Bolognese di adozione – nella città emiliana ha studiato cinema e lavora ormai da due decenni – ma sardo di nascita, Mario Piredda ha sempre raccontato nelle sue storie la propria terra di origine. Già in due pluripremiati cortometraggi, infatti, il regista e sceneggiatore trentanovenne mostrava la provincia della Sardegna come una terra bellissima in cui domina la natura ma anche un profondo senso di isolamento, il dramma della disoccupazione e una mortificante mancanza di prospettive, soprattutto per i più giovani. Se in Io sono qui (2011) il protagonista era un ragazzo il cui unico sbocco consisteva nell’arruolamento nell’esercito, in A casa mia (2016, vincitore l’anno successivo del David di Donatello) ci si concentrava sul dramma di una famiglia costretta a vendere la casa di proprietà per provare ad andare avanti, nel contesto di una condizione economica assai precaria.
Ne L’agnello, opera prima presentata in concorso a Roma nella sezione Alice nella Città, Piredda sfrutta la forma del lungometraggio per affrontare ulteriormente e con maggiore organicità i temi già toccati nei corti sopracitati. Questa volta il personaggio principale è Anita, una diciassettenne che deve affrontare la malattia del padre Jacopo, affetto da una leucemia per cui sarebbe necessario quanto prima un trapianto. Per mantenere il padre, Anita lavora come donna delle pulizie in un albergo e, nel frattempo, prova a riallacciare i rapporti con lo zio Gaetano, che da anni ha rotto con il fratello Jacopo ma potrebbe costituire la sola concreta possibilità di salvezza per l’uomo, qualora risultasse compatibile alla donazione.
Sullo sfondo di una provincia povera e poco abitata situata nei pressi di una delle numerose basi militari presenti sul territorio sardo, il film narra con delicatezza, intimità e asciuttezza il dramma di un’adolescente costretta a battersi con tutte le forze nel tentativo di salvare il padre, probabilmente ammalatosi a causa dell’inquinamento dovuto alle attività militari. Nelle zone limitrofe a dove si svolgono sperimentazioni di nuove armi ed esercitazioni di guerra simulata, infatti, negli ultimi anni si è verificato un numero di casi di tumori preoccupante, oggetto di diverse inchieste giornalistiche.
L’esordiente Nora Stassi nei panni della protagonista è sorprendente per come riesce a rendere con notevole forza la determinazione, la vitalità e le inquietudini di Anita e Mario Piredda, oltre a un talento per messa in scena e scrittura (la sceneggiatura è opera sua insieme a Giovanni Galavotti), dimostra così di avere una indubbia abilità anche nella direzione degli attori. Dopo Filippo Meneghetti, autore dell’ottimo Deux di cui vi abbiamo parlato nella nostra recensione, dalla Festa del Cinema di Roma arriva la segnalazione di un altro regista italiano su cui ci sentiamo di puntare per il futuro.