Il cinema italiano si sta sempre più spesso confrontando con le nuove generazioni, raccontando storie che vedono giovani adolescenti scoprire la propria identità, la connaturata sessualità e il problematico futuro. Se recentemente il filone cosiddetto giovanilistico ha invaso le sale cinematografiche grazie a interessanti pellicole come Piuma di Roan Johnson e Dei di Cosimo Terlizzi, anche la Mostra del Cinema di Venezia sembra confermarne il successo, scegliendo come vincitrice del programma Biennale College Cinema l’opera prima di finzione di Margherita Ferri, intitolata Zen sul ghiaccio sottile.
Racconto generazionale che oscilla tra il classico e moderno, il lungometraggio della cineasta italiana segue le vicende Maia, detta Zen, una sedicenne in costante conflitto con i coetanei e gli adulti, perché incapace di accettarsi in quanto ragazza: unica giocatrice di sesso femminile in una squadra di hockey degli Appennini, Zen si sente fisicamente e mentalmente un ragazzo e, proprio per questo, viene costantemente perseguitata da nomignoli dispregiativi e scherzi di dubbio gusto. Le cose sembrano cambiare quando Vanessa, una delle ragazze più popolari della scuola, decide di scappare di casa, nascondendosi segretamente nel rifugio di montagna di proprietà della madre di Zen.
Capace di confrontarsi con temi complessi con dolcezza e pacatezza, Zen sul ghiaccio sottile (qui il trailer ufficiale) affronta in modo sorprendente un argomento scottante come l’incapacità di comprendere e accettare la propria identità sessuale. Non limitandosi ad attingere dalle logiche dei coming of age movies a sfondo LGBT+ – con cui si sono confrontati diversi registi italiani, come Luca Guadagnino in Call Me By Your Name o Ivan Cotroneo in Un Bacio –, Ferri problematizza ulteriormente la narrazione, spostando l’attenzione sul complesso rapporto tra una ragazza e il suo corpo biologicamente inadatto. La velata transessualità della protagonista, costantemente in crescendo nel corso della visione, è sicuramente il punto forte della storia, che appare proprio per questo motivo estremamente coraggiosa e a tratti inedita nel panorama italiano.
Anche la scelta di focalizzarsi solo parzialmente sull’intreccio d’amore palesa il desiderio della cineasta di aggiungere veridicità alla narrazione, che non appare votata esclusivamente a proporre tradizionali leit motiv rosa. Parallelamente, la messa in scena gioca su tonalità fredde, accompagnate dalle pittoresche e in questo caso inospitali montagne dell’Appennino emiliano; la contrapposizione visiva tra gli spazi italiani e le riprese del ghiaccio artico che si sfalda si delineano inoltre come un’ottima metafora allusiva, che scandisce l’evoluzione della protagonista e la sua maturazione emotiva e identitaria. Nonostante la sceneggiatura scritta sempre dalla Ferri appaia acerba in certi passaggi, si spera dunque che in futuro la regista non perda il desiderio di sperimentare tematiche e stili inesplorati, proponendo con la stessa destrezza altre narrazioni, per così dire, differenti.
Accanto all’interessante regia, degni di nota sono infine i giovani membri del cast, che rientrano nella felice ondata di rinnovamento che sta travolgendo lo star system nazionale. Eleonora Conti, protagonista assoluta nel ruolo di Zen, riesce a delineare solo con la mimica un personaggio complesso e non etichettabile. Meno sfacciata ma altrettanto multiforme, la Vanessa di Susanna Acchiardi colpisce per la semplicità con cui alterna i detti e i non detti, che puntellano il carattere fragile di una ragazza almeno all’apparenza felice. Accanto alle due figure principali, non mancano anche riusciti personaggi secondari, come la mamma con il volto Fabrizia Sacchi, dolce e risoluta, e il fidanzato dalle fattezze di Ruben Nativi, burbero ma protettivo.