Il presente e il futuro anteriore dei festival: questo il titolo della tavola rotonda alle Giornate del Cinema Lucano a Maratea, tenutasi lo scorso 28 luglio. A discuterne con Paride Leporace, direttore della Lucana Film Commission, un parterre di grandi direttori: Alberto Barbera (Venezia), Pedro Armocida (Pesaro), Antonio Monda (Roma) Karel Och (Karlovy Vary).
[questionIcon]Karel, come si tiene un grande festival storico, che guarda alle nuove realtà all’attualità dei tempi di un cinema che è molto modificato?
[answerIcon]Karlovy-Vary è un festival molto vecchio e allo stesso tempo molto giovane: sono gli ultimi 25 anni che contano, bisogna ricordare che negli anni Settanta il direttore del festival era anche il presidente della giuria… Viaggio con i miei colleghi tutto l’anno per mettere insieme un programma di circa 200 film. Siamo particolarmente orientati ai giovani registi, agli esordienti, proiettiamo in genere una cinquantina di opere prime. Vogliamo continuare a sostenere i giovani autori che spesso non sanno, una volta finito il loro film, che dovranno entrare nella giungla del business.
[questionIcon] Quest’anno avete aperto con Uma Thurman. I talent servono?
[answerIcon]Servono: io sono convinto che il glamour sia una parte importante del festival, e tentiamo di portare attori, attrici e registi che soddisfino allo stesso tempo sia i tabloid che la stampa più intellettuale, proprio come Uma.
[questionIcon]Tu invece Pedro, spagnolo di Madrid, guidi una storica manifestazione come il Festival di Pesaro, che ha segnato la storia del cinema italiano con grandi direttori.
[answerIcon]Pesaro nasce nel 1975, fondato da Lino Micciché e Bruno Torri. Fin dagli inizi è stato uno principali festival internazionali, e ha ospitato intellettuali come Pier Paolo Pasolini, Roland Barthes, Umberto Eco, Roberto Rossellini. Tutto il cinema si ritrovava a Pesaro, che non è mai stato un’anti-Venezia, ma negli anni in cui c’era il nuovo cinema con le varie nouvelles vagues, Pesaro le ha intercettate tutte: quella della Cecoslovacchia, quella Brasile. Solo lì si poteva vedere questi autori, in tempi molto diversi dai nostri: non dimentichiamo che allora si andava ai festival perché solo lì si poteva vedere alcuni film, oggi si può vedere tutto in qualsiasi momento. Di conseguenza anche il fare festival si è trasformato, la componente legata agli eventi e agli incontri con i protagonisti è aumentata. Anche a Pesaro, che pure ha una connotazione culturale forte, cerchiamo di dar vita a momenti unici che avvengono solo durante il festival. Ad esempio giochiamo su cose che possono sembrare strane, come la pellicola. Ci stiamo specializzando sul 16 mm e sul super8, formati che a torto si penserebbe superati, e abbiamo una sala interamente dedicata a questo tipo di proiezioni, con i cineasti che commentano con il pubblico il loro lavoro. Riprendendo insomma il titolo di questo convegno, i festival sono come una sorta di futuro anteriore del cinema. Alla fine degli anni Novanta dicevano che saremmo scomparsi, con la rete, lo streaming, e invece siamo ancora qua: un passato nel futuro, appunto.
[questionIcon]Avete introdotto un’innovazione: una giuria di 15 giovani guidati da un presidente che viene dal mondo del cinema.
[answerIcon]Storicamente Pesaro è sempre stato legato all’università, ogni anno ospita decine e decine di studenti da tutta Italia, dai quali si è formata poi negli anni una classe di critici e organizzatori culturali. Abbiamo perciò deciso di coinvolgerli più attivamente.
[questionIcon]Passiamo a Roma. Antonio, il tuo è un festival o una festa?
[answerIcon]Una festa, Roma ha tanto bisogno di feste… Può sembrare un gioco lessicale, in realtà c’è di più. Innanzitutto la manifestazione che guido ha una storia molto più giovane, solo dodici anni, io sono al mio terzo anno. Ho cercato di cambiare molte cose: non abbiamo un concorso né una giuria, e una parte molto significativa e caratterizzante è dedicata agli incontri, con una o due personalità del cinema e anche non del cinema che ogni sera dialogano con il pubblico. Ad esempio, ogni anno ospitiamo un grande scrittore che viene a spiegare di come il cinema ha influenzato il suo lavoro: Donna Tartt, Don De Lillo, quest’anno ci sarà Chuck Palahniuk. Ma sono stati con noi anche grandi architetti e musicisti. Insomma festeggiamo il cinema, con il più assoluto rispetto per chi fa i festival veri e propri. Del resto sarebbe certamente penalizzante fare un festival tradizionale un mese e mezzo dopo Venezia, che viene prima per tempi, storia, bravura. In poche parole non voglio fare una Venezia di serie B, ma una Roma di serie A e spero di esserci riuscito.
[questionIcon]Alberto Barbera, hai presentato un’edizione poco tradizionale, con molto cinema italiano…
[answerIcon]Ogni anno cerchiamo di introdurre qualche elemento di novità e non è facile, in un panorama di tantissimi festival importanti che, come diceva Pedro, non solo non sono scomparsi ma sono sempre più forti. Si attestano sempre più come un momento decisivo non tanto per la promozione dei film ma soprattutto per la loro circolazione. Non dimentichiamo che certi film girano nel mondo solo attraverso e grazie ai festival. Venezia ha una storia lunghissima e particolare, ha attraversato grandi momenti e momenti bui, come fu la scelta disastrosa di non avere per dieci anni una competizione, il che ha consentito a Cannes di diventare quello che è. Siamo in qualche modo riusciti a riportare Venezia agli onori del mondo, abbiamo ricostruito il rapporto con gli americani, ci si viene molto più volentieri che qualche quinquennio fa. A ogni modo le novità quest’anno sono due: una è la realtà virtuale, la seconda, all’interno di un programma molto vario, la presenza di tanto cinema italiano. Negli ultimi anni mi sono spesso lamentato della scarsa qualità del cinema italiano, che è una delle ragioni della disaffezione del pubblico alla sala. Quest’anno invece la sorpresa è stata vedere tanti bei film. La mia impressione è che ci sia una “piccola primavera” del cinema italiano: numerosi registi, agli esordi o al secondo o terzo film, che si stanno misurando con modelli spettacolari e narrativi inediti. Basta con le commedie, il cinema borghese autoreferenziale. Quindi a Venezia ci saranno più di 20 film italiani, un numero forse esorbitante, ma era importante dare un segnale di attenzione rispetto a un cambiamento in atto: vedremo poi se si consolida, ma intanto c’è. La realtà virtuale è l’altra novità: siamo il primo festival importante al mondo che indice un concorso per questo tipo di opere, con una giuria e dei premi appositi. La VR forse non è il futuro del cinema o la sua evoluzione, è un’altra cosa, ma molti sono convinti – e io fra questi – che sia destinata a rimanere, si radicherà, non sostituirà il cinema ma sarà altro. Fra 100 opere ne abbiamo scelte 22 per il concorso e altre 7-8 fuori concorso: saranno per il pubblico esperienze spettacolari senza precedenti, per le quali utilizzeremo un nuovo spazio, l’antico e magnifico Lazzaretto su un’isola di fronte al lido, restaurato di recente. Del resto io sono convinto che i festival abbiano il ruolo non solo di fotografare il cinema di un dato momento, ma di essere proiettati nel futuro, scommettendo e sbagliando. Chi fa sbaglia, ma progredisce.