Sono diversi anni che assistiamo alle trasposizioni cinematografiche di fenomeni del web. Sono anni che vediamo produzioni e distribuzioni investire milioni di euro per lanciare i famosi youtubers nel mondo del cinema. E sono anni che assistiamo al fallimento di queste operazioni. Perché l’industria cinematografica si muove in questa direzione? Forse il problema è sempre lo stesso. In Italia non esiste una vera industria cinematografica e per questo numeri, statistiche e risultati non creano un precedente. Ogni produttore e distributore è convinto della genialità della propria operazione, di aver trovato la gallina dalle uova d’oro, il Checco Zalone del web. Tanto alla fine si sa che i dati nel nostro Paese non sono poi così importanti. Come in televisione, anche nel cinema spesso e volentieri si sottolineano solo i grandi successi, e non i grandi flop. Ma l’analisi degli insuccessi in un’industria è fondamentale, perché permette di correggere il tiro, di migliorarsi e andare nella giusta direzione.
Dietro al discorso che andiamo a fare, c’è quindi un approfondimento più generale del fenomeno: non si tratta di singoli film, della critica all’uno o all’altro, ma dell’analisi di un linguaggio.
Il primo postulato fondamentale è che il linguaggio del web non è un linguaggio cinematografico. Forse negli anni a venire potrà diventare l’ottava forma d’arte dopo il cinema, ma sicuramente le leggi che lo governano sono completamente differenti da quelle che regolano la settima arte. Il cinema è una forma d’arte dove la visione è dilatata, l’attenzione ai dettagli è costante, il suono, i colori, la recitazione sono elementi che non possono passare in secondo piano. Ma soprattutto il linguaggio narrativo e la sua struttura seguono schemi e regole ben precise, e anche le eccezioni rientrano tutte nel paradigma di una STORIA da raccontare, compiuta (parliamo di un cinema apprezzato dalla critica e dal pubblico).
Il linguaggio del web e la sua fruizione è molto diverso. Tutto si abbassa di vari livelli, tutto è concentrato, spremuto, segmentato. La comicità, il nonsense, l’irrazionale, la burla, la parodia, divampano. Viviamo in una società dove l’uso dei social e degli smartphone si è espanso a dismisura, ogni individuo fruisce di contenuti web a qualsiasi ora della propria giornata, siamo costantemente bombardati da video, fotografie, immagini. In questo bombardamento rientrano anche le webserie, gli youtuber, gli sketch e le gag degli artisti 2.0. Queste piccole opere devono essere capaci di strappare un sorriso, un interesse, in pochi minuti. E in pochi minuti possono ottenere migliaia di visualizzazioni. Non è importante la qualità tecnica, non è importante il livello di recitazione degli interpreti, la cosa importante è che l’amalgama del tutto porti al risultato prefissato, che può andare dalla semplice risata alla vendita di un prodotto.
Questi due elementi vendita e contenuto si fondono spesso palesemente, perché così funziona il web. È un grande mercato che ti entra dentro casa. È un contenuto gratuito, fruito quasi sempre attraverso lo smartphone (anche questo un mezzo compresso, non un cinemascope con il dolby sorround!). E se un prodotto ha successo può raggiungere milioni di persone, un pubblico grande come quello del prime time televisivo, e superarlo. E dunque ha un potenziale di visibilità decisamente più alto di quello cinematografico. Anche perché essendo un contenuto gratuito e condivisibile, gli utenti possono postarlo sulle proprie pagine suggerirlo sotto forma di link, e fare un passa parola mediatico senza paragoni. Tutto questo e molto altro è il mondo del web. Ha le sue regole, il suo funzionamento, il suo linguaggio espressivo. Ed è impossibile da trasferire sul grande schermo.
Se si vuole ottenere un simile successo commerciale al cinema, ci si aspetta che una storia mantenga ritmo e intensità dall’inizio alla fine, che faccia ridere se si tratta di una commedia, o che colpisca le emozioni più profonde se si tratta di un dramma, e via dicendo. Tutto si dilata e il pubblico che paga un biglietto, che spende dieci euro e dedica 90 e passa minuti della propria vita solo ed esclusivamente alla fruizione di un’opera si aspetta qualcosa in cambio. Si aspetta di identificarsi in ciò che vede e di provare emozioni.
Perché questo è il cinema. Una forma d’arte il cui successo è sempre più determinato da una storia che funzioni, da un’interpretazione credibile e da un coinvolgente impatto visivo. I milioni di persone che visualizzano un contenuto sul proprio smartphone in forma gratuita non si muoveranno mai in massa per vedere lo stesso contenuto a pagamento e in un arco temporale più lungo e all’interno di un luogo/spazio predefinito. È come se si decidesse di esporre le fotografie più visualizzate su Instagram in un museo, pensando che i milioni di persone che le hanno visualizzate accorrerebbero in massa. Non è così, perché il pubblico del web concede al contenuto un’attenzione disinteressata, veloce, rapida, spesso disattenta.
Ma soprattutto è il contenuto che entra nella vita dello “spettatore”, non è lo spettatore che si muove verso il contenuto (e quindi prende l’automobile o i mezzi pubblici e va al cinema). Oltretutto i contenuti audiovisivi presenti sul web in Italia hanno per la maggior parte un livello culturale inferiore rispetto ad altre opere artistiche. Questo perché si aprono a un pubblico più vasto e con un livello culturale basso (sosteneva Umberto Eco che «Internet è la patria degli scemi del villaggio»), ma allo stesso tempo ha un enorme potenziale, quello di permettere a un pubblico non acculturato di avvicinarsi in piccole dosi alla cultura. Sempre che si voglia seguire questa strada.
Dunque perché produzioni e distribuzioni spendono milioni di euro nella trasposizione cinematografica dei fenomeni del web? Forse solo per azzardo. In un futuro dove il cinema sarà dominato dai grandi blockbuster internazionali e il pubblico è destinato ad assottigliarsi a favore di quello del video on demand, forse l’investimento più azzeccato sarebbe quello di entrare a spada tratta nella produzione di contenuti di qualità direttamente sul web in maniera sempre maggiore, come stanno facendo molti colossi internazionali (da Amazon a Netflix) e collegare la produzione web alla pay per view.
Oppure ripartire da produzioni intelligenti e originali (come il successo di Perfetti sconosciuti) creandoci attorno una vera industria cinematografica. I dati parlando da soli, a partire dal film dei The Pills Sempre meglio che lavorare, passando per Game Therapy e Addio fottuti musi verdi, i film delle star del web hanno riscosso una sequela di critiche e flop al box office. Per provare ad avere successo anche nel cinema bisognerebbe ripartire da zero, annullare quello che si è fatto sul web, e adattarsi al linguaggio cinematografico. Vedremo se i prossimi Social Dream e Si muore tutti democristiani (che peraltro ha ricevuto buone critiche al Festival di Roma, per la capacità di allontanarsi dagli sketch proposti sul web e proporre un film “vero”), riusciranno ad adeguarsi alle leggi del grande schermo.
Una cosa è certa, per non rischiare di bruciare questi promettenti talenti le grandi produzioni dovrebbero accompagnarli nella trasformazione verso il linguaggio filmico fornendo loro lo strumento principe della narrazione cinematografica, lo sceneggiatore professionista, figura a volte bistrattata in Italia, ma che risulta fondamentale per questo genere di operazioni. L’unico, con la sua esperienza, capace di creare una struttura di genere forte e compiuta, mutando la comicità del web in storie dal ritmo, tempo e respiro cinematografico.
* L’opinione di Tommaso Agnese – Regista, scrittore e produttore creativo