La cifra stilistica di Riccardo va all’inferno, presentato al Torino Film Festival, ce la fornisce un verme che striscia, lento ma inesorabile, all’interno di un plastico su cui il nobile appena uscito dal manicomio progetta la sua vendetta contro la famiglia. Il sozzo e il sublime convivono in un’opera a tinte forti che segna in parte una svolta per Roberta Torre. Non mancano certo colori, toni accesi, scene di sesso e momenti in cui il grottesco la fa da padrone, tutte caratteristiche imprescindibili nel cinema della regista milanese. Ma stavolta la struttura narrativa dell’opera del Bardo impedisce divagazioni. Una serie di titoli in sovrimpressione scandisce in uno speciale couwntdown funebre le vittime della lucida vendetta di Riccardo, privato della salute e dell’infanzia dagli sconsiderati fratelli.
Roberta Torre opta per umanizzare il suo nobile che cova rabbia e ferocia fornendogli un passato e una giustificazione razionale, ma il valore aggiunto al film è frutto dell’interpretazione di Massimo Ranieri, a suo agio sia nella rappresentazione del lato sordido del potere e negli aspri scambi di battute coi familiari che nei suggestivi numeri canori, i quali scandiscono le tappe di quello che è un vero e proprio musical. «L’adesione al musical mi offre la possibilità di cambiare registro, codici narrativi, passando dalla prosa ai versi» ammette Roberta Torre. «Le parti musicali sono come delle visioni, rappresentano un mondo a parte, un sogno. Grazie a queste possibilità espressive ho potuto rappresentare Riccardo per quello che è, un attore, un bugiardo che ti ammazza col sorriso, ti dice una cosa e ne pensa un’altra».
E chi meglio di un cantante consumato, abituato a stare sul palcoscenico fin dalla tenera età, per interpretare il duplice Riccardo? Massimo Ranieri mette la sua voce e la sua espressività al servizio di questo Riccardo dal look punk e dall’animo tormentato, che nel corso del pranzo di famiglia giura di desiderare la pace mentre trama segretamente contro i fratelli in uno scantinato accessoriato di congegni e telecamere. Riccardo spia i familiari che a loro volta lottano per conservare il potere nel Regno del Tiburtino, dove controllano il traffico di droga. «Dopo l’uscita dal manicomio del mio personaggio vi è un’inquadratura in cui viene ripreso di spalle» spiega Massimo Ranieri. «Questa immagine è un’idea di Roberta Torre. Vediamo Riccardo di spalle con il mantello addosso. È un mantello pesante, che evoca la pesantezza della vita. Questo mantello mi fa fatto pensare al Nosferatu di Murnau, ma con una differenza: Nosferatu si nutre di sangue, Riccardo si nutre dell’amore che non ha mai avuto».
Roberta Torre crea un felice equilibrio tra parti cantante e recitate, tradendo il Bardo là dove necessario per modernizzare e rendere vicina alla sensibilità del pubblico contemporaneo la tragedia di Riccardo. Il dramma del potere diviene così un dramma della solitudine, l’inferno di Riccardo è la condanna a non riuscire ad amare anche se vorrebbe, le sue dichiarazioni d’amore non sono false e si librano nei momenti musicali in cui la teatralità della pellicola raggiunge il suo apice. Il film della Torre è una conferma, dopo Ammore e malavita dei Manetti Bros., che oggi il musical in Italia è possibile. «Ho avuto la fortuna di trovare un produttore sensibile all’aspetto musicale, ma questo è stato l’anno dei musical. Il genere è stato sdoganato, forse in futuro sarà più facile» commenta la regista che, nella sua attualizzazione, ha scelto di affiancare a Riccardo una presenza femminile altrettanto forte, una Regina Madre a metà tra la strega cattiva delle fiabe e una dark lady che ha ecceduto nell’uso del botox, interpretata da una straordinaria Sonia Bergamasco. La Torre ammette di essere sempre stata affascinata «dalle donne shakespeariane dotate di una natura passiva, ma di un’incredibile capacità di generare fantasiose maledizioni. Nel mio film, però, le donne agiscono. I tempi sono cambiati, questo è un Riccardo III 2.0».