I bassi, i vicoli, il serpeggiare della vita in una città che è cresciuta come un mondo a sé. Spesso malato, auto flagellato da un’ombra che ne fiancheggia il destino da tempo immemore. Camorra è il nuovo lavoro di Francesco Patierno, documentario con ritmo e potenza di un crime, ma al tempo stesso la vibrazione antologica del documentario d’archivio, genere al quale appartiene appieno pur shakerandone i contributi provenienti dalle Teche Rai con elementi nuovi e impattanti. Intanto la voce narrante di Meg, ex-99 Posse, che punteggia il film con letture e modernizza le immagini in 4:3 (come le vecchie tv catodiche) con i suoi pezzi elettronici.
È stato presentato nella Selezione Ufficiale Sconfini, Fuori Concorso, della 75ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e ci immerge in un’antologia breve sulla malavita organizzata di Napoli. Interviste di repertorio a giovanissimi scugnizzi dagli sguardi e i crimini adulti, i racconti di ordinario racket con tanto di giustiziati, il sistema delle ricetrasmittenti da un’auto all’altra per trasportare carichi di droga negli anni ‘70 e le canzonette sul giradischi utilizzate come segnali circondano lo spettatore in un’osservazione socio-antropologica che scava nell’ethos del popolo partenopeo per ricercare le origini anche storico-politiche dell’espansione camorristica. Allora si passa per il caso di Pupetta Marella, l’evoluzione della camorra a mafia, la potente indipendenza del nuovo sistema tessuto da Raffaele Cutolo negli anni ’70-’80 dal carcere, fino alle dichiarazioni di Antonio Gava, della Democrazia Cristiana, sul rapimento Cirillo.
Dal doc di Patierno emerge una figura apparentemente giocosa nella sua ostentata generosità per la sua gente, ma in perenne lotta contro i giudici delle aule bunker per schivare ogni accusa. Da quelle interviste Rai, sornione dietro le sbarre, Cutolo appare come una versione italiana dell’Escobar di Narcos. Gentile e affabile, battute in punta di fioretto quasi migliori del Ben Gazzarra che ne interpretò un personaggio letterario molto simile ne Il camorrista di Giuseppe Tornatore. È forse lui, Cutolo, la star del film. Più ombre che luci per la verità, ma la presenza del boss attualmente ancora agli arresti e neanche in buona salute, rende questo film veneziano ancora più pingue di contenuti che scottano comunque lo si guardi.
Patierno dosa e seleziona sapientemente un fiume di materiale d’archivio convogliandolo in un montaggio drammaturgicamente appassionante, lineare e ben equilibrato tra l’informare con le testimonianze dirette dell’epoca e l’intrattenere con moderne fusioni d’immagini e musiche elettroniche. È questo il quid che trasporta agilmente le fonti di Camorra attraverso il tempo consegnandoci il film come oggetto conoscitivo del passato, spiegazione del presente e monito sul futuro di una città piena di controsensi, miserie esaltate e nobiltà ferite.