Tra la mondezza che vola sui Fori Imperiali tramutata in pioggia di colorate caramelle all’MDMA e le canzonette dietro l’angolo (vedi l’Apicella di Giovanni Esposito e il cameo di Fabio Concato) questo Loro 1 assume una postura cinematografica che potrebbe farci tentennare sardonicamente sull’hashtag #LoLoLoro. È solo una provocazione, ovvio, il nuovo film di Paolo Sorrentino non è un musical à la La La Land e tantomeno vorrebbe avvicinarcisi. Invece segna un nuovo Toni Servillo Show che si attarda un po’ ad arrivare giusto perché il lungo prologo di donnine e cocaina varrà probabilmente anche per Loro 2. Primo tempo di una trovata geniale per raddoppiare gli incassi e trattenere i tagli del montatore Cristiano Travaglioli, Loro 1 rivolge il suo pronome al ghota intorno a Silvio Berlusconi, il cerchio magico di potere incontrastabile al quale aspirano dal lato politico il simil-Bondi di Fabrizio Bentivoglio e quello mondano di Riccardo Scamarcio sotto la burattinaia di escort simil-Sabina Began di una Kasia Smutniak mai così noir. Sorrentino mette i brividi tra sesso e sorrisi, stende sul pubblico un senso di colpa per il voto di anni e ce lo stira addosso infarcendo la sua nuova mitologia estetica di parodie italiote. Film di costume su un oggi ancora in itinere, capiremo davvero Loro soltanto a distanza di anni, quando la storia ci avrà allontanati e raffreddati da questa epoca.
Restando in bilico sul tema del sesso come moneta di scambio, allunghiamo il piede su Youtopia, regno virtuale nel quale si rifugia Matilde con il suo sconosciuto spasimante. Ma la realtà, più cruda che mai, anzi inesorabile come una banca, vuole far perdere la casa a sua madre se non verranno saldati i forti debiti in poche settimane. Così il romantico web si trasforma in squallido mercato delle grazie: farsi guardare nuda a pagamento non basterà, così la verginità finisce all’asta. Nel film anche Alessandro Haber: l’equilibrio spietato raggiunto col suo farmacista alto-borghese dai laidi capricci sessuali si annovera tra i suoi personaggi più riusciti e disturbanti. Matilda De Angelis regge il ruolo della protagonista con testa e cuore, e insieme a una splendidamente stropicciata Donatella Finocchiaro compone un duo madre-figlia di quelli da ricordare. L’autore Berardo Carboni mette insieme un pastiche originale e visionario tra reale e virtuale. Mai volgare seppur di erotismo insano. Aperto a molteplici letture, questo è il nuovo cinema italiano di cui abbiamo bisogno. Segnalazione a margine per Federico Rosati, caratterista abruzzese che ha modellato il perverso e surreale braccio destro di Haber come fosse un manga uscito dalla fantasia di Takashi Miike.
Veniamo all’outsider della settimana: Nato a Casal di Principe. Vi ricordate dei Ragazzi del muretto? Uno di loro era fidanzato con una compagna di classe. Era un duro, un po’ testone, forzuto ma buono come il pane. In realtà a quell’attore partenopeo, negli anni ottanta, sparì il fratello. Un ragazzo che aveva frequentato compagnie sbagliate. Niente rapimenti per una famiglia normale, onesta, ma solo vuoto silenzio durato anni in una bolla di corruzione camorrista. Amedeo Letizia oggi è l’uomo che ha prodotto questo film ripercorrendo coraggiosamente il suo vero passato e Alessio Lapice, ventisettenne, è l’attore che lo interpreta. Una storia di vendetta giovanile, l’irresponsabilità scontrata con le preoccupazioni genitoriali, i volti di Massimiliano Gallo e Donatella Finocchiaro (ancora madre in situazioni difficili) ad arginare l’impulsività del figlio maggiore. Il tutto viene sapientemente narrato con la macchina da presa di Bruno Oliviero. Regista puro, Oliviero trasla questa storia scomoda e dolorosa in un film verità che sbatte sull’anima e mostra un punto di vista inedito delle vittime di camorra. Piccolo film di profonda civiltà fuori dai denti, andrebbe mostrato anche e soprattutto ai giovani, e perché no nelle scuole, per dare luce e giustizia a vittime sconosciute della criminalità organizzata uscendo per una volta dai conclamati stereotipi alla Gomorra.
Giungiamo infine al blockbuster per eccellenza, o sfinimento se preferite, Avengers: Infinity War. Siamo al terzo capitolo della saga, 19° film Marvel dal 25 aprile al cinema, 900 sale e ad oggi oltre 3 milioni di euro incassati solo in Italia. Fa il pieno di numeri anche sul set, con 24 personaggi interpretati da star di Hollywood, e soprattutto, come uno schiacciasassi per la noia, dura “appena” 2 ore e 40. Stavolta i Vendicatori affrontano Thanos, alieno supercattivo col vizietto del genocidio inflitto qui e là nell’universo. Riusciranno i nostri eroi a sfilargli dalla mano il guanto metallico forgiato per contenere le 6 Gemme dell’Infinito? Mastodontico, denso di azione oltre le fantasie più megalomani dei fan, drammatico seppur venato di godibili siparietti grazie ai Guardiani della Galassia, qui confluiti a dar man forte, la Marvel riesce a mettere in ordine e scorrevolezza tripudi di battaglie e supereroi catapultandoci da un pianeta all’altro creando pure legami razionali con gli altri film, non solo i precedenti. Evidentemente non saranno in molti a perderlo, ma varrebbe la pena per il pubblico, prima di comprare il biglietto, di riflettere anche sulle storie italiane che in questo fine settimana sono pronte a dar battaglia al Golia americano, e intrattenimento di qualità agli spettatori.