Quando Luca Guadagnino ha annunciato il remake di Suspiria, celebre pellicola horror di Dario Argento, una domanda è subito sorta spontanea: è davvero possibile produrre una nuova versione di un vero e proprio cult del cinema italiano? Se molti affezionati fan hanno risposto fin da subito negativamente, solo dopo oggi è possibile esprimere un parere concreto e almeno parzialmente definitivo. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Suspiria (qui il trailer ufficiale) è stato infatti il titolo principale di questa quarta giornata di proiezioni veneziane, dimostrandosi capace di sorprendere in quanto totalmente diverso dal suo predecessore.
Le nuove avventure di Susie Bannion e della misteriosa scuola di danza che decide di frequentare appaiono fin dai contenuti estremamente più complesse e sfaccettate. Nonostante la storia originale sia conservata nelle sue premesse generali, la sceneggiatura di David Kajganich appare innovativa già dalla sequenza d’apertura, rievocando anche un contesto storico non facilmente trattabile nei film di genere: la Guerra Fredda e i drammi del dopoguerra berlinese sono elementi costanti nella pellicola, che intreccia le note vicissitudini sovrannaturali con un trauma più vasto e tangibile. In tal senso, linee narrative inedite si confrontano con quelle che i fan di Argento ben conoscono, aprendosi a nuove ed inquietanti svolte.
Il ripensamento narrativo, che offre non poche sorprese nel corso delle due ore e mezza di visione, non è tuttavia esclusivamente additivo, poiché ripensa anche diversi elementi della storia ideata quattro decenni fa. I personaggi femminili appaiono in netta contrapposizione con le proprie antesignane, delineandosi come modelli di donne forti, lontane dalle scream queens – rubando un termine all’horror a stelle e strisce – del cult del 1977. Ottime in questo senso sono soprattutto le due protagoniste Tilda Swinton e Dakota Johnson: se la prima si è innumerevoli volte dimostrata una delle più brillanti attrici del panorama internazionale, la seconda è finalmente pronta a mettersi in gioco seriamente, dopo il terribile franchise di Cinquanta Sfumature.
Andando oltre il piano contenutistico, in controtendenza con il passato è anche la dimensione più propriamente tecnica, che abbandona l’asfissiante pienezza di Argento a favore della freddezza ispirata di Guadagnino. Proponendo inquadrature eleganti in ogni singolo dettaglio, il cineasta palermitano svuota la scena, operando principalmente su tre livelli: la scenografia, la fotografia e il sonoro. Nel primo caso, l’eccesso tipico del maestro del cinema horror italiano lascia spazio a luoghi più geometrici, estremamente spogli nelle forme ma non meno claustrofobici e disorientanti. Soprattutto le sequenze di ballo, dove i corpi delle attrici dialogano maggiormente con i pavimenti e le pareti, insinuano marcatamente nello spettatore un senso di piacevole inquietudine.
Parallelamente, la fotografia abbandona quasi interamente i colori forti e tendenti al rosso sangue, giocando anche in questo caso con tonalità più fredde, che si adattano perfettamente al contesto post-bellico nel quale si svolgono le vicende. Questo minimalismo è rintracciabile anche nella controparte sonora, che è forse tra le più interessanti tra quelle fino ad oggi proposte da Guadagnino. Mentre la floridezza linguistica vista in Call Me By Your Name è mantenuta, nuovo è invece l’uso che il regista fa del silenzio e soprattutto del sospiro, che puntella tacitamente l’intera narrazione, accompagnando lo spettatore verso l’atteso e visivamente inaspettato finale.
Tornando infine alla domanda iniziale, sembra quindi giusto chiedersi nuovamente: è davvero possibile rifare un cult? Suspiria di Luca Guadagnino ci insegna che la risposta non può che essere affermativa ma, affinché ciò avvenga, è necessario rimodellare totalmente il passato, rispettandolo ma anche restituendolo a proprio modo.