La cinepresa si muove veloce tra corpi e volti indistinti, mentre un bianco e nero elegante conduce lo spettatore in uno dei più noti quartieri afroamericani di New Orleans. Fin dalle prime scene, What You Gonna Do When the World’s on Fire? (qui il trailer ufficiale) sembra fondere il proprio intento documentaristico con uno sguardo tipico del cinema narrativo, muovendosi quasi sospeso tra reportage e finzione. In questo micro-cosmo tanto reale quanto onirico, diversi sono i personaggi che si susseguono davanti all’obbiettivo di Roberto Minervini. Judy, donna impetuosa ma volitiva, gestisce un bar sull’orlo del fallimento e racconta ai clienti la sua storia fatta di droga e violenza. Accanto a lei, Ronaldo e Titus, due fratelli rispettivamente di quattordici e nove anni, affrontano i problemi quotidiani, imparando a convivere con i bulli e con i brutti voti. Krystal Muhammad è al contrario dedita ad una lotta più grande, in quanto capo delle Black Panther, un gruppo rivoluzionario che, dopo i fasti degli anni Sessanta e Settanta, sopravvive ancora oggi chiedendo pari diritti per le persone di colore.
Un affresco di individui tra loro diversi, ma accomunati dal medesimo retaggio, ovvero quello afroamericano. Attento e mai banale, Roberto Minervini racconta con destrezza queste storie, offrendo fin da subito un ritratto chiaro e definito, ma centellinando le informazioni tra i vuoti del cinema documentario e i pieni di quello di finzione. La storia, capace di far riflettere e di coinvolgere nonostante un ritmo disteso, colpisce per la sua estrema attualità, riuscendo più volte ad emozionare. Soprattutto in alcune sequenze, i personaggi sembrano infrangere lo schermo, chiamando direttamente in causa il pubblico senza ricorrere allo sguardo in macchina. Emotivamente perturbanti sono soprattutto le digressioni di Judy, nelle quali il suo passato emerge come frammenti di un triste quadro.
Meno ispirati sono invece gli espedienti visivi che, pur essendo coerenti nel corso di tutta la narrazione, non colpiscono per inventiva. Minervini sfrutta come accennato un pacato bianco e nero, destinato probabilmente ad evidenziare anche stilisticamente la dicotomia etnica che pervade la società contemporanea. L’utilizzo di una fotografia bicromatica è tuttavia ormai un cliché in svariate pellicole di stampo artistico-concettuale, che vi ricorrono quasi con fini nobilitanti. Parallelamente, la cinepresa alterna movimenti di macchina volutamente confusi a primi piani quasi fissi, in una sorta di cortocircuito visivo sicuramente tutt’altro che inedito. Numerosi sono inoltre le scene in cui i protagonisti – ripresi di spalle ma chiaramente riconoscibili – sono pedinati: Minervini tenta in questo modo di rendere ancora più partecipe lo spettatore, pur non riuscendoci completamente.
Narrativamente interessante ma stilisticamente non troppo innovativo, What You Gonna Do When the World’s on Fire? è un perfetto esempio di cinema del reale che, tralasciando i sotto-testi più dichiaratamente didascalici del documentario propriamente detto, dialoga con il passato e il presente del cinema tout court. Sebbene sia ormai giunta l’ora di abbandonare costanti (e, permettetemi, anacronistici) paragoni con un Neorealismo ormai morto e sepolto, è invece significativo notare come un cineasta italiano sia riuscito ad avvicinarsi allo sguardo di Gus Van Sant in Elephant, di Tony Kaye in American History X o di Alfonso Cuarón nel suo recentissimo ROMA, visto sempre in questa edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Perdendo originalità, il lungometraggio di Roberto Minervini sembra quindi guadagnare qualcosa d’altro, ovvero la capacità di rischiare intrecciando le logiche del nuovo cinema d’autore con lo scopo ultimo del reportage.