Il terzo dei quattro film italiani selezionati alla Quinzaine des Réalisateurs è il film collettivo (la definizione è degli autori) Futura, di Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher, con il titolo – appropriato e suggestivo – mutuato da Lucio Dalla, il quale è stato oggetto di un altro lavoro di Pietro Marcello che in questi giorni è visionabile su Nexo Digital, Per Lucio, montaggio di materiale d’archivio sul grande musicista bolognese.
Futura è un film sui giovani. Come ha voluto precisare a chiare lettere Marcello in una delle serate della Quinzaine in cui il film è stato proiettato, nel nostro tempo si dà troppo spazio alla voce dei “vecchi”, è invece giusto che i giovani abbiano una propria tribuna di espressione, un territorio d’elezione che li elegga portavoce del proprio tempo. Ed è molto bello che questo territorio sia il cinema.
Un cinema didattico, quello dei nobili intenti di cui antichi maestri italiani sono stati paladini: si pensi a Rossellini, naturalmente, ma anche il reportage-fiume di Luigi Comencini I bambini e noi, di cui alcuni spezzoni significativi e iconici sono sapientemente inseriti nel montaggio di Futura.
Questa è dunque la missione di Marcello, Munzi e Rohrwacher, un cinema didattico che non tenga la lezioncina pedante agli spettatori, ma che in qualche modo ne smuova la coscienza, ne amplifichi le vedute, insomma, non un cinema che finisca in parlamento e generi la redazione di nuovi DDL (che, comunque, non sarebbe male), ma un cinema che penetri nel quotidiano, e che aiuti a gettare uno sguardo nuovo su questo enorme, importante e variegato corpus della società: la gioventù.
Il film ha vissuto una lavorazione avventurosa (è proprio il caso di dirlo: come il nome della casa di produzione di Pietro Marcello). Iniziato nel febbraio del 2020 come un viaggio attraverso tutta la penisola (Marcello è un grande ammiratore di Guido Piovene e del suo Viaggio in Italia, chissà che la suggestione non venga da lì), alla ricerca di ragazze e ragazzi in ogni contesto urbano ed extra-urbano, ha poi avuto la battuta d’arresto della pandemia e dei vari lockdown. La diffusione del nuovo virus, senza diventare un fatto su cui speculare opportunisticamente e sul quale aggiustare la rotta del film, è una circostanza storica che, per tragica ed epocale che sia, non cambia il punto di vista sui giovani e sul loro futuro: le incertezze e le speranze delle allieve del corso per estetiste di Mariglianella in provincia di Napoli sarebbero state le stesse, comunque, e lo stesso vale per le matricole della Normale di Pisa; i ragazzi della campagna teramana vivono in un tempo che sembra sospeso (per quanto il film sia orizzontale, come lo ha definito Marcello nell’introduzione a una delle proiezioni di Cannes, la sensibilità dei registi emerge seppur discretamente dai rispettivi reportage: in questo caso, il discorso su una dimensione a-temporale, di un’epoca indefinibile, è una cifra che appartiene ad Alice Rohrwacher da sempre), viceversa hanno le idee molto chiare sul presente e su alcune sue deformazioni dovute ai social network i ragazzi della periferia romana intervistati da Francesco Munzi.
L’aspetto visivo, infine, merita una sottolineatura: le riprese rigorosamente in 16 millimetri (una tavolozza quasi ideologica alla quale Pietro Marcello, per fortuna, non rinuncia mai) conferiscono ai volti di questi ragazzi una statura iconica che col digitale difficilmente si sarebbe raggiunta, e i tre autori, tutti eccezionali ideatori di immagini per il cinema, non rinunciano mai alle sacrosante regole della composizione. Per questa felice commistione fra la cura estetica e la profondità di penetrazione dentro alla materia d’indagine, questo film sì, come auspica Pietro Marcello, può fare scuola.