Dalla Mostra di Venezia alla Berlinale, gloriosa è la vita del restauro de Il portiere di notte: presentato lo scorso settembre alla Biennale, il film di Liliana Cavani è stato scelto da Charlotte Rampling – che a Berlino viene insignita proprio oggi dell’Orso d’Oro alla carriera – per rappresentare una carriera piena di titoli prestigiosi.
Restaurato nell’estate del 2018 dal Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale e dall’Istituto Luce-Cinecittà, Il portiere di notte rimane, a più di 45 anni di distanza, un film potente e “disturbante”. All’epoca, chi c’era lo ricorda bene, fu uno scandalo che probabilmente Liliana Cavani non si aspettava, anche se erano fresche le polemiche su Ultimo tango a Parigi di Bertolucci (altro restauro del CSC nel corso del 2018) e dopo poco più di un anno sarebbe esploso il caso-Salò, a seguito dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini.
Erano anni in cui la censura colpiva duramente e il cinema italiano aveva una rilevanza artistica, politica e culturale che andava ben oltre i nostri confini, tanto che Il portiere di notte – film a tutti gli effetti internazionale, ambientato a Vienna e interpretato da due sommi attori britannici, la Rampling appunto e il grande Dirk Bogarde – uscì in tutto il mondo e soprattutto in Francia ebbe recensioni entusiaste.
[questionIcon] Lo ricorda la stessa Liliana Cavani, alla quale diamo la parola.
[answerIcon] Il portiere di notte è uscito prima in Francia che in Italia, per precisa scelta dei produttori stranieri, ed è andato molto bene. Ho subito avuto la sensazione che i francesi l’avessero capito meglio degli italiani. Le Nouvel Observateur gli dedicò due pagine intere con un titolo che aiutò anche me a capire meglio che film avevo fatto: diceva “il portiere della notte”, non “di notte”, ed è quello che effettivamente era Max: non uno che semplicemente lavora di notte in un albergo, ma il custode della notte profonda nella quale l’Europa era ancora immersa, quell’irrazionalità che aveva causato il nazismo e il fascismo e dalla quale non eravamo ancora usciti. In Italia invece il film fece “scandalo” e non era ciò che volevo. Ebbe problemi con la censura: ricordo ancora un colloquio con un membro della commissione di censura, al quale chiesi perché avessero dato il divieto ai minori di 18 anni, e non di 14. Mi rispose: “Perché c’è una scena di sesso in cui la donna sta sopra l’uomo”. Rimasi di stucco. Riuscii solo a dirgli: “Beh, ma può capitare!”.
Troverai l’intervista completa di Alberto Crespi sul prossimo numero di Fabrique du Cinéma (Ringraziamo il CSC per la collaborazione).