Le strane straniere sono donne che, andando oltre qualsiasi stereotipo di genere sessuale e culturale, hanno deciso di vivere al meglio una situazione potenzialmente svantaggiata. E hanno saputo usare la loro femminilità come un elemento di forza, grazie al quale sperimentare, progettare, rivivere e rischiare. Tutto in nome di una libertà personale che, se articolata in cinque storie diverse, compie l’impresa di diventare universale. Si tratta di un piccolo miracolo di equilibrio e orchestrazione dovuto soprattutto al tocco leggero di Elisa Amoruso, al suo secondo documentario dopo il successo di Fuoristrada. Così, grazie alla sensibilità della regista, le voci soliste di Radi, Sonia, Sihem, Ljuba e Ana vengono modulate all’interno di un coro volto a esaltare le loro personali tonalità.
Al centro del racconto ci sono ancora l’emarginazione e la diversità, temi essenziali della poetica del reale sostenuta dalla Amoruso. Partendo da questi punti fermi, però, Strane straniere compie un passo avanti rispetto a quanto realizzato in precedenza. Così, a quelle creature emarginate dalla società e costantemente giudicate, protagoniste del suo primo documentario, qui contrappone un’immagine di donna che, pur mostrando le sue ferite, continua a sfoggiare un sorriso di grande vitalità. Unite dal filo comune della speranza e del desiderio di ricominciare, le cinque protagoniste si alternano in un racconto fluido che, non lasciando spazio a presenzialismi, riesce nell’impresa inaspettata di comporre il ritratto unico di una donna migrante.
Nonostante le difficoltà affrontate da ognuna di loro, gli amori egoisti che le hanno plasmate e una cultura di origine che le voleva sottomesse a un destino genetico, il documentario è imbevuto di un ottimismo che, non nascendo certo da un’ottica superficiale, è ancora più travolgente e liberatorio. Alla regista, dunque, non rimane che osservare i movimenti naturali delle sue cinque migranti capaci di rintracciare un nuovo riflesso di loro stesse in un paese sconosciuto.
Dal punto di vista strettamente narrativo, poi, il passaggio dall’una all’altra avviene attraverso un tema ricorrente, uno stato d’animo o un’immagine comune. Quello che, però, conta veramente è l’eccezionalità di queste storie di rinascita vissute a metà strada tra l’Italia, la Cina, Tunisi e l’ex Jugoslavia. Come ahimè sappiamo bene, l’emancipazione femminile è ancora lontana dal poter essere considerata come un fatto scontato, soprattutto se si è delle “strane straniere”.