Fabrique Du Cinéma https://www.fabriqueducinema.it La Rivista Del Nuovo Cinema Italiano Fri, 20 Dec 2024 14:00:51 +0000 it-IT hourly 1 Romana Maggiora Vergano, la bambina dei perché https://www.fabriqueducinema.it/focus/romana-maggiora-vergano-la-bambina-dei-perche/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/romana-maggiora-vergano-la-bambina-dei-perche/#respond Fri, 20 Dec 2024 08:40:21 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19480 Prima la vita e poi il cinema. E se non lo capisci è inutile che lo fai, il cinema. Anche e soprattutto quando il cinema ti travolge con il fenomeno Cortellesi, con la regia più intima di Francesca Comencini, con una serie internazionale targata Rodat-Emmerich e un camerino accanto a quello di Anthony Hopkins. Oggi […]

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Prima la vita e poi il cinema. E se non lo capisci è inutile che lo fai, il cinema. Anche e soprattutto quando il cinema ti travolge con il fenomeno Cortellesi, con la regia più intima di Francesca Comencini, con una serie internazionale targata Rodat-Emmerich e un camerino accanto a quello di Anthony Hopkins. Oggi Romana Maggiora Vergano è sul set della nuova serie di Bellocchio, dove torna a condividere la scena con Fabrizio Gifuni in un’evoluzione del rapporto padre-figlia dopo aver compiuto, insieme, un piccolo miracolo attoriale nella pelle dei Comencini. A 26 anni è già destinata a farsi ricordare come la Marcella di C’è ancora domani, in una storia universale che ha raggiunto il mondo, e come la giovane Francesca de Il tempo che ci vuole, in un testamento autobiografico che omaggia la storia del nostro cinema. Ha un nome antico, un volto senza tempo, e l’aria di chi è talmente forte da potersi rompere in mille pezzi. Vergano si appoggia alle spalle dei giganti senza farli annegare, anzi, rafforzandone le bracciate. E dentro due film spogli di grandi orpelli, tra quattro mura che sono state insieme gabbia e focolare, ha dimostrato di poter fare la differenza. Su di lei non c’è neanche gusto a scommettere.

Partiamo dalla storia di questo nome che sfugge al tempo.

Pensa che volevano farmelo cambiare, perché è troppo lungo e strano. Non mi sono mai fatta molte domande sulle mie origini, poi il film di Paola mi ha smosso qualcosa e ho scoperto che Maggiora e Vergano sono due piccole località del Piemonte. Non paghi del cognome, mi hanno dato anche un nome particolare…

Hai dovuto imparare a voler bene al tuo nome?

È una domanda interessante, perché io ho odiato il mio nome. Mi dicevano che era duro e vecchio. Ricordo bene il giorno in cui mi ci sono affezionata: è stato quando, per la prima volta, mi è capitato di presentarmi a un’altra persona che si chiamava Romana. E quindi la sensazione di condividere un peso.

Sei figlia di medici. Quando hai deciso di fare l’attrice?

È stata una scena da film. Sono sempre stata una secchiona, avevo preparato il test d’ingresso per Medicina ed ero convinta di entrare, perché me l’ero messo in testa. Poi arriva il 5 settembre, la mattina faccio colazione e quando è il momento di uscire di casa mi sento fisicamente bloccata. Il mio corpo non mi risponde più. Dico a mia madre: «Non è che non voglio, è che non posso andare». Il pomeriggio ho cercato su Internet dei corsi di recitazione.

Quindi recitare era già un’idea?

Ho sempre fatto teatro amatoriale e da poco avevo iniziato dei corsi serali di recitazione cinematografica. Vivevo a Ostia con mia madre, così la mattina andavo a scuola e poi prendevo la metro verso Roma, ma pensavo sarebbe rimasto un hobby. L’epifania è arrivata durante l’estate. Dopo la maturità ero stata presa per Immaturi – La serie. Un ruolo da figurazione speciale, tre battute ma tante giornate sul set. Mi sono innamorata perché avevo zero responsabilità e molto tempo per osservare tutte le discipline del cinema.

Nella giovinezza il cinema che ruolo ha avuto?

I miei facevano lunghi turni in ospedale, ho conosciuto il cinema come forma d’intrattenimento con le commedie, con il mondo dello spettacolo e le repliche di Techetè. Ricordo Brutti, sporchi e cattivi e la scena della pastarella in C’era una volta in America, poesia pura. Poi La ragazza con la pistola, di cui mia madre era grandissima fan, e ovviamente Il tempo delle mele. E poi ricordo Malèna, da bambina volevo essere lei.

Il tempo che ci vuole racconta che possiamo fallire anche se facciamo quello che amiamo. E che fa male il doppio. Durante gli studi c’è stata la paura di “non saperlo fare”?

Per me la paura del fallimento è stato un grande tema durante tutta l’adolescenza, e proprio entrando alla Volonté me ne sono liberata. Ero una iper perfezionista, sempre il massimo dei voti, sempre a fare la cosa giusta, sempre quello che ci si aspettava da me. Alla Volonté mi è stato detto per la prima volta: «Tu fai il compitino. Sei bravissima, ma smettila». Che vuol dire smettila? Se porto il risultato andiamo avanti, no? Invece mi hanno rotto in mille pezzi. Hanno cercato la sfumatura, l’errore, la disattenzione.

Oggi non lo si direbbe mai: la sporcatura è il quid di ogni tua interpretazione.

Mi rendi felice, perché ho avuto molta paura per Il tempo che ci vuole. Oltre a quella che potete immaginare tutti, cioè essere diretta dalla persona che stai interpretando, anche se Francesca mi ha spogliato immediatamente di questa responsabilità: prima di essere lei, ero una figlia e una ragazza degli anni Settanta. Ho cercato di non farmi più domande di quelle di cui realmente avevo bisogno, ed ho faticato, perché nella vita io sono la bambina dei perché. Ho bisogno che mi si diano delle risposte per sentirmi al sicuro.

La tua pelle nel film: primi piani che sanno di eroina su un volto come il tuo, che invece si tende a non abbrutire.

Non ho mai avuto problemi di acne nell’adolescenza, ma questo film è arrivato in un momento in cui la vita mi stava mettendo alla prova: avevo cambiato casa e chiuso una relazione, dormivo poco e mi erano usciti molti sfoghi. Insieme al supporto di un’incredibile squadra di truccatori, il mio corpo si era preparato da solo al film. La mia pelle era pronta.

Ti sei giudicata, riguardandoti?

È stata la prima volta in cui non mi sono mai giudicata fisicamente. È brutto ammetterlo, ma alle prime visioni tendo sempre a guardarmi esteticamente: il doppio mento, la gamba grossa, l’occhio storto. Stavolta mi sono vista diversa, col viso rovinato e confuso, e l’ho trovato affascinante.

C’è ancora domani: quando hai capito che eri all’interno di un fenomeno più grande di te?

Il giorno in cui abbiamo girato la scena finale. Sembrava un giorno come tanti, ormai eravamo sul set da un mese. Invece arrivo in location e mi trovo travolta da centinaia di donne vestite anni Quaranta, tutte con il documento in mano, il rossetto sulle labbra e i manifesti appesi sulle scale. Oltre al regalo immenso che mi hanno fatto Paola e il cinema in generale, facendomi vivere un momento storico che ha cambiato il nostro Paese, lì ho sentito che stavamo facendo una cosa enorme che avrebbe parlato a tante persone, e di cui si sarebbe parlato per molto tempo.

Il giorno in cui hai aperto i social e hai pensato: “Ci siamo. La giostra è partita”?

Quando lo hanno presentato alla Festa del Cinema di Roma. Io ero a Parigi a girare con Francesca Comencini, ero tra la Tour Eiffel e Montmartre e non riuscivo ad alzare gli occhi dal telefono, perché leggevo questi commenti meravigliosi di chi lo aveva appena visto. Dal primo giorno sono stata travolta, ma la cosa più bella è stata incontrare persone che ci hanno portato le nonne, i padri, gli amici, che sono tornate in sala quattro o cinque volte. Questo capita raramente: vedere un film con degli sconosciuti e commuoversi insieme, arrabbiarsi e sperare insieme. Allora diventa un’esperienza e non solo un film.

Fuori dal fenomeno, qual è stato il tuo momento più intimo con Marcella?

Quello in cui il ragazzo le toglie il rossetto dalle labbra con le mani. È stato particolare perché in quel momento è entrata in gioco anche l’attrice e non solo il personaggio. Marcella, da scrittura, non doveva rendersi conto del gesto violento che subiva, invece a Romana quel gesto non era mai stato fatto, e mi è scattata una repulsione che dovevo contrastare. Romana è dovuta restare lì, dentro la scena, ma negli occhi di Marcella si percepisce un disagio.

È vero, in quel gesto c’è un incontro tra epoche, una repulsione che attraversa i secoli e tocca ogni donna. Dunque, da una parte eccoci con la storia universale di Cortellesi, e dall’altra con la memoria autobiografica di Comencini. Due registe molto diverse?

La differenza più evidente è che Paola è una donna estroversa, leggera e divertente, nonostante i temi trattati nel suo film. Francesca è una donna più dura, una regista di poche parole che centra sempre il punto. Se guardi Paola in un momento di pausa sul set ha un viso disteso, se guardi Francesca ha un viso corrucciato. In comune hanno l’amore per gli attori: Paola perché lo è, Francesca perché ci è cresciuta in mezzo.

Entrambi i film mettono in luce quello che tu puoi fare all’interno di quattro mura, in una casa che è insieme gabbia e focolare.

Mi fa piacere che lo noti, perché invece io sono il tipo di attrice che si attacca a tutto quel che può. Ma su entrambi i set avevo difficoltà a muovere il mio corpo nello spazio, non avendo abbastanza oggetti da utilizzare. Credo che questo abbia ridotto all’essenziale il sentire e l’interpretare, e forse è la forza di entrambi i progetti: si potrebbe essere in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo. Io lavoro male da sola, cerco tanto la mano dell’altro. Quando ti guardi intorno e non hai nulla a cui aggrapparti, devi fidarti di te e del tuo compagno di scena, e per me la differenza, in questi due film, l’hanno fatta i miei colleghi, Paola e Fabrizio Gifuni.

Uno dei più grandi attori viventi e nessuno glielo riconosce mai abbastanza.

Lo è, davvero. E insieme ci siamo trovati e ci siamo liberati in questa storia. Ogni tanto giochiamo e ci diciamo: «Io sono te e tu sei me».

Sul tuo primo progetto in inglese, Those About to Die, è capitato l’opposto: la messa in scena di un kolossal feat. Anthony Hopkins.

Avere a che fare con quella messa in scena può ostacolare oppure arricchire l’interpretazione. Quei gioielli, le tre ore di acconciature e quel drappo pesantissimo mi davano la postura delle donne dell’epoca, sempre rette e maestose. E poi confesso che leggere il tuo nome accanto al camerino di Anthony Hopkins, un certo effetto lo fa.

La scena della barba allo specchio nel film di Comencini ci ricorda, con grande poesia, che la creatività nasce dall’emulazione. Tu hai osservato allo specchio interpreti fortissimi: facciamo il gioco della barba?

In Paola ho osservato un sorriso d’altri tempi, anche nei momenti di tensione più alta. Da Fabrizio ho imparato a respirare, perché lui è un attore che sa stare e sa dare senza muovere un muscolo. Hopkins con i suoi video su Instagram mi ricorda che questo lavoro è anche un gioco. Jasmine Trinca l’ho sfiorata sul set de La Storia e poi a teatro, ho amato il suo film da regista, ma sai cosa preferisco di lei? Ha fatto ruoli diversissimi senza snaturarsi mai. È in continua ricerca, è un’attrice che non si siede. E io vorrei diventare questo.

Cosa credi stia funzionando in Romana Maggiora Vergano?

Forse, a prescindere dalla recitazione, il modo in cui mi presento. Io non credo di saperne più di nessuno e sono un’abilissima ascoltatrice. Questo nel mio lavoro diventa tutto materiale, mi hanno detto che funziono quasi più nei piani d’ascolto. E poi lo dico chiaramente: la mia fortuna è stata farmi conoscere con un personaggio che mi somiglia molto. Marcella è davvero vicina a me, quindi il dialogo che è nato attorno al film è stato autentico.

Sei partita con due film che potrebbero già bastare. Oggi cosa sogni?

Una casa. Costruire uno spazio sicuro dove rigenerarmi. Continuare con dei grandissimi film. E poi mi piacerebbe la Francia, la mia regista preferita è Céline Sciamma. Spogliare un suo copione e provare a dare vita a un suo personaggio sarebbe già un sogno. Riusciamo a farle leggere questa cover di Fabrique?

Ci proviamo. Prendo in prestito le parole di Gifuni-Comencini ne Il tempo che ci vuole per chiudere con l’unica battuta possibile: «Prima la vita e poi il cinema. E se non lo capisci è inutile che lo fai, il cinema».

Sai che mi sono riempita la casa di post-it dopo averla letta in sceneggiatura? Questa frase mi risolve tutto. Venivo dal periodo di Paola, tanto clamore e attenzione mediatica, avevo la testa sempre lì e all’improvviso ho pensato: “Se lo ha detto Comencini, che ha fatto del cinema la sua vita, allora me lo devo ricordare sempre anch’io”. Prima la vita e poi il cinema. Anche perché sennò cosa raccontiamo?

Fotografa: Roberta Krasnig; Assistente: Sara Pinsone

Stylist: Flavia Liberatori

Hair: Adriano Cocciarelli per @ADRIARE hairdesigner

Make-up: Ilaria di Lauro per @IDLMakeup

Location: The Cineclub

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Fabrique Awards 2024: the winners are… https://www.fabriqueducinema.it/focus/favrique-awards-2024-the-winners-are/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/favrique-awards-2024-the-winners-are/#respond Thu, 19 Dec 2024 09:55:59 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19474 Tutti i vincitori dei Fabrique du Cinéma Awards 2024:   MIGLIOR SCENEGGIATURA DI CORTOMETRAGGIO INTERNAZIONALE  Just Jump In di Sue Faulkner MIGLIOR CONCEPT DI SERIE Deserto di ghiaccio di Andrea Cantafio MIGLIOR CORTOMETRAGGIO INTERNAZIONALE 59 Degrees, di Matias De Sa Moreira & Cyril Piñero MIGLIOR CORTOMETRAGGIO ITALIANO La fémmina di Nuanda Sheridan  MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE […]

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Tutti i vincitori dei Fabrique du Cinéma Awards 2024:

 

MIGLIOR SCENEGGIATURA DI CORTOMETRAGGIO INTERNAZIONALE 

Just Jump In di Sue Faulkner

MIGLIOR CONCEPT DI SERIE

Deserto di ghiaccio di Andrea Cantafio

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO INTERNAZIONALE

59 Degrees, di Matias De Sa Moreira & Cyril Piñero

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO ITALIANO

La fémmina di Nuanda Sheridan 

MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE

Broken Pieces di Justin Ho 

MIGLIOR DOCUMENTARIO INTERNAZIONALE

Dalla parte sbagliata di Luca Miniero 

MIGLIOR COLONNA SONORA ITALIANA

Il tempo che ci vuole di Fabio Massimo Capogrosso

MIGLIOR ATTORE

Zackari Delmas

MIGLIOR ATTRICE

Marianna Fontana

MIGLIOR SERIE TV ITALIANA

Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883 di Sydney Sibilia

MIGLIOR OPERA PRIMA ITALIANA

Tre regole infallibili di Marco Gianfreda

MIGLIOR OPERA ITALIANA INNOVATIVA

Gloria! di Margherita Vicario

 

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Fabrique Awards 2024: tutti i finalisti https://www.fabriqueducinema.it/focus/fabrique-awards-2024-tutti-i-finalisti/ https://www.fabriqueducinema.it/focus/fabrique-awards-2024-tutti-i-finalisti/#respond Thu, 12 Dec 2024 17:36:28 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19471 Ecco tutti i finalisti nelle 12 categorie che si contenderanno il premio ai Fabrique du Cinéma Awards 10a edizione, il 17 dicembre al Cinema Nuovo Olimpia a Roma. MIGLIOR SCENEGGIATURA DI CORTOMETRAGGIO INTERNAZIONALE  Free Martin di Scott Thompson e Hayes Hart-Thompson (USA)  Just jump in di Sue Faulkner (Irlanda)  Mr. Glitter di Luca Buzzi Reschini […]

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Ecco tutti i finalisti nelle 12 categorie che si contenderanno il premio ai Fabrique du Cinéma Awards 10a edizione, il 17 dicembre al Cinema Nuovo Olimpia a Roma.

MIGLIOR SCENEGGIATURA DI CORTOMETRAGGIO INTERNAZIONALE 

Free Martin di Scott Thompson e Hayes Hart-Thompson (USA) 

Just jump in di Sue Faulkner (Irlanda) 

Mr. Glitter di Luca Buzzi Reschini (Italia) 

Voice di Rebecca Redini (Italia)

MIGLIOR CONCEPT DI SERIE

Deserto di ghiaccio di Andrea Cantafio 

Dodici è il nuovo tre di Andrea Martines 

Troll di Nicholas Di Valerio

Villa Merrick – La villa dell’americana di Martina Biscarini Baldi 

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO INTERNAZIONALE

59 Degrees di Matias De Sa Moreira & Cyril Piňero (Francia) 

Hafekasi di Annelise Hickey (Australia) 

Family Video di Niande Liu (Cina)

Grotto di Ariane Lippens (Belgio) 

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO ITALIANO

L’anima della festa di Lorenzo Vitrone 

DAGON di Paolo Gaudio 

La fémmina di Nuanda Sheridan 

Laddove manchi di Mauro Lamanna 

MIGLIOR FILM INTERNAZIONALE

Broken Pieces di Justin Ho (USA) 

Inpaintings di Ozan Yoleri (Turchia) 

Itu Ninu di Itandehui Jansen (Messico) 

El vaquero di Emma Rozanski (Colombia) 

MIGLIOR DOCUMENTARIO INTERNAZIONALE

Dalla parte sbagliata di Luca Miniero (Italia) 

Diary of a father di Paul-Claude Demers (Canada) 

The last game di Jon Alpert (USA) 

L’occhio della gallina di Antonietta De Lillo (Italia)

MIGLIOR COLONNA SONORA ITALIANA

Berlinguer – La grande ambizione di Iosonouncane 

Gloria! di Margherita Vicario e Davide Pavanello 

Il tempo che ci vuole di Fabio Massimo Capogrosso 

Troppo azzurro di Pop X 

MIGLIOR ATTORE

Zackari Delmas, Il mio compleanno 

Andrea Fuorto, Maschile plurale 

Gabriele Monti, La storia del Frank e della Nina 

Giorgio Quarzo Guarascio, Enea 

MIGLIOR ATTRICE

Galatéa Bellugi, Gloria! 

Marianna Fontana, La seconda vita 

Tecla Insolia, L’albero 

Yeva Sai, Taxi Monamour 

MIGLIOR SERIE TV ITALIANA

Brennero di Davide Marengo e Giuseppe Bonito 

Il caso Yara – Oltre ogni ragionevole dubbio di Gianluca Neri 

Il clandestino di Rolando Ravello 

Hanno ucciso l’uomo ragno – La leggendaria storia degli 883 di Sydney Sibilia 

Miglior Opera Prima Italiana

L’anno dell’uovo di Claudio Casale 

Europa Centrale di Gianluca Minucci 

Il mio compleanno di Christian Filippi 

Tre regole infallibili di Marco Gianfreda 

Miglior Opera Italiana Innovativa

The complex forms di Fabio D’Orta 

Gloria! di Margherita Vicario 

N.E.E.T. di Andrea Biglione 

Squali di Alberto Rizzi 

 

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Simone Bozzelli e i D’Innocenzo: a proposito di Dostoevskij, amicizia e cinema https://www.fabriqueducinema.it/serie/simone-bozzelli-e-i-dinnocenzo-a-proposito-di-dostoevskij-amicizia-e-cinema/ https://www.fabriqueducinema.it/serie/simone-bozzelli-e-i-dinnocenzo-a-proposito-di-dostoevskij-amicizia-e-cinema/#respond Wed, 27 Nov 2024 13:56:23 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19435 La mia storia con i fratelli D’Innocenzo inizia nel 2019, quando stavo cercando una location per il mio cortometraggio. Contattai Damiano su Facebook, e pur non potendo aiutarmi direttamente, rispose con una gentilezza tale che decisi di ringraziarlo nei titoli di coda del mio corto Amateur. Questo gesto di gratitudine non passò inosservato: non so […]

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La mia storia con i fratelli D’Innocenzo inizia nel 2019, quando stavo cercando una location per il mio cortometraggio. Contattai Damiano su Facebook, e pur non potendo aiutarmi direttamente, rispose con una gentilezza tale che decisi di ringraziarlo nei titoli di coda del mio corto Amateur. Questo gesto di gratitudine non passò inosservato: non so ancora bene come, ma vennero a sapere del ringraziamento sul roll dei titoli e vollero vedere a tutti i costi il corto, rimanendone affascinati al punto da invitarmi a cena per parlarne per tutta la sera, anche se a volerli riempire di domande, in realtà, ero io.

Da quel momento è nata una profonda amicizia, fatta di capodanni e set (ho girato per loro il backstage di America Latina, presente nei contenuti speciali del DVD in commercio). Sono tante le cose che ci accomunano, ma quella che ci accomuna di più è l’amore per il cinema e in particolare per il cinema che omaggia l’essere umano raccontandolo anche nella sua degna disgrazia. Amiamo il cinema e quindi abbiamo accettato volentieri la chiacchierata che segue.

Simone: Da quando ero al CSC e uscì La terra dell’abbastanza fino a oggi, mi sembra che ogni cosa che facciate sia una novità per l’Italia. È la prima volta che una serie viene distribuita al cinema in due atti, come evento speciale in un’unica settimana. Come mai questa scelta? È una decisione vostra?

Fabio: Non è stata una nostra scelta iniziale, anche se l’abbiamo adottata per necessità. La data che ci hanno proposto, ovvero luglio, era piuttosto infelice. Vision Distribution, che ha un’esperienza incredibile, ha suggerito di condensare tutto in una settimana per massimizzare l’impatto. Tuttavia, dal mio punto di vista, questa decisione ha complicato le cose, generando molta confusione e diversi errori. Mi sono assunto pubblicamente la responsabilità di questi errori, anche se non erano miei, perché credo fermamente che sia importante prendersi le proprie responsabilità. E mi piacerebbe che anche altri lo facessero, soprattutto chi è coinvolto in queste decisioni e processi.

Simone: In un’epoca in cui le piattaforme e i broadcaster arricchiscono le loro offerte con pacchetti Ultra HD, 4K, HDR, come avete convinto Sky a girare in 16mm?

Damiano: Abbiamo convinto Sky con la passione, con la nostra autentica passione. Ricordo una lunga riunione durante la quale abbiamo mostrato sia i provini in pellicola che quelli in digitale. Stavamo cercando di convincerli della bontà di una scelta che, a prima vista, poteva sembrare più rischiosa e più costosa. A posteriori, però, non era né l’una né l’altra. Non siamo degli esteti della pellicola, così come non siamo esteti del digitale. Non siamo esteti di nessuno strumento del cinema, perché rispettiamo il cinema e il cinema non può essere schiavo di nessuno strumento. Quello che posso dirti è che, tanto tempo fa, con Fabio ci siamo chiesti come raccontare questa storia, non solo in termini di pellicola ma anche per quanto riguarda i movimenti di camera. Abbiamo deciso di tenere tutto a mano, di far sparire tutti i cavalletti e di non usare carrelli, tranne uno che abbiamo ricavato da un carrello di un supermercato. E qual è, appunto, il corrispettivo della carta nel cinema? È la pellicola. L’unica materia artigianale, materica, che esiste. È l’unica cosa presente, concreta e che puoi toccare. Questo aspetto ci interessava moltissimo. In secondo luogo, parliamo di un personaggio che si sta estinguendo letteralmente, ed è proprio la prima scena. Quindi ci interessava che il mondo che lui vede non fosse particolarmente dettagliato e preciso, doveva essere inevitabilmente miope. E poi, in pellicola… Tu hai girato Patagonia! Quando abbiamo pensato a Dostoevskij, abbiamo anche analizzato il tuo film con il nostro direttore della fotografia, non avendo mai lavorato in pellicola 16 mm.

Simone Bozzelli sul set con uno dei fratelli d'Innocenzo
Simone Bozzelli sul set con uno dei fratelli d’Innocenzo.

Simone: Visto che i vostri primi tre film sono stati girati in digitale e Dostoevskij in pellicola, potete fare un bilancio soggettivo delle potenzialità di entrambi i formati?

Fabio: Certo, ogni formato ha i suoi limiti e le sue potenzialità. Sia io che Damiano abbiamo trovato un certo fascino in quella “cecità” di fronte a monitor bruciati, tipici di quando sul set giri in pellicola. Tutto appare bianco e dobbiamo sforzarci di cogliere le espressioni degli attori. In quei momenti, ho scoperto di apprezzare profondamente l’esperienza. La forma e il contenuto del film riuscivano così a trovare un equilibrio appagato. La pellicola ha una qualità materica che il digitale non può replicare, ma alla fine per noi è più importante la storia e come viene raccontata, piuttosto che il mezzo con cui viene realizzata.

Simone: La pellicola mi ricorda quella scarsa definizione dei file .avi con cui abbiamo visto mezzo cinema, su file di 700 megabyte.

Fabio: Esatto. E dei film (inediti in italia) che tu ci passi di contrabbando…

Simone: Dopo La terra dell’abbastanza si parlava di una vostra serie tv, addirittura di un western, e visto che apprezzo tantissimo la vostra abilità nella scrittura: è vero che la serialità è il grande territorio della scrittura? O avete scovato dell’altro?

Damiano: Territorio della scrittura, ma non direi in maniera sistematica. I nostri riferimenti per questa serie sono stati tantissimi romanzi. Mai come in questa serie abbiamo portato i romanzi che amiamo tantissimo, spesso molto ingombranti in termini di pagine. Per esempio Antonio Moresco, il mio scrittore italiano preferito, fa libri giganteschi. Anche I poveri di William T. Vollmann e Le perizie di William Gaddis ci hanno ispirato. Il formato lungo ci permette di avvicinarci molto di più al passo dello scrittore piuttosto che al passo del regista. In America Latina era esattamente il contrario: mentre scrivevamo le scene, dovevamo immaginarle già girate. Con Dostoevskij, invece, l’immaginazione andava messa su come venivano lette.

Simone: La cosa che più mi ha colpito di Dostoevskij è stato il reparto visivo. Come avete fatto a creare un dialogo così solido tra tutti questi reparti?

Fabio: Appena iniziamo a delineare la storia, vedo subito tutti gli elementi che comporranno il mondo che stiamo creando. Abbiamo la fortuna di collaborare con persone straordinarie, e i bravi registi sono quelli che sanno scegliere i migliori collaboratori. Lavoriamo in stretta sinergia con il direttore della fotografia, lo scenografo, il costumista e tutti gli altri reparti per assicurarci che ogni dettaglio sia coerente e contribuisca a raccontare la storia nel modo più efficace possibile. È un processo collaborativo in cui ognuno porta la propria visione e competenza, e il risultato finale è sempre un dialogo armonioso tra tutti questi elementi.

Simone: Voi mi avete raccontato che il montaggio può essere un momento di grande crisi. In particolare Damiano, una volta mi ha detto che, dopo i primi tentativi di montaggio, Favolacce gli sembrava «il film il più brutto che avesse mai visto». Come si fa a non perdere la testa di fronte a una quantità così vasta di materiale, come nel caso di una serie tv?

Simone Bozzelli
Simone Bozzelli.

Damiano: La risposta che sto per dare potrebbe sembrare un po’ cialtrona, tuttavia non ci ho mai creduto tanto come in questo momento: scegliere un posto che senti tuo per montare è fondamentale. Ad esempio per America Latina eravamo di fronte ai Fori Imperiali, il posto che meno ci rappresentava al mondo. Nel caso di Dostoevskij abbiamo fatto tutto in un appartamentino sottoscala a Piazza Vittorio, quindi a un minuto da casa di Fabio e a sei minuti da casa mia. Il fatto che il posto fosse così mesto mi faceva sentire incredibilmente a mio agio. Mi ha permesso di uscire tutti i giorni a piedi, invece di prendere una stupida macchina. Mi ha permesso di vivere il montaggio come fosse il campo scuola a cui non sono mai andato da ragazzo. Per me è importante trovare un posto che somigli a quello che stai raccontando e a quello che sei tu. Questo ha reso il montaggio di Dostoevskij il più bello che abbia mai fatto, non in termini tecnici, ma in termini di esperienza vissuta. Ho passato una stagione meravigliosa, forse una delle stagioni più belle della mia vita lì con Walter Fasano (montatore), con Alessio Franco e con Leonardo Balestrieri (assistenti al montaggio).

Simone: Com’è il rapporto con gli altri registi della vostra generazione?

Damiano: Credo che nella nostra generazione ci sia un rapporto di scambio umano e di unità maggiore rispetto ad altre generazioni di registi. Questo è un concetto che esprimo spesso e in cui credo fermamente. Tuttavia le cose stanno cambiando, e con la massima sincerità ti dico che comprenderemo appieno questa trasformazione solo tra alcuni anni. Oggi, nel breve termine, la situazione può sembrare un po’ più semplice. Sono certo che quando tu, Alain (Parroni), Trash Secco e molti altri registi avrete successo, saremo davvero messi alla prova. È relativamente facile sentirsi uniti quando si detiene poco potere. Non vedo l’ora di vedere tutti noi al posto che meritiamo, non per sfruttare questa posizione, ma per aprire porte agli altri. Non vogliamo essere degli equilibristi costretti a mantenere l’equilibrio mentre realizziamo film in modo stanco e ripetitivo. Sarà proprio in quel momento che si potrà comprendere chiaramente come sia cambiata la rotta.

La versione completa di questo articolo è apparsa sul n. 45 di Fabrique du Cinéma. Abbonati qui per restare sempre aggiornato sulle novità del cinema italiano. 

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I Fabrique Awards celebrano i 10 anni con i nuovi talenti del cinema https://www.fabriqueducinema.it/festival/i-fabrique-awards-celebrano-i-10-anni-con-i-nuovi-talenti-del-cinema/ https://www.fabriqueducinema.it/festival/i-fabrique-awards-celebrano-i-10-anni-con-i-nuovi-talenti-del-cinema/#respond Wed, 20 Nov 2024 16:17:31 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19431 Il 17 dicembre i Fabrique du Cinéma Awards celebreranno al cinema Nuovo Olimpia la loro decima edizione, confermando ancora una volta la loro instancabile vocazione a scoprire e valorizzare il cinema giovane e innovativo. Per l’anniversario del Premio è stato infatti scelto uno dei luoghi più rappresentativi per gli amanti del cinema sia romani che […]

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Il 17 dicembre i Fabrique du Cinéma Awards celebreranno al cinema Nuovo Olimpia la loro decima edizione, confermando ancora una volta la loro instancabile vocazione a scoprire e valorizzare il cinema giovane e innovativo. Per l’anniversario del Premio è stato infatti scelto uno dei luoghi più rappresentativi per gli amanti del cinema sia romani che expat, essendo stato il Nuovo Olimpia una delle prime sale italiane a proiettare i film in lingua originale. E già negli anni Sessanta i cinefili romani e stranieri frequentavano la sala nel centro di Roma, impreziosita dai  coloratissimi portali di ceramica dell’artista Giosetta Fioroni.

Dalla nona edizione (2023) nel Premio è stata introdotta una grande novità: per dare il segnale di quanto i Fabrique du Cinéma Awards credono nei suoi autori, il regista vincitore nella categoria Miglior Film Internazionale diventa il Presidente di Giuria del concorso successivo. Perciò, dopo il regista messicano José Luis Solís Olivares (2023), il Presidente di Giuria degli Awards 2024 è il cinese Zhengchao Xu, regista, sceneggiatore e scrittore. Il suo film A Woman, A Gun, And a Noodle Shop è stato in concorso al 60° Festival Internazionale del Cinema di Berlino e Sad Fairy Tale è stato in gara nella competizione principale al 36° Festival Internazionale del Cinema del Cairo. Il suo ultimo lungometraggio The Dry Fable ha vinto i Fabrique du Cinéma Awards 2023.

Al Presidente si affiancheranno gli altri membri della giuria: Salvatore De Mola, sceneggiatore premio David di Donatello (fra i suoi titoli Il commissario Montalbano, Vincenzo Malinconico, Makari),  Marco Pontecorvo regista (Per Elisa – Il caso Claps, Sempre al tuo fianco) e direttore della fotografia (Il trono di spade, Gigolò per caso), Lidia Vitale, attrice (Esterno notte, Ti mangio il cuore, Il primo giorno della mia vita), Roberto Giacobbo, conduttore e autore televisivo (Voyager, Freedom – Oltre il confine) e Renato Marengo, conduttore radiofonico, giornalista e produttore discografico (ideatore e promotore negli anni ’70 del movimento musicale Napule’s Power ha prodotto fra gli altri Edoardo Bennato, Teresa De Sio e Roberto De Simone).

La mission dei Fabrique du Cinéma Awards rimane quella che ha contraddistinto il Premio sin dalla nascita: promuovere la cinematografia italiana indipendente all’interno di una cornice internazionale. E di edizione in edizione i numeri crescono significativamente, un chiaro segnale dell’attrattiva generata da un concorso sempre più incisivo nel panorama audiovisivo italiano e mondiale. Quest’anno le opere iscritte sono state oltre 1300, a concorrere nelle 12 categorie del Premio.

CATEGORIE

Miglior Film Internazionale

Miglior Opera Prima Italiana

Miglior Opera Italiana Innovativa

Miglior Cortometraggio Italiano

Miglior Cortometraggio Internazionale

Miglior Attore

Miglior Attrice

Miglior Documentario Internazionale

Miglior Colonna Sonora Italiana

Miglior Serie Tv Italiana

Miglior Concept Di Serie

Miglior Sceneggiatura Di Cortometraggio

 

In collaborazione con: Rai Fiction

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100% Remotti: una mostra in occasione dei cento anni dalla nascita https://www.fabriqueducinema.it/cinema/news/100-remotti-una-mostra-in-occasione-dei-cento-anni-dalla-nascita/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/news/100-remotti-una-mostra-in-occasione-dei-cento-anni-dalla-nascita/#respond Fri, 15 Nov 2024 17:22:49 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19425 Remo Remotti: artista poliedrico, versatile pittore, scultore, attore, poeta. Il 16 Novembre 2024 avrebbe compiuto 100 anni. Sua figlia Federica Remotti e sua moglie Luisa Pistoia, lo festeggeranno ricordandolo con un evento privato dal titolo 100% REMOTTI presso Spazio Sette in Roma il 16 novembre dalle ore 18.30 con la partecipazione di tanti amici di […]

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Remo Remotti: artista poliedrico, versatile pittore, scultore, attore, poeta. Il 16 Novembre 2024 avrebbe compiuto 100 anni.

Sua figlia Federica Remotti e sua moglie Luisa Pistoia, lo festeggeranno ricordandolo con un evento privato dal titolo 100% REMOTTI presso Spazio Sette in Roma il 16 novembre dalle ore 18.30 con la partecipazione di tanti amici di Remo e della sua famiglia.

La mostra sarà aperta al pubblico con ingresso libero dal 17 Novembre al 1º Dicembre 2024 presso Spazio Sette a Roma (Via dei Barberi, 7).

 Dal 14 novembre è disponibile Me ne andavo da quella Roma…(reloaded), la nuova versione rimusicata della storica poesia di Remotti, con la Direzione Artistica di Tommaso “Piotta” Zanello, che è anche produttore e compositore insieme a Francesco Santalucia.

Molte le immagini di repertorio di Remotti nel videoclip, da Carlo Verdone – che a Remo Remotti, ha voluto rendere omaggio nella scena iniziale di “Vita da Carlo Terza Stagione” – a Carl Brave, Alessandro Mannarino, Valerio Mastandrea, Ditonellapiaga, Daniele Silvestri, Tommaso “Piotta” Zanello, Luca Barbarossa, Emanuela Fanelli.

Per questa occasione Einaudi Stile Libero ripubblicherà il libro Diario Segreto di un Sopravvissuto da cui verrà tratto l’Audiolibro letto da Vinicio Marchioni per Emons e verranno letti brani dal libro durante la serata evento 100% REMOTTI del 16 Novembre.

Sky Arte manderà in onda il 16 novembre alle 21 il documentario Ho Rubato la Marmellata-Vita di un artista politicamente scorretto di Gioia Magrini e Roberto Meddi (Vincitore del premio del pubblico all’Extra Doc Festival del Festival del Cinema di Roma 2018 e Menzione Speciale Documentari ai Nastri D’Argento 2019).

Saranno esposte inoltre alcune opere d’arte storiche dell’artista e una sezione di opere inedite a cura di Gianluca Marziani, critico di arti visive che ha curato anche le precedenti mostre al Macro e alla Galleria De Crescenzo & Viesti di Roma nonché a Berlino e a Lima.

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Sulla terra leggeri: diario d’amore https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/sulla-terra-leggeri-diario-damore/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/opera-prima/sulla-terra-leggeri-diario-damore/#respond Thu, 07 Nov 2024 16:53:47 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19416 Presentato in concorso a Locarno e ora al Medfilm Festival di Roma (11 novembre) Sulla terra leggeri, il film d’esordio di Sara Fgaier, è una storia composta un tassello alla volta. È il racconto dell’amnesia di un uomo (Gian, interpretato da Andrea Renzi) che attraverso un vecchio diario e l’aiuto della figlia (Sara Serraiocco), “ritrova” […]

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Presentato in concorso a Locarno e ora al Medfilm Festival di Roma (11 novembre) Sulla terra leggeri, il film d’esordio di Sara Fgaier, è una storia composta un tassello alla volta. È il racconto dell’amnesia di un uomo (Gian, interpretato da Andrea Renzi) che attraverso un vecchio diario e l’aiuto della figlia (Sara Serraiocco), “ritrova” la moglie scomparsa e comprende l’unica verità utile a stabilirsi un’identità: che da soli non si è nulla, in due ci si riconosce.

Fgaier ha due corti all’attivo (Gli anni, 2018, selezionato a Venezia nella sezione Orizzonti e vincitore del Nastro d’argento 2019 per la categoria Corti Doc; L’umile Italia, 2014) e alle spalle una carriera da montatrice e produttrice insieme a e per Pietro Marcello – ha lavorato con lui su La bocca del lupo e Bella e perduta e fondato con lui la casa di produzione Avventurosa. «Tutto è cominciato mentre lavoravo al mio ultimo cortometraggio, Gli anni [ambientato in Sardegna, ndr]. Mi sono imbattuta in alcune immagini del carnevale sardo [di cui si vede un estratto all’interno di Sulla terra leggerindr] e ho voluto approfondire la dimensione che vedevo spalancarsi davanti a me. Ho sempre lavorato con immagini di archivio, è una ricerca che integro nella mia pratica, così come il lavoro con materiali diversi. Poi queste prime impressioni si sono legate alla lettura di un libro di Julian Barnes, Livelli di vita».

«Questo – continua Fgaier – mi ha portato al filo conduttore dell’opera: mettere insieme due cose che sarebbero canonicamente distanti, che siano immagini o persone ma anche stati di vita. Torniamo al carnevale con la sua compresenza di lutto e festeggiamento, di vita e di morte. È una ricerca molto interessante anche dal punto di vista del montaggio, perché queste giustapposizioni aprono una dimensione collettiva: non c’è più solo il racconto di un “io”, ma la prospettiva si ramifica nel “noi” della società. Nel film per me la contrapposizione più forte, in questo senso, è il rimanere in vita in presenza della morte, il ricercare la persona amata nel dolore, quando questa non c’è più. Sono esperienze che riconfigurano il tempo e lo spazio. Che ci riportano a istinti che potremmo aver sopito, dimenticato. L’idea alla base di tutto è: che cosa succede se l’amore della nostra vita ci dimentica? Non perdiamo noi una parte di ciò che siamo, l’altro una parte di ciò che è?».

In questa ricerca si parte dall’incertezza: le immagini si allargano e i contorni si sfumano. Noi con Gian non sappiamo dove risieda la verità, non ci è dato sapere se la raggiungeremo. Anche perché, cercando, Gian si avvale di un suo diario: per quanto contenga la soluzione, all’inizio sembrano le parole di un altro, niente torna, non ci si ritrova. Il vero si confonde nel falso.

«È in questo senso che, come dicevo, la storia nasce dall’accostamento di componenti distanti: la non-memoria di Gian, quindi le sue impressioni, e le parole contenute nel diario, che per quanto ipoteticamente veritiere vengono messe in discussione. Chi è Gian, dov’è Gian? Lui esiste all’incrocio tra queste due versioni del tempo, e dunque del mondo, nell’equilibrio e nelle relazioni. Che vuol dire anche tra la storia e la Storia, tra le mie immagini e quelle d’archivio. In particolare non volevo subordinare queste ultime alla trama, non volevo che fossero né illustrative né metaforiche, ma che avessero una propria esistenza ed economia. Per me voleva dire mettersi in discussione anche con la nostra epoca storica, presentando un modo di vivere, e ricordare, diverso. Quando una persona se ne va non muore un singolo, ma muore il mondo che si portava dietro. Amare una persona non è solo un sentimento, è una forma di interpretazione della realtà, è un’epoca tutta. Ecco, l’archivio per me rappresenta l’epoca che Gian sta cercando di ritrovare».

Trovare il legame tra memoria e amore: questo, mi dice Fgaier, è la chiave di tutto. È un baratro, se pensiamo alle categorie che siamo soliti usare per validare la nostra esperienza nel mondo e tenerci a galla. E una volta rotto questo nesso, infatti, Gian rischia di affogare. Per trovare le immagini che ben rendessero questa dichiarazione, la regista ha cercato per circa tre anni. Altre invece erano vecchie conoscenze, impressioni durature che non hanno desistito. Una tecnica a collage per attrazioni, o psicogeografia, che si ritrova anche nelle parole pronunciate nel mistero dei ricordi perduti di Gian. «Le voci off provengono da testi miei, da testi che ho letto, testi che ho trovato. Avevo la sensazione di aver raccolto materiale per tanto tempo, quasi senza essermene resa conto. E si sono uniti tutti in un’unica figura. Come se mi fossi preparata per questo film più a lungo di quanto credessi».

Sulla terra leggeriNella serendipità, una guida pratica si ritrova: è Walter Murch, regista e montatore di Touch of Evil, Apocalypse Now, Ghost, Il Padrino parte III e Il talento di Mr. Ripley per citarne alcuni. «Sono autodidatta», spiega Fgaier, «ho studiato storia del cinema all’università e ho iniziato subito a lavorare. Sapevo che mi interessava il cinema ma non sapevo bene in che ottica. Ho cominciato sul documentario e come montatrice, a posteriori sono contenta perché mi hanno dato l’opportunità di scoprire vari aspetti del mestiere, di provare la mano su varie cose e scoprire il mio stile. L’incontro con Walter è arrivato a 29 anni, nel momento perfetto. L’ho seguito per un anno e mezzo, ho lavorato a un suo film e poi, per Sulla terra leggeri, lui ha fatto da consulente, ci siamo confrontati molto. Gli sarò sempre grata. Lavorare con qualcuno che fa il tuo lavoro, vedere come fa il tuo lavoro… è importantissimo».

Un parte importante nel percorso del film l’ha giocato il Torino Film Lab, attivo del 2008, che in più di 15 anni ha contribuito a realizzare più di 200 opere tra sceneggiature accompagnate durante la fase di sviluppo e opere con sceneggiatura già in stato avanzato, poi aiutate durante le fasi finali della produzione.

«Accompagniamo i progetti per un anno, così da formare i professionisti anche per il futuro». Così Mercedes Fernandez, Managing Director TorinoFilmLab, che come il Torino Film Festival si situa sotto l’egida del Museo del Cinema del capoluogo piemontese. «Quello che facciamo non è solo affiancare tutor mirati a seconda delle esigenze del progetto, ma anche spingere i partecipanti di ogni gruppo, di solito dai 10 ai 20, a lavorare con i colleghi creando un ciclo di feedback virtuoso. Vogliamo creare una safe zone che permetta ai ragazzi di mettersi a nudo di fronte ai colleghi, di creare un confronto profondo e aperto. Non è facile quando si crea, non lo è nei confronti di potenziali “competitor” come altri registi o sceneggiatori».

Per Sulla terra leggeri gli interventi sono stati di finalizzazione – era infatti inserito nel programma FeatureLab. E poi, dopo il TFL Meeting Event, il co-production market di Torino Film Lab che si tiene in concomitanza con il Torino Film Festival a novembre di ogni anno, il Lab ha anche assegnato un premio a Fgaier per gli ottimi risultati portati a casa. Spiega Fernandez: «Per quanto le success stories del Torino Film Lab siano tante, riuscire ad arrivare in fondo a un percorso con profitto non è mai banale. Siamo molto contenti e orgogliosi di questi risultati. È un ottimo segnale per noi ma anche per tutta l’industria».

Bello che una storia di ponti, e transizioni, possa chiudersi sul futuro.

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Colonne sonore: i nuovi compositori tra film e serie https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/colonne-sonore-i-nuovi-compositori-tra-film-e-serie/ https://www.fabriqueducinema.it/magazine/musica/colonne-sonore-i-nuovi-compositori-tra-film-e-serie/#respond Wed, 23 Oct 2024 13:55:41 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19407 In Italia la musica per il cinema è sempre stata uno spazio di sperimentazione e ha dato vita a colonne sonore entrate nella storia (di Nino Rota, Ennio Morricone, Piero Piccioni e via citando).  Ma com’è cambiato il panorama oggi?  Mario Nascimbene e il neorealismo, Nino Rota e Federico Fellini, Piero Piccioni con il jazz […]

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In Italia la musica per il cinema è sempre stata uno spazio di sperimentazione e ha dato vita a colonne sonore entrate nella storia (di Nino Rota, Ennio Morricone, Piero Piccioni e via citando).  Ma com’è cambiato il panorama oggi? 

Mario Nascimbene e il neorealismo, Nino Rota e Federico Fellini, Piero Piccioni con il jazz nella commedia all’italiana, Piero Umiliani e Riz Ortolani, il Re Mida Ennio Morricone, tutti questi compositori lavorarono su una vasta gamma di generi – dai drammi in bianco e nero degli anni Sessanta ai poliziotteschi e al crime splatter di Dario Argento – creando uno stile unico che avrebbe accompagnato il nostro cinema fino alle fine agli anni Settanta. Le loro colonne sonore abbracciavano dal jazz e dalla bossa nova al funk e alla bizzarra musica lounge, all’esotica selvaggia e alla musica elettronica psichedelica, definendo l’epopea della colonna sonora all’italiana e portandola a influenzare non solo il linguaggio internazionale ma tutta la musica popolare nostrana.

Ma oggi si può dire che esista la stessa varietà e ricchezza dell’epoca d’oro? Se più che a mancare una nuova scuola di compositori, è soprattutto totalmente assente un sistema che valorizzi e tuteli coloro che hanno reso il cinema italiano famoso in tutto il mondo? Benché negli ultimi anni ci siano stati alcuni episodi sporadici, come la vittoria agli Oscar di Nicola Piovani per La vita è bella e di Ennio Morricone per The Hateful Height, ancora figli dell’epoca in cui i musicisti venivano valorizzati, oggi sembra mancare totalmente una visione sulla musica per immagini.

Non a caso ad aprile di quest’anno aveva fatto rumore la rinuncia alla candidatura ai David di Donatello del compositore Franco Piersanti (non proprio un esordiente) per Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti. Piersanti accusava l’Accademia dei David di non saper comprendere il ruolo e il valore del compositore, poiché faceva concorrere nella stessa categoria film con musica originale e film che ne erano quasi sprovvisti: «se il premio va a chi scrive musica originale, non può essere equiparato a chi fa cose completamente diverse». Ma la querelle è stata oscurata, lasciando intatta non solo la candidatura di Piersanti, ma anche un successivo comunicato dell’ACMF (Associazione Compositori Musica da Film). L’esposto, apparso sulle pagine di The Hollywood Reporter Roma, denunciava come da anni la stessa associazione cercava inutilmente un confronto con l’Accademia, non solo rispetto al ruolo del compositore, come già sottolineava Piersanti, ma soprattutto per entrare di diritto nel direttivo dell’Accademia come figura autoriale (stando alla legge 633 del 22 aprile 1941, tuttora in vigore).

Perché da un’occasione così importante, su cui si potevano costruire le basi per un confronto costruttivo, si è cercato unicamente di evitare lo scandalo? I motivi sono molteplici e non si possono imputare unicamente all’industria stessa. Si va da un’eccessiva esterofilia, che alcune volte spinge un regista esordiente ad affidarsi a compositori internazionali per dare più appeal al suo progetto, alla mancanza di una formazione adeguata a comprendere la centralità del comparto sonoro nel cinema contemporaneo, che ha portato nel tempo a non considerare più la musica come un aspetto centrale del prodotto audiovisivo, causando molteplici scompensi non solo alla categoria ma soprattutto alla qualità dei film.

Secondo Massimiliano Mechelli, compositore di A Classic Horror Story e La legge di Lidya Poet: «purtroppo vedere che negli ultimi cinque anni solo un compositore per film con il nome prestigioso di Piovani ha vinto il David per miglior colonna sonora,  porta a domandarsi se l’industria cinematografica crede ancora nel mestiere e nella professione di compositore per film. Sempre più spesso vediamo che le produzioni chiamano artisti del mondo della musica estranei a questo campo specifico per firmare le colonne sonore dei loro film, spesso puntando sulla loro visibilità. Con questo non sto dicendo che sia sbagliato a prescindere, ma non può essere una costante. Altre volte invece viene preso il repertorio di un artista musicale per poi farlo montare su scena, altre ancora nei film d’autore diretti da giovani registi vengono chiamati artisti indipendenti sempre estranei al campo. Questo fa dubitare se lavorare con un professionista del mestiere sia ancora una priorità. Per fortuna ci sono produzioni che stanno investendo nei giovani compositori anche qui in Italia come Groenlandia, qualcosa si sta muovendo, ma molti registi famosi ancora non hanno voglia di cercare nuovi volti nel campo delle colonne sonore e lavorare con loro per generare qualcosa di innovativo. Dovrebbero esserci sicuramente più fondi stanziati per l’assunzione di compositori under 35 e le produzioni dovrebbero essere facilitate nel coinvolgere giovani figure. Il rinnovamento a mio avviso premierebbe tutti indistintamente».

Se la serialità, così come l’avvento delle piattaforme, ha sicuramente portato una ventata di aria fresca sia per la musica composta che per quella edita, coinvolgendo moltissimi compositori ai tempi esordienti, come ad esempio i Mokadelic che a partire da ACAB di Stefano Sollima e successivamente con Gomorra hanno creato un vero e proprio standard compositivo, si può dire che il cinema fatica ancora a trovare una propria strada rispetto a una categoria che ha scritto la sua stessa storia.

Infatti, come sottolinea Lorenzo Tomio, compositore di Dampyr, Tutto chiede salvezza, I delitti del BarLume e Il giovane Berlusconi: «in questi anni il settore cinematografico, e nel dettaglio quello della musica per l’immagine, ha beneficiato di una vastissima richiesta di produzione e di professionisti, grazie alla crescita delle piattaforme. Al contempo via via si è affievolito il rispetto e l’autorevolezza per le professionalità artistiche di alto profilo, ai fini del confezionamento dell’ennesimo prodotto nel minor tempo possibile e al minor costo. Credo che i problemi che stiamo vivendo siano dovuti alla mancanza di una vera e propria cultura di registi e produttori rispetto al ruolo della musica anche all’interno della filiera produttiva. Il compositore deve essere inteso come un collaboratore che può dare voce a differenti livelli di lettura del racconto, che può scrivere un contrappunto alle scene e arricchirle di ulteriori significati. Invece spesso viene inteso come qualcosa da aggiungere alla fine, il bollo decorativo che chiude il pacco e, considerando l’importanza che ha sempre avuto la musica nella storia in Italia, non ha davvero senso.

Il giovane Berlusconi
“Il giovane Berlusconi”, colonna sonora di Lorenzo Tomio.

Perché maestri come Marco Bellocchio scelgono di affidarsi a compositori esordienti al linguaggio cinematografico come Fabio Massimo Capogrosso, che ha avuto la capacità di rappresentare perfettamente in musica il racconto episodico e le differenti anime in scena di Esterno Notte così come di Rapito, puntando anche sugli aspetti più sperimentali, e i giovani registi sembrano essere quasi spaventati dalla musica quasi come fosse un impedimento alla strutturazione del proprio racconto? Sembra mancare la consapevolezza che la musica può diventare veramente un acceleratore di emozioni facendo sì che quel dato film possa realmente entrare nell’immaginario collettivo per sempre. Pensiamo ad esempio alle note agrodolci e scanzonate del tema principale di Amarcord, o al flauto di Pan di C’era una volta in America: sono temi che hanno reso quei film unici per sempre, portando lo spettatore a immedesimarsi perfettamente nella storia unicamente attraverso l’ascolto della musica.

Vero è che nelle accademie cinematografie c’è sempre di più una maggiore sensibilità e attenzione al ruolo del compositore: è il caso del Laboratorio di musica per film del Centro Sperimentale di Cinema o il progetto del regista Gianfranco Cabiddu che, all’interno dell’isola felice di Carloforte in Sardegna, ha creato la summer school CAMPUS – musica e suono per il cinema e per l’audiovisivo (grazie al quale 30 allievi del CSC insieme ad altri 12 allievi musicisti provenienti da diverse realtà formative arrivano a Carloforte per un’esperienza di condivisione e apprendimento). Ma mancano  effettivamente dei corsi formativi pluriennali che mettano costantemente a confronto le tante figure del comparto sonoro, dal sound designer al music editor, con tutta la filiera produttiva.

Infatti come aggiunge anche la compositrice Ginevra Nervi (Il cacciatore, SKAM Italia, Prisma, Come pecore in mezzo ai lupi): «l’industria cinematografica è cambiata profondamente negli ultimi anni, di conseguenza lo ha fatto il mercato, e così le figure professionali che operano in questo settore. Credo che più o meno tutte le categorie (sceneggiatori, registi, compositori, montatori, tecnici del suono, scenografi, costumisti) stiano vivendo un periodo di difficoltà e di forte cambiamento rispetto al modo in cui venivano considerate all’interno del sistema produttivo in passato. Le nuove generazioni hanno però la possibilità di guardarsi attorno e capire quale posizione prendere per salvaguardare quello che domani chiameremo ancora cinema».

L’ultimo anno cinematografico è stato ricco di opere prime che, sia per la loro qualità che grazie al passaparola, sono riuscite ad attirare l’attenzione del pubblico. Sicuramente uno degli esempi più interessanti è stato l’esordio di Margherita Vicario con Gloria!, che ha costruito il proprio racconto basandosi su una storia “nascosta” che si fonda e cresce totalmente sulla musica. Insomma le risorse ci sono, e sono anche abbondanti, ma dobbiamo cominciare ad avere il coraggio di guardare oltre la siepe.

La versione completa di questo articolo è apparsa su Fabrique du Cinéma n. 45. Abbonati qui per restare sempre aggiornato sulle novità del cinema italiano. 

 

 

 

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Prorogato il bando di Officina Pasolini: fino al 31 ottobre https://www.fabriqueducinema.it/education/formazione/prorogato-il-bando-di-officina-pasolini-fino-al-31-ottobre/ https://www.fabriqueducinema.it/education/formazione/prorogato-il-bando-di-officina-pasolini-fino-al-31-ottobre/#respond Tue, 22 Oct 2024 08:25:20 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19401 Buone notizie! La scadenza del bando per il biennio 2025-2026 di Officina Pasolini è stata prorogata al 31 ottobre alle ore 12. Si tratta di un percorso formativo di altissima qualità, con grandi docenti, che offre importanti opportunità professionali nei settori della Canzone, del Teatro o del Multimediale. Diretto da Tiziana Tosca Donati, il laboratorio artistico […]

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Buone notizie! La scadenza del bando per il biennio 2025-2026 di Officina Pasolini è stata prorogata al 31 ottobre alle ore 12. Si tratta di un percorso formativo di altissima qualità, con grandi docenti, che offre importanti opportunità professionali nei settori della Canzone, del Teatro o del Multimediale.

Diretto da Tiziana Tosca Donati, il laboratorio artistico promosso dalla Regione Lazio è diviso in tre sezioni: Canzone, diretta da Niccolò Fabi; Teatro, il cui responsabile è l’attore e regista Massimo Venturiello; Multimediale, che forma videomaker e figure professionali in ambito audiovisivo, diretta dalla produttrice Simona Banchi.

L’offerta formativa prevede un biennio di corso più un anno integrativo che ha l’obiettivo di sostenere economicamente i progetti artistici per un totale di 45 diplomati ammessi. Un percorso che fornisce agli studenti e alle studentesse le competenze professionali e artistiche necessarie per inserirsi nel mondo del lavoro. Tutto completamente gratuito. Gli ammessi hanno tra i 16 e i 29 anni, ma il bando (consultabile online) permette l’ammissione fino ai 35 anni per particolari meriti artistici. Tra i docenti dell’Officina Roberto (Bob) Angelini, Giovanni Truppi, Walter Pagliaro, Alessandro Chiti, Alessandro Bonifazi, Paolo Ferrari e dal prossimo biennio Daniele Silvestri.

Ricorda Simona Banchi, produttrice di film come Takeaway con Libero De Rienzo o documentari come La maglietta rossa di Mimmo Calopresti e The Beat Bomb di Ferdinando Vicentini su Lawrence Ferlinghetti: «L’obiettivo principale di Officina è quello di dare ai giovani gli strumenti per professionalizzarsi in mestieri “non convenzionali” e diventare cantanti, attori e videomaker. Abbiamo voluto intestare l’Officina a Pasolini perché era una figura traversale della cultura, si muoveva su più discipline. Un grande scrittore, drammaturgo, regista, poeta e intellettuale».

Per tutte le informazioni consultare il sito: www.officinapasolini.it

Per iscriversi al bando consultare questo LINK

 

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Fabrique alla Festa del Cinema con un evento maxi il 20 ottobre all’Acquario Romano https://www.fabriqueducinema.it/cinema/news/fabrique-alla-festa-del-cinema-con-un-evento-maxi-il-20-ottobre-allacquario-romano/ https://www.fabriqueducinema.it/cinema/news/fabrique-alla-festa-del-cinema-con-un-evento-maxi-il-20-ottobre-allacquario-romano/#respond Mon, 14 Oct 2024 12:02:31 +0000 https://www.fabriqueducinema.it/?p=19396 Poteva mancare Fabrique alla Festa del Cinema di Roma? Ovviamente no! Il 20 ottobre alziamo l’asticella con un Fabrique Club formato maxi: un evento ricco di proiezioni esclusive, con un talk sul cinema insieme a registi e attori, accompagnato da musica live e dj set che ci faranno compagnia dal pomeriggio fino a notte. Il […]

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Poteva mancare Fabrique alla Festa del Cinema di Roma? Ovviamente no! Il 20 ottobre alziamo l’asticella con un Fabrique Club formato maxi: un evento ricco di proiezioni esclusive, con un talk sul cinema insieme a registi e attori, accompagnato da musica live e dj set che ci faranno compagnia dal pomeriggio fino a notte. Il tutto nella cornice dell’Acquario Romano, uno spazio magico dove vi aspettano drink, food e vibes nel cuore pulsante di Roma.
Domenica 20 ottobre siete già con noi, giusto?

Seguiteci sui social per tutti gli aggiornamenti sul programma.

Domenica 20 ottobre
Dalle 12
Piazza Manfredo Fanti 47 – Roma

In partnership con: @pastificio.sanlorenzo
In collaborazione con: @casadellarchitettura per Festa del Cinema di Roma
Music partner: @storienelmondo

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