La Stazione Centrale di Milano è un posto per chi non ha tempo da perdere: si cammina correndo, spalle serrate pronte a scontrarsi, se necessario, e sguardo dritto verso l’obiettivo, che di solito è un treno in partenza, o in arrivo. La Stazione Centrale di Milano è un luogo affascinante, ma di passaggio, ideale per chi vuole nascondersi, perché nessuno ha tempo di fermarsi e osservare.
Ancora vivi – Bar Boon Band racconta di un mondo nascosto, di cui non si fa caso. Un mondo di esistenze sospese e invisibili, che non hanno fretta di andare da nessuna parte, perché non hanno nessun luogo dove andare. Al massimo sono proprietari di un sacchetto di plastica. Massimo Fanelli, attore e regista, decide di realizzare il suo primo lungometraggio su questo mondo ai confini della società, sullo sfondo di una Milano immersa nella nebbia, in attesa del Natale: Ancora vivi racconta di un piccolo “miracolo a Milano”, la storia di una band fondata vent’anni fa da alcuni senzatetto, alle prese con l’organizzazione del loro classico concerto del 25 dicembre.
Attraverso interviste, canzoni, frasi a metà, lacrime e risate, Fanelli mette in scena una giornata, dall’alba al tramonto, della band e delle vite di alcuni dei componenti, primo fra tutti Maurizio Rotaris, ex eroinomane, fondatore della Band e responsabile da 25 anni del Centro di aiuto SOS Exodus alla Stazione Centrale, creato da don Antonio Mazzi, un luogo di primo aiuto che sta sotto ai binari dei treni, un rifugio senza finestre per “disperati”.
Ma le storie che Fanelli racconta non sono solo storie di disperazione, sono soprattutto storie di grande forza, storie di chi ha deciso di cambiare e vuole migliorarsi. Ad esempio c’è Simeon, ex professore bulgaro con una laurea in russo, a cui se gli si domanda se rimpiange qualcosa, dice di sì, ma non cambierebbe la vita di adesso con quella di un “uomo ricco”. Perché vedere la gioia negli occhi delle persone mentre lo ascoltano suonare, è impagabile. E poi c’è Danilo, che se gli chiedi “Cosa faresti se avessi la bacchetta magica?”, risponde che vorrebbe riavere suo figlio e la sua compagnia, e ridargli quella felicità che gli è stata strappata. Ma il silenzio in alcuni casi è l’unico modo per esprimere il profondo dolore di chi sa di aver fatto degli errori nella vita e vorrebbe tornare indietro per rimediare. Ma nessuno qui ha il lusso di possedere una macchina del tempo. E l’unica cosa che si può fare è organizzare al meglio il concerto di Natale.
Le canzoni, tutte scritte e arrangiate dai “barboon”, non sono tristi, sono ritmate e piene di ironia. Ed è proprio questo contrasto a emergere bene dal documentario, perché più delle parole è la musica a esprimere le loro storie, i ricordi, i rimpianti, i desideri. E non ci sono limiti di spazio o di tempo, la Bar Boon Band suona dappertutto: al Castello Sforzesco, in Piazza della Scala, in Piazza Gae Aulenti, dove nell’ultima scena spariscono nella nebbia, come evaporando, esistenze piccole, qualcuno direbbe inutili, che però rendono meno grigia l’atmosfera, con la loro inesauribile speranza e voglia di vivere. Lo sguardo di Fanelli è silenzioso, e nonostante uno stile molto curato non è mai una presenza ingombrante, anzi cerca di essere invisibile per rendere più visibili – almeno per questa volta – i suoi protagonisti, che davanti alla macchina da presa cercano in tutti i modi di mostrare il meglio di loro stessi, con una luce negli occhi, che insieme a una profonda tristezza, fanno emergere la vera umanità di Milano.