Che bella, la Napoli cyberpunk de La Gatta Cenerentola. Il cielo del colore di un canale morto, per dirla alla William Gibson, l’umidità che si condensa a pelo d’acqua – un’acqua sporca, traditrice, corrotta – e la pioggia (pioggia? o è cenere?) che insozza la periferia/sprawl che s’è mangiata la città.
In questa Napoli, se guardi in alto, i megaschermi trasportati dai dirigibili annunciano l’evento imperdibile della serata: le nozze del Re, il malavitoso che s’è comprato la città a colpi di polvere bianca contrabbandata “magicamente” nelle scarpe – scarpette di cristalli di coca, la nuova frontiera del made in Italy sulla cui licenza costruire un impero.
E ancora la nave gigantesca ancorata nel porto, nella quale il Buon Mecenate aveva inaugurato tempo fa un polo d’avanguardia per la ricerca scientifica, riempiendola di computer e ologrammi e cursori volanti: anche quella è stata comprata e consumata dal Re, che l’ha trasformata in un casinò popolato ormai solo da evanescenti banshee digitali.
In questa cornice che sembra uscita da un romanzo di Philip K. Dick, e che invece affonda le radici nelle favole seicentesche di Giambattista Basile e nella tradizione orale della Cenerentola campana, si muovono i personaggi immaginati dalla fantasia di non uno ma quattro registi (Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone), il Re Salvatore Lo Giusto e la matrigna Angelica Carannante, il poliziotto Primo Gemito e Cenerentola, la bambina senza voce.
Disegni pieni di carattere, gli spigoli ammorbiditi dal tratto pittorico, animazioni costruite a posteriori sulla performance degli attori (Massimiliano Gallo, Maria Pia Calzone, Alessandro Gassmann, forse il meno convincente), tante canzoni – scritte da Luigi Scialdone e Antonio Fresa, interpretate tra gli altri da Daniele Sepe – a comporre un originale cartoon-musical-folk per adulti, con testi importanti, provocatori, feroci in qualche caso.
Conquista, la Gatta Cenerentola, e fa innamorare anche nelle imperfezioni di uno script che a volte non sostiene il peso di un’architettura visiva, musicale, di background così importante. Un esperimento davvero ben riuscito, frutto di un lavoro di squadra tra creativi di comparti diversi, disegnatori e animatori, programmatori e scrittori, registi e coloristi, destinato a lanciare ancora più lontano quella che per tutti, ormai, è la Pixar all’italiana.