Torna utile una bella battuta del film di Paolo Sorrentino come epigrafe per La ragazza ha volato, il lungometraggio di Wilma Labate presentato a Venezia nella sezione Orizzonti Extra: “Noi non sappiamo quello che succede nelle case degli altri”.
La scrittura per immagini di Labate incornicia questo racconto con alcuni avvolgenti movimenti di macchina che restituiscono proprio questa sensazione: in testa e in coda al film, i balconi e le finestre di Trieste, tutte uguali l’una all’altra ma ciascuna contenitore di una storia diversa, teatro di gioie, di dolori, di umanità per cui provare rispetto, compassione, senza giudizio, perché il protagonista della storia che stiamo guardando potrebbe essere il nostro vicino e, se non è lui, allora potremmo essere noi.
Sono subito esplicite quindi le intenzioni registiche di Wilma Labate: un film di osservazione, di sguardo, qualche piano sequenza, ma anche semplicemente inquadrature lunghe, con un proprio respiro, che inducono all’attesa, ma anche invitano a prendere parte a ciò che si sta vedendo.
La ragazza ha volato è la storia di un’adolescente di nome Nadia, una ragazza come tante, forse un po’ solitaria, ma introversa, che quando esce dal proprio guscio inciampa in un ragazzo di cui sfortunatamente accetta un invito: i due si ritrovano a casa di lui, c’è l’umiliazione, c’è il ricatto, c’è la violenza.
Ammirevoli la discrezione e l’economia di scrittura: ci sono le mani dei fratelli D’Innocenzo nella sceneggiatura di questo film, e un certo sapore di gioventù prigioniera e disincantata e di adulti inermi e incapaci di vera comunicazione sono argomenti che i due autori romani hanno nelle loro corde. “È una storia fatta di personaggi che subiscono la vita nel disordine e nell’inerzia. Nadia è una ragazzetta attraente che si muove nel grigiore, con una famiglia affettuosa ma immobile nel destino della periferia, non degradata, solo difficile e sciatta”, dice Wilma Labate, che segue la sua straordinaria protagonista senza il pedinamento “di nuca” che ci stiamo abituando a vedere troppo spesso, né con quella macchina a mano che punta a far dire “dardenniano” di qualunque film ruoti intorno a un personaggio fulcro di tutta la storia. Come già detto, la scrittura per immagini di Labate è misurata, essenziale, mai troppo né troppo poco.
Un’ultima menzione va ad Alma Noce, che interpreta Nadia: bravissima nella prima parte del film, dove le parole che pronuncia si possono quasi contare, ma ancora più brava dal momento della scoperta che le cambia la vita, e in tutti i momenti successivi di accettazione, gestione, condivisione del proprio destino.