contenuti del provvedimento, avvalendosi dei dati pubblicati nel sito del ministero.
Le misure s’ispirano al modello francese, considerato un esempio virtuoso in materia, e prevedono un inasprimento degli obblighi di programmazione e d’investimento a carico delle reti televisive a favore delle opere italiane ed europee. La normativa si muove su due piani: programmazione e investimenti.
Obblighi di programmazione
1) È definita una quota minima per tutte le opere europee pari al 55% per tutti gli operatori per il 2019 (quota elevata al 60% dal 2020);
2) a decorrere dal 2019 è introdotta una sotto quota riservata alle opere italiane, di qualsiasi genere, pari: per la RAI, ad almeno la metà della quota prevista per le opere europee e per le altre emittenti ad almeno un terzo;
3) il rispetto delle percentuali si riferisce all’intera giornata di programmazione;
4) nel prime time (fascia oraria 18-23) una quota del tempo settimanale di diffusione deve essere riservata a film, fiction, documentari e cartoni animati italiani: il 12% per la RAI, il 6% per gli altri fornitori. Si tratta di un film o fiction o documentario o animazione a settimana. Per la RAI l’obbligo è di 2 opere italiane a settimana, di cui una cinematografica.
Oltre alla crescita delle aliquote, quello che spaventa i broadcaster è, dunque, l’introduzione di un obbligo di programmazione nel prime-time, voluto per evitare che le opere fossero programmate in orari “impossibili”. Tale vincolo, infatti, potrebbe, a detta dei broadcaster, confliggere con le strategie editoriali delle reti, imponendo dei generi, e rendendo meno competitiva la programmazione in una fascia pregiata sia dal punto di vista degli ascolti Auditel sia da quello pubblicitario. I film italiani, per esempio, salvo rare eccezioni, trovano una scarsa audience in prima serata, mentre i documentari e la docu-fiction, nel nostro paese, raramente vengono proposti in prime-time e manca pertanto un’abitudine alla fruizione di questo genere televisivo da parte del pubblico, nonostante la disponibilità di prodotti nazionali eccellenti.
Obblighi d’investimento
Per i fornitori diversi dalla concessionaria di servizio pubblico
1) È confermata la base degli introiti netti annui per il calcolo degli investimenti richiesti;
2) la quota d’investimento riservata all’acquisto o al pre-acquisto o alla produzione di opere europee, è pari ad almeno il 10% (quota elevata al 12,5 % dal gennaio 2019 e al 15% dal 2020). Per il 2018 la quota è riferita interamente a opere prodotte da produttori indipendenti, come oggi, mentre per il 2019 e dal 2020, a queste ultime opere sono riservati i cinque sesti delle quote previste;
3) all’interno della quota complessiva prevista per le opere europee, il decreto riserva direttamente alle opere cinematografiche italiane la quota minima del 3,5% degli introiti netti annui. Tale percentuale è innalzata al 4% per il 2019 e al 4,5 % a decorrere dal 2020. Oggi è il 3,2%.
Per quanto riguarda la RAI
1) È confermata la base, per il calcolo degli investimenti richiesti, dei ricavi complessivi annui derivanti dal canone, nonché dei ricavi pubblicitari connessi alla stessa (al netto degli introiti derivanti da convenzioni con la pubblica amministrazione e dalla vendita di beni e servizi);
2) la quota di riserva al pre-acquisto o all’acquisto o alla produzione di opere europee è pari ad almeno il 15% dei ricavi complessivi annui. Tale quota è elevata al 18,5% dal gennaio 2019 e al 20% dal 2020. Per il 2018 la quota è riferita interamente a opere prodotte da produttori indipendenti, mentre per il 2019 e dal 2020, a queste ultime opere sono riservati i cinque sesti delle quote previste.
3) all’interno della quota complessiva prevista per le opere europee, il decreto riserva direttamente alle opere cinematografiche italiane, la quota minima del 4% dei ricavi complessivi netti. Tale percentuale è innalzata al 4,5% per il 2019 e al 5 % a decorrere dal 2020. Oggi è il 3,6%.
Si tratta, in sintesi, di un aumento significativo ma graduale degli investimenti obbligatori in produzioni italiane e comunitarie, che passano dal 10 al 15% per le televisioni private e dal 15 al 20% per la RAI. Aumentano anche i finanziamenti per le opere cinematografiche italiane. Dunque, una prospettiva allettante, perlomeno per chi opera a vario titolo nella produzione indipendente, ne parliamo, come anticipato, con Alberto Simone.
[questionIcon]Il nuovo decreto Franceschini ha visto una decisa reazione da parte dei broadcaster che lo giudicano eccessivo rispetto alle proprie strategie economiche e ai vincoli finanziari e lamentano di non essere stati ascoltati. Che cosa mi dici in proposito?
[answerIcon]Credo che nelle intenzioni del Ministro Franceschini non ci fossero intenti punitivi per nessuno e tantomeno per i broadcasters. È stato ecumenico nel modo di procedere fin dall’inizio della formazione del progetto di legge di riordino dell’audiovisivo ascoltando rappresentanti di tutta la filiera, le Associazioni di categoria e i sindacati. Anche noi come autori abbiamo avuto la possibilità di dire la nostra ed essere ascoltati.
Quest’ultimo decreto prevede l’obbligo di rispettare le quote introdotte già nel 2013 dopo una lunga battaglia e di aumentare progressivamente gli investimenti e la programmazione di prodotti audiovisivi italiani ed europei, non solo da parte delle emittenti televisive ma anche delle piattaforme a pagamento e on line. Più risorse significano più concorrenza, più qualità nei film, nelle serie tv, nei documentari e nelle opere d’animazione. Non solo: viene integrata, come da normativa europea, l’attuale definizione di “produttore indipendente”, sempre di più una figura chiave nella risistemazione del settore dell’audiovisivo e nella ridefinizione delle quote dei diritti. I broadcasters saranno quindi obbligati al rispetto delle quote di produzione e programmazione di cinema italiano ed europeo già esistenti da tempo. Fino a oggi la legge prevedeva multe risibili. Ora il nuovo decreto introduce sanzioni serie che possono arrivare a multe salatissime e in casi estremi anche alla revoca delle concessioni. Poi, per quanto riguarda l’aumento delle quote, previsto peraltro in misura molto contenuta, le televisioni avranno tempo fino al 2018 per adeguare strategie e bilanci, per arrivare a regime nel 2020. La gradualità e la stessa riduzione delle quote, rispetto a quanto previsto nella prima bozza, hanno rappresentato da parte del Ministro l’accoglienza ad alcune delle proteste dei broadcasters, che ora avranno il tempo necessario per assorbire i nuovi obblighi. Un altro importante cambiamento riguarda l’obbligo di trasmissione in orari di prime time, il che garantirà una maggiore visibilità alle opere italiane sia prodotte che trasmesse.
[questionIcon]Oltre agli aspetti economici e finanziari una critica da parte di molti opinion-leader è che si tratta di una legge di tipo protezionistico, un’imposizione autoritaria che condiziona le politiche e le strategie editoriali, intervenendo addirittura sui palinsesti non solo della RAI, servizio pubblico, ma anche delle emittenti private.
[answerIcon]La nuova legge Franceschini nel suo complesso, di cui questo decreto rappresenta il compimento, ha creato enormi agevolazioni per tutta la filiera dell’audiovisivo. Anche i broadcasters potranno usufruirne. Infine si dimentica un principio basilare, ovvero che l’Etere è dello Stato e quindi di tutti. I broadcasters non sono proprietari degli spazi che occupano, ma usufruiscono di concessioni di trasmissione. È giusto che quello che scelgono di trasmettere risponda a principi costituzionali di libertà editoriale e imprenditoriale. Ma non è sbagliato che la composizione dei contenuti sia regolata nell’interesse di tutto il settore.
Era più che mai urgente mettere tutto il sistema in condizione di liberare il maggior numero di risorse per aumentare la qualità incrementando la competizione.
[questionIcon]Quindi da una parte i broadcaster, contrari, e dall’altra i produttori e gli autori favorevoli, nonostante qualcuno sottolinei che gli stessi produttori non sarebbero pronti alla sfida. Insomma quali i reali benefici per l’industria dell’audiovisivo?
[answerIcon]Credo che aumentare la domanda di prodotto nazionale da parte dei Broadcasters potrà favorire un maggiore pluralismo, comporterà un’offerta più ampia per gli spettatori e nuovi stimoli anche agli autori che, non dimentichiamolo, sono una componente essenziale di questo processo. Il pubblico dimostra di gradire una pluralità di proposte, così come una certa libertà di scelta e ha bisogno di alimentare il proprio immaginario con forme-racconto che un eccesso di realtà e cronaca penalizzano. Limitare l’offerta di cinema e fiction vuol dire regalare ampie fasce di pubblico a chi invece e capace di offrire fantasia ed emozioni. E non dimentichiamo che attraverso questa legge sarà possibile imporre gli stessi obblighi anche a players come Netflix e presto forse Amazon, Yahoo e lo stesso Facebook, tutte aziende straniere benvenute per la loro dirompente capacità d’innovazione, ma che oggi vengono anche a fare shopping di abbonati nel nostro Paese, spesso senza pagare le tasse e i diritti d’autore dovuti. La legge li obbligherà a concorrere al finanziamento della nostra industria, creando lavoro per i produttori indipendenti e maggiori possibilità di espressione e libertà per i nostri autori.
[questionIcon]Una regolamentazione più chiara e stringente può da sola innescare un processo virtuoso di rafforzamento del fragile comparto della produzione italiana o deve essere accompagnata da un salto di qualità dei modelli produttivi?
[answerIcon]Certamente creare le condizioni strutturali non basta. Ma per un reale aumento della qualità occorre aumentare la quantità e la competizione tra i vari protagonisti. Ricordiamo il bene che ha portato a tutto il sistema la legge sul reinvestimento di quote d’introiti pubblicitari in produzione di cinema e fiction nazionali. Una piccola torta non può che essere divisa e controllata dai più forti e strutturati, creando sistemi chiusi, poco inclini all’innovazione e al rischio e scarsamente accessibili a soggetti più giovani e innovativi. Questo decreto è un passo necessario per dare anche al nostro cinema e ai suoi autori la certezza di un afflusso di risorse come quelle che hanno garantito sviluppo creativo e solidità finanziaria alle maggiori cinematografie europee.
[questionIcon]Il decreto s’ispira al modello francese e anticipa alcuni regolamenti in discussione EU, fra i quali, come hai sottolineato, quello di estendere le quote anche ai produttori tipo Netflix, Amazon etc., della TV on demand? Perché dunque queste polemiche se lo scenario europeo si muove nella stessa direzione?
[answerIcon]Come 100autori abbiamo sostenuto la politica delle quote. Era il gennaio del 2013 quando tutti gli autori accoglievano con soddisfazione, dopo ben cinque anni di battaglie, la firma del decreto sulle quote, fortemente osteggiato, anche allora, dalla lobby dei network – che sullo sfruttamento delle opere dell’audiovisivo hanno realizzato ingenti profitti. Difendere la nostra cultura, i nostri modelli e valori e soprattutto la nostra lingua, dovrebbe essere interesse di tutti. È il solo modo di tutelare le nostre identità e di contenere l’avanzata di chi invade il nostro immaginario e quello dei nostri ragazzi con prodotti e modelli culturali che non ci appartengono. Anche a noi piacciono le serie americane, ma non possono diventare modelli di riferimento unico e universale. Abbiamo anche noi le nostre proposte stilistiche e narrative. E a quanto pare sono molto apprezzate anche fuori dai nostri confini.
[questionIcon]Parliamo ora di fiction televisiva, un mercato che sembra in crisi, nelle mani di pochi operatori, che ha visto significativi tagli di budget da parte dei principali broadcaster. La competizione RAI-Mediaset, finora unici veri produttori, non sembra aver favorito l’industria dell’audiovisivo, mortificando la sperimentazione per paura dei flop e chiudendo il mercato a nuovi linguaggi e quindi a giovani autori e produttori. Come superare questa impasse?
[answerIcon]Come dicevo la salute di un sistema viene dal pluralismo, dalla differenziazione dell’offerta e dei generi. E mi piace sottolineare che, per raggiungere le quote, i broadcaster possono produrre e trasmettere anche documentari, un genere necessario e troppo sacrificato, e perfino progetti di animazione in cui l’Italia sta provando a dire la sua. Tutto questo può generare una sana e virtuosa competizione e non può che aumentare il livello e la qualità della produzione da una parte e della libertà di scegliere a chi proporre un progetto dall’altra. Per anni in Italia abbiamo convissuto con un sistema chiuso e poco osmotico. Digitale e globalizzazione stanno frantumando le mura di questo sistema, costringendo anche chi ha vissuto i vantaggi di una certa rendita di posizione ad aprirsi, a ricercare nuove proposte creative e produttive, a crescere e a competere con chi fa della qualità della propria offerta di narrazione un punto di forza inarrestabile. Tutto questo non può che creare nuove opportunità, soprattutto per giovani autori e filmmakers che, ricordiamolo, rappresentano il futuro dell’audiovisivo nel nostro Paese.