Alla 70a edizione del Festival di Cannes è stato il turno di un’altra attesa opera seconda: A Ciambra di Jonas Carpignano, giovane regista italo-americano già presente due anni fa alla kermesse cinematografica più prestigiosa del mondo con Mediterranea, film di finzione in cui mediante uno stile diretto ed efficace si mostrava l’esperienza dei migranti africani che ogni giorno giungono in Italia nella speranza di una vita migliore.
L’esordio del cineasta 33enne, nato a New York da padre italiano e madre afroamericana, aveva ottenuto un’ottima accoglienza alla Semaine de la Critique ed era stato particolarmente apprezzato all’estero e in primis negli Stati Uniti, dove ha ricevuto numerosi riconoscimenti e il plauso di alcune delle testate giornalistiche più importanti. L’attenzione da parte della critica d’oltreoceano avrà senz’altro contribuito a far conoscere l’opera di Carpignano a Martin Scorsese, il quale ha agevolato la realizzazione di questo nuovo progetto attraverso il suo neonato fondo di supporto ai nuovi talenti del panorama internazionale e, come ha affermato lo stesso regista di A Ciambra, in qualità di produttore esecutivo è stato una sorta di guida spirituale prodiga di indicazioni preziose.
Se Mediterranea mostrava le disavventure di Ayiva e Abas dal Burkina Faso a Rosarno, il secondo film di Jonas Carpignano propone uno sfaccettato e stimolante spaccato della comunità stanziale romena di Gioia Tauro, concentrandosi sul quattordicenne Pio Amato e la sua famiglia. A Ciambra, in cui tutti i protagonisti interpretano se stessi, mette in scena fedelmente la quotidianità di questo poco conosciuto microcosmo tra furti per guadagnarsi da vivere e, sullo sfondo, il rapporto con la ’ndrangheta che controlla in maniera più o meno evidente ogni attività della cittadina calabrese.
Dopo aver vissuto tra New York e Roma, Carpignano abita a Gioia Tauro ormai da sette anni e negli ultimi cinque ha lavorato al nuovo lungometraggio entrando in stretto contatto con i personaggi del film (Pio aveva già un ruolo in Mediterranea, mentre l’africano Kudous Seihon ne era il protagonista), da lui considerati quasi come una seconda famiglia. Questa intimità ha permesso al cineasta di proporre un inedito racconto “dall’interno”, il più possibile privo di filtri e colmo di umanità, attraverso uno sguardo che si limita a osservare senza giudicare, oggettivo ma non per questo freddo o distante.
A Ciambra è un esempio nobile di cinema del reale che riesce nella complessa impresa di coniugare palpabile autenticità ed evidente raffinatezza stilistica (notevole anche il lavoro di Affonso Gonçalves, montatore tra gli altri degli ultimi film di Jim Jarmusch e Todd Haynes). Siamo certi che in futuro sentiremo parlare ancora di Jonas Carpignano, sperando più nell’immediato che A Ciambra, a differenza di Mediterranea, riuscirà presto a trovare la via della distribuzione italiana.