È stato presentato questa mattina a Roma Il vizio della speranza, il nuovo lavoro di Edoardo De Angelis tra i selezionati alla Festa del Cinema. Dopo la storia umanamente ipnotica delle gemelle siamesi in Indivisibili, il regista campano torna a girare a Castel Volturno. Stavolta però la location regina è la foce del fiume omonimo. Maria, Pina Turco, è una donna che vive il giogo di traghettare donne incinte per un traffico di neonati. «Avere un bambino bianco o nero, per chi lo desidera a tutti i costi, è la stessa cosa»: le sibila la sua aguzzina, boss di quartiere interpretata da una inquietante Marina Confalone. Maria scopre di essere incinta, e questo la porterà a scappare dal luogo a cui appartiene. In un limbo di immigrate africane liberate dai loro figli nati per prostituzione, riuscirà Maria a conquistare la libertà per sé e la vita per il suo bambino?
«In questo film vince chi resiste all’inverno. Vince chi ha la pazienza di aspettare che qualcosa cambi. E quando qualcosa cambia riesce, come nel caso di Maria, a servire quell’imperativo etico che nasce dalla scoperta di avere una possibilità. E cioè, agire»: il regista ha sintetizzato così il meccanismo alla base di questo film che utilizza le immagini più delle parole. Maria aspetta un bambino, ma non vediamo il padre. Il suo percorso è tortuoso. Non i deserti di pietre verso Nazareth, ma il fiume Volturno, con le sue barche, la mondezza e i suoi scarti umani che cercano di sopravvivere come possono. Tanti riferimenti al Natale, il Presepe, i Dieci Comandamenti alcune volte sullo sfondo e tanti altri dettagli che il regista infila nella visione, questa Natività laica girata da De Angelis rappresenta una piccola fetta di mondo immigrato da noi in Italia. Si vive quell’accoglienza negata, trasformata in sfruttamento del corpo e consumo delle anime.
Da una parte, per la location post-apocalittica scelta nello stesso comune, il film si potrebbe accostare al Dogman di Garrone, girato al Villaggio Coppola, poche centinaia di metri dalla foce del Volturno. Dall’altra si tratta di donne, immigrati, sfruttamento e solitudini, quindi il pensiero va a Caina, di Stefano Antonucci, anch’esso uscito quest’anno. In queste due pellicole però mancava una ben precisa aura che invece avvolge Il vizio della speranza. «Quando mi chiamò, Edoardo mi disse che voleva fare un film che avesse un tema spirituale, mistico, religioso, esplicitamente cristiano». Ha raccontato lo sceneggiatore Umberto Contarello. «E vedendo ora il film ho trovato l’andamento, la partitura di una parabola».
De Angelis manipola gli spazi desolanti di un certo sud Italia rendendoli non-luoghi. Spazi liminali che si staccano dal quotidiano puntando a sensazioni quasi oniriche, da incubo. Gioca con le messe a fuoco sui suoi personaggi, quasi tutte donne eccetto Massimiliano Rossi, nella parte di un barcarolo. Immigrate, donne come merce, non vengono raccontate direttamente, ma trasversalmente, con presenze che accompagnano la fuga per la vita di Maria. «È doveroso per chi racconta storie cercare nuove forme di linguaggio che si adattino alla trasformazione del sentimento di chi queste storie le deve godere». Ha continuato De Angelis. «Quindi sembra una follia l’innovazione, ma in realtà è un dovere».
Nel ruolo della madre partecipa anche Cristina Donadio. Un personaggio, il suo, che passeggia nella sua doppiezza sessuale quanto morale, ma non viene mai giudicata dalla macchina da presa. De Angelis ci fa attraversare il suo presepe post-moderno, capace di inumanità allucinanti ai confini del reale quanto di tenerezze inaspettate da chi mai immagineremmo. Non è un cinema facile quello di De Angelis, ma involato su un’iperbole dalla significazione sempre più alta. Così Il vizio della speranza si presenta più profondo di Indivisibili e più complesso di Perez. Musiche sensoriali e trascinanti di Enzo Avitabile e per la distribuzione italiana Medusa, ed estera True Colors, sarà nelle sale dal 22 novembre.