È Europa l’ultimo film italiano (per metà: la coproduzione è del Kuwait) passato in rassegna nella Quinzaine des Réalisateurs, sezione quest’anno particolarmente ricca di grande cinema e per la quale c’è da fare tanti complimenti al nuovo delegato Paolo Moretti.
Diretto da Haider Rashid, fiorentino di nascita, padre iracheno e madre italiana, Europa è un’opera coraggiosa che vince la propria scommessa sia per l’argomento trattato che per le scelte formali.
Il tema qui è l’immigrazione, raccontata attraverso l’avventurosa fuga per la sopravvivenza del giovane migrante iracheno Kamal, interpretato Adam Ali, lodevole per lo sforzo duplice della resa precisa delle emozioni del personaggio e contemporaneamente la restituzione dello sforzo, della fatica fisica, dei gesti irrigiditi dalla paura.
Il suggestivo incipit notturno racconta uno scenario che è ben noto allo spettatore mediamente informato sui fatti: la raccolta del denaro dei migranti da parte dei trafficanti che si occuperanno del viaggio, la luce della luna e le torce dei cellulari illuminano volti sui quali la macchina da presa indugia febbrilmente, quel tanto che basta per suggerire che il tempo stringe, e che bisogna agire nell’ombra. Ma l’arrivo improvviso dei miliziani di frontiera (siamo al confine fra Bulgaria e Turchia) fa precipitare gli eventi, i migranti si disperdono, molti vengono uccisi, qualcuno scappa ma viene catturato. Il sogno si infrange su quelle sponde, ma Kamal riesce a fuggire.
Ed è qui che comincia il suo percorso di sopravvivenza, raccontato in maniera intelligente ed efficace da Rashid con l’ausilio del direttore della fotografia Jacopo Caramella, che qui mette in mostra le sue formidabili abilità di operatore attaccandosi in maniera solidale al protagonista, facendo perno sul suo volto e sul suo corpo, sia che fugga, sia che si arrampichi su un albero, sia che si ingegni ad accendere un fuoco o a procurarsi scarsissime quantità di cibo.
In questo film, il discorso visivo si fa parte integrante del racconto: la macchina da presa di Rashid segue Kamal ossessivamente, al punto da non più generare solo empatia, ma anche imponendo allo spettatore di condividerne fisicamente il punto di vista, c’è immedesimazione, non solo comprensione distaccata della sua corsa nel bosco (location per esigenze produttive ritrovata in provincia di Arezzo).
Europa alterna sapientemente, nei suoi 70 minuti circa di durata, momenti dal ritmo forsennato a sospensioni che raccontano la tregua di Kamal e, per quanto sia il racconto di una solitudine, sono disseminati alcuni incontri che rientrano pienamente nei topoi dell’avventura: un compagno defunto, un inseguitore, una donna che presta soccorso, un possibile salvatore finale.
Una bella sorpresa, un cinema intelligente che padroneggia il linguaggio e allo stesso tempo ragiona sul racconto, usa il particolare per riflettere sul generale e, infine, apre alla speranza.