Chiara di Susanna Nicchiarelli è l’ultimo film italiano del concorso di Venezia 79, e compone una ideale trilogia con Nico 1988 e Miss Marx. Un affresco che attraversa i secoli con al centro tre figure femminili, analizzate nel rispettivo contesto storico e culturale, seguendo la loro ricerca di se stesse, del loro posto nel mondo, del loro rapporto tra pubblico e privato.
E proprio tenendo presente questo percorso, probabilmente Chiara è il film meno a fuoco dei tre, quello più difficile sia da un punto di vista drammaturgico che formale, un rischio che Susanna Nicchiarelli ha il merito di aver voluto correre, riuscendo a restituire grande lirismo in alcuni momenti e lasciandone altri più opachi, meno approfonditi.
Raccontare la storia di una ragazza di famiglia nobile che nei primi anni del 1200 decide di spogliarsi delle sue ricchezze per sposare la povertà e la preghiera è impresa non facile, se non si vuole cadere nello sterile biografismo cinematografico, ma la sintesi a cui perviene Susanna Nicchiarelli forse è troppo estrema: la “vita precedente” di Chiara è raccontata in una sola scena, sbrigativamente, e chissà se non avrebbe acquisito maggiore ricchezza il personaggio di Margherita Mazzucco (che abbiamo conosciuto con le tre stagioni de L’amica geniale) se l’avessimo vista più in crisi nell’atto di compiere questa scelta.
In ogni caso, si capisce che la regista in questa occasione abbia voluto optare per una messinscena più stilizzata rispetto ai due film precedenti, una narrazione portata avanti più per quadri, per moduli narrativi, che non per concatenazione di eventi. In questo senso trovano ragion d’essere anche i momenti musicali del film, che sono degli spiragli di libertà, di presa di coscienza, di evoluzione del mondo di Chiara e delle altre donne che si uniscono al suo ordine.
E a proposito di ordine, due elementi fondamentali del film sono proprio i confronti/scontri che Chiara ha con Francesco d’Assisi (Andrea Carpenzano) e papa Gregorio IX (Luigi Lo Cascio).
Si tratta, in entrambi i casi, di figure tratteggiate un po’ superficialmente, più per quel che riguarda Francesco, che si ha quasi l’impressione sia un personaggio di ambigui sentimenti, che il cardinale Ugolini, successivamente papa Gregorio, a cui comunque l’interpretazione di Lo Cascio dà uno spessore importante (la scena del pranzo è una delle sequenze memorabili del film).
Senza rivelare troppo, il finale è l’apice di tutta la visione, quello in cui Susanna Nicchiarelli si gioca tutte le sue carte dal punto di vista della visionarietà, della libertà espressiva, della leggerezza, della tenerezza, e anche del ritmo, grazie alla musica e al montaggio. Insomma, quando c’è il marchio della regista, quando si impongono il suo sguardo e il suo stile il film è più riuscito.
Tre note conclusive di grande merito: la lingua in cui è scritto il film, un volgare musicale e suadente; le sublimi location; la commovente dedica alla storica Chiara Frugoni, nostra grande medievista.