Il secondo lungometraggio da regista, Kim Rossi Stuart lo presenta nel Fuori Concorso, poche ore prima dell’uscita in sala. Tommaso, il protagonista, è, per esplicita ammissione del regista, lo stesso personaggio che nel precedente Anche libero va bene veniva abbandonato dalla madre ancora bambino. Questo, come il precedente, è in larga misura un film autobiografico, anche se più che al fedele ricalco delle vicende personali, Rossi Stuart mira a una vasta e generale messa in scena della propria vicenda psicologica ed esistenziale.
Tommaso, quarantenne borghese, attore in perenne conflitto con gli altri, con se stesso, con il mondo e più di tutti con la madre, affronta un’esplorazione delle sue fragilità e dell’eredità ricevuta dalla tormentosa relazione con i genitori. Il terreno d’elezione per questo percorso di consapevolezza è naturalmente il rapporto con l’altro sesso.
L’incipit e l’epilogo scelgono due luoghi tipicamente morettiani come la seduta psicanalitica – virata in parodia – e la spiaggia – anch’essa come teatro delle gesta erotiche del protagonista giocate in chiave grottesca. Il film si costruisce poi per scene autonome imperniate tutte sui dialoghi e una collezione di microazioni comiche che nel complesso fanno pensare a certa commedia sofisticata francese degli anni Settanta e Ottanta. Tommaso però di bello ha una compattezza stilistica, una coerenza di registro e di colore emotivo che ne fanno un oggetto originale e in sé compiuto, una commedia intelligente che senza incastrarsi in giochi cervellotici riesce a produrre riso ristoratore dalla rara leggerezza.
Rossi Stuart racconta con autentica autoironia per nulla compiaciuta le disavventure romantiche di un borghese quarantenne, perso nel garbuglio della propria storia emotiva: un piccolo diario catartico delle proprie manie, idiosincrasie, dei sogni e degli incubi che apre per il film, direttamente e senza falsi pudori, la via del racconto ombelicale, percorrendone però alcuni dei tratti più fecondi, evitandone gorghi e crepacci grazie a un approccio onesto e scanzonato. Così le sedute con lo pseudo-psicoterapeuta diventano un refrain goliardico e macchiettistico, il tema onirico – di solito facilmente eletto luogo dell’elucubrazione più cerebrale – serve qui a dare spessore emotivo e definizione di registro alla macchina narrativa, mentre lo script e la regia impregnano tutto il film di una fresca dimensione ludica.
Dirigersi da soli è forse una delle prove più difficili per un regista attore, e in effetti Kim Rossi Stuart non riesce sempre ad azzeccare il tono. E anche se alcuni dei trucchi che servono a rendere più concreta la dimensione soggettiva del racconto (per esempio le proiezioni mentali del protagonista che trasformano la realtà davanti ai suoi occhi) sono forse tra i più evidenti elementi dissonanti in un impianto per il resto ben congegnato, e anche se il progetto narrativo riesce meglio nella macrostruttura e nelle singole scene di quanto non faccia nell’articolazione delle parti, Tommaso resta una delle visioni più soddisfacenti tra i titoli italiani presentati a Venezia 73, e un brillante esempio di come anche in Italia esista la possibilità di produrre film medi appetibili per il grande pubblico che facciano ridere “di testa” senza per questo costringere lo spettatore ad alcuna esperienza intellettualmente punitiva.