“C’è sempre il sole al Circeo”, anche quando a Roma il tempo non promette bene. Soprattutto quando si sente il bisogno di andarsene per dimenticare ciò che succede in città, lontano dal mare. Ma per Nina il Circeo è bello solo se a farle compagnia c’è Sirley, la sua unica amica. E anche qualcosa di più che una semplice amica. Così si sale in macchina all’improvviso, si mette una musicassetta, si canta Maledetta primavera (qui il trailer) e si va via, verso il Circeo, verso il mare.
Elisa Amoruso scrive e dirige un coming of age ispirato in parte alla sua storia personale, che racconta la primavera della giovane Nina, costretta a trasferirsi nella periferia romana insieme alla sua scapestrata famiglia. Lì incontra Sirley, e come cantava Loretta Goggi sulle note della canzone che dà il titolo al film, per innamorarsi basta un’ora. Perché il primo amore investe Nina repentino e inaspettato.
Sirley è una ragazza africana adottata da una famiglia italiana, che lotta tra il desiderio di integrazione e la volontà di non rinunciare alle proprie origini. Parla solo in francese, ma ciò non comporta l’esistenza di una barriera linguistica tra lei e Nina, che sa parlare a sua volta un francese fluido perché “mamma ci teneva”. Le cose in comune tra le due sembrano però terminare qui, perché Sirley è completamente diversa dalla protagonista: sebbene quasi coetanee, appare già come una donna, balla come una donna. È ribelle e, verrebbe da dire, “selvaggia”. Ed è questo il principale problema di Maledetta primavera, la rappresentazione che viene data di Sirley.
La prima volta che Nina la vede, Sirley sta ballando. Un ballo sensuale, che cattura lo sguardo della protagonista e direziona la macchina da presa. Sirley è sempre oggetto dello sguardo curioso e indagatore di Nina. Uno sguardo che ben presto però si dimostra interessato anche al lato più sessuale della ragazza. E sebbene in questi casi Elisa Amoruso si dimostri delicata e attenta a far vedere il meno possibile, con inquadrature fugaci metafora delle occhiate timide di Nina, il problema di fondo sono proprio i canoni stereotipici a cui si ricorre, che giocano su una rappresentazione bidimensionale e a tratti sessualizzata della figura femminile di colore.
Visivamente, il film è in grado di raggiungere dei picchi estetici degni di nota. In particolare, le scene ambientate al Circeo, con la loro scenografia essenziale, sono immerse in un’atmosfera quasi onirica, che contribuisce a sospenderle e a staccarle dal resto del film, trasmettendo perfettamente il senso di pace che probabilmente la stessa regista provava in quei luoghi.
Una nota di merito va anche al lavoro dell’acting coach Tatiana Lepore, che ha preparato ottimamente la giovanissima attrice protagonista Emma Fasano, perfettamente in grado di reggere il peso di un intero film sulle spalle, nonostante la presenza di molteplici primi piani. Amoruso mostra infatti un interesse particolare per il volto della giovane Nina, un volto attonito di fronte al mondo, il volto di chi è sulla soglia dell’adolescenza e guarda per la prima volta dall’altra parte. Perché in fin dei conti Maledetta primavera tenta di raccontare questo, la spinta che dà il primo amore aldilà della soglia, verso la crescita. Una spinta che coglie impreparati e lascia impauriti, perché in fondo che fretta c’era?