La maternità e l’analisi dei contesti sociali disagiati sono temi ricorrenti nella sinora ristretta filmografia di Carlo Sironi. Già nei cortometraggi Cargo (2012) e Valparaiso (2016), molto apprezzati nel circuito dei festival internazionali, il cineasta trentaseienne si era infatti concentrato su questi aspetti: nel primo venivano raccontate le vite di una prostituta ucraina incinta e di un ragazzino che la porta quotidianamente sulle strade della provincia romana; nel secondo, si mostravano le vicende di una donna in gravidanza rinchiusa in un centro di identificazione ed espulsione della capitale.
Presentato in concorso nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia e ben accolto dalla critica, Sole è incentrato sul rapporto che si instaura tra Ermanno (l’esordiente Claudio Segaluscio), un giovane privo di prospettive che passa le giornate tra slot machine e piccoli furti, e Lena (Sandra Drzymalska), una ragazza polacca giunta in Italia con l’intenzione di vendere la figlia che porta in grembo allo scopo di raggiungere la Germania e dare una svolta alla propria vita. Per soldi Ermanno accetta di fingersi il padre della bimba, così da rendere più semplice il successivo affidamento allo zio e alla moglie che non possono avere figli. Il ragazzo dovrà assistere Lena nella fase precedente il parto ma, quando i due impareranno a conoscersi, le cose inizieranno lentamente a cambiare.
Girato in formato 4:3 facendo ricorso quasi esclusivamente a riprese con macchina fissa, l’esordio nel lungometraggio di Sironi è stilisticamente rigoroso e assai efficace nel rendere sul piano formale il sentimento di isolamento, spaesamento e inquietudine che domina i due protagonisti. Senza concedere nulla alla retorica o a banali edulcorazioni, Sole ci conduce con indubbia forza visiva in una periferia perlopiù indefinita (anche se il dialetto parlato è quello romano e il film è stato girato tra Roma e Nettuno) dalla quale non sembra esserci scampo e ha il notevole pregio di evitare tanto sentimentalismi quanto facili soluzioni.
Nonostante il ritmo della narrazione risulti a tratti eccessivamente lento e la scarsità di dialoghi non permetta sempre di mettere adeguatamente a fuoco le dinamiche psicologiche che guidano i personaggi, Sole si rivela un’opera prima audace, asciutta e molto interessante che segnala la presenza di un futuro, potenziale nuovo autore nel panorama cinematografico italiano. Non è un caso, d’altronde, che il film nella sua fase di sviluppo sia stato ammesso ai laboratori creati nel contesto di alcuni dei principali festival cinematografici (la Résidence de la Cinéfondation di Cannes, il Sundance Mediterranean Lab, la Script Station della Berlinale e il TorinoFilmLab). Ne siamo certi, del romano Carlo Sironi sentiremo parlare ancora.