Quando ho saputo che stava preparando un film su Nico, dopo l’esordio con Cosmonauta e l’opera seconda La scoperta dell’alba, non mi sono sorpresa. Perché la storia di Nico – modella per Andy Warhol, voce dei Velvet Underground, ex di cantanti, registi e attori e molte cose ancora – è nelle corde di Susanna Nicchiarelli per sintonia di genere, per comunione di spirito (rock), per animo paneuropeo e antinostalgico, per quella natura da outsider che nemmeno la fama planetaria riuscì mai a cancellare dal curriculum della vestale della Factory. Interpretato da un’altra musa – la Trine Dyrholm musa di Thomas Vinterberg, premiata alla Berlinale per La comune – Nico, 1988 è il film di apertura della sezione Orizzonti alla 74a edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Come hai “incontrato” Nico?
Ho sempre avuto la passione per la musica. A 16 anni ascoltai per la prima volta The Velvet Underground & Nico, il famoso album con la banana, e continuo a farlo ancora oggi. Non mi ha mai stufato. Ricordo che Nico mi colpì subito. Ma quando chiesi ai miei amici chi fosse, loro mi dissero che era una che dopo i Velvet aveva fatto solo “roba inascoltabile”. Lessi poi un libro di interviste in cui si parlava di lei come di una che era stata a letto con tanta gente, con Bob Dylan, Jim Morrison, Iggy Pop, e che dopo i 34 anni era “una donna finita”. A quel punto cominciai a innervosirmi. Ho cercato di capire cosa avesse fatto dopo quel famoso disco, che aveva registrato a 28 anni, e ho scoperto un’artista meravigliosa.
Cosa le era successo dopo i Velvet?
Nel corso degli anni Sessanta aveva avuto una storia turbolenta con Jim Morrison, durata qualche mese ma molto importante. Fu lui, uno dei più grandi amori della sua vita, a insegnarle a scrivere i testi delle canzoni. «Scrivi i tuoi sogni», le diceva. Certo, loro si facevano di acidi e di LSD… poi Nico rimediò un harmonium, uno strumento che si suonava anche senza grandi conoscenze musicali, e così lei cominciò a comporre. All’inizio degli anni ’70 scrisse i suoi dischi più belli, fece le colonne sonore per Garrel, con cui ebbe una lunga storia d’amore. Faceva una musica tenebrosa, sperimentale, strana. Di fatto influenzò quello che sarebbe stato il gothic e la new wave. Lei, che era stata l’icona bionda e algida di Warhol, diventò per tutti la sacerdotessa delle tenebre. Non era vero che a 34 anni era finita.
Però il film esplora i suoi ultimi due anni: perché?
Perché è dopo i quarant’anni che Nico ha ripreso il controllo della sua vita. È vero che nei Settanta la sua produzione era splendida, ma aveva problemi di eroina, era senza una lira, era in piena decadenza. All’inizio degli anni Ottanta invece ha messo ordine nella sua vita: si è trasferita a Manchester, ha trovato un manager, il manager le ha aperto un conto in banca, e con il metadone è riuscita a tenere sotto controllo la dipendenza dall’eroina, ritrovando il rapporto con il figlio.
Ci vuole coraggio ad affrontare un mito come Nico?
No, perché questa è una storia europea che andava raccontata con un film europeo. Nico era tedesca, era inglese la band con cui andava in giro, il figlio era francese, hanno suonato in Italia e oltre cortina… Nico non era una star americana, anche se la fama l’ha trovata negli Stati Uniti.
Ci vuole coraggio a girare un film su questa Nico?
Ecco, sì. Quando cercavo finanziamenti, spesso mi sentivo rispondere che avrei fatto meglio a fare un film sulla Nico “icona”, e non sulla Nico “vecchia”. È il meccanismo crudele della fabbrica dei miti: prima ti innalzano come icona, poi ti denigrano dandoti della sfigata. E invece Nico dopo Nico è la donna che è sempre stata dietro all’icona. L’icona non era niente, lei stessa diceva di essere diversa da quella che cantava canzoni di altri suonando il tamburello. Non è un film patetico su una star decaduta, ma un anti-biopic sulla donna aldilà dell’icona.
Come si lega questo film ai tuoi precedenti?
I miei film hanno in comune il rapporto con la Storia che si intreccia con le storie private. E la dimensione antinostalgica, l’idea di capovolgere l’immagine sempre idealizzata che si ha del passato.
E arriviamo a Trine. Perché lei?
Avevo bisogno di un’attrice brava, che avesse anche energia e positività. Mi serviva qualcuno con cui potessi lavorare sul personaggio. Una che non avesse paura di non apparire abbastanza bella, o invecchiata. Trine aveva sia la tecnica che l’umanità. E da ragazzina ha vinto un concorso canoro europeo, ha inciso due dischi… la verità? Canta meglio di Nico. E riarrangiare le canzoni, con lei e i Gatto Ciliegia Contro il Grande Freddo, è stato divertentissimo.
Leggi l’intervista completa sul prossimo numero di “Fabrique du Cinéma”, disponibile nelle sale cinematografiche, nelle scuole e nelle accademie di cinema dal 2 settembre.