Si è più ricchi quando si è innamorati veramente o per il biglietto vincente della lotteria nel taschino? Ce lo mostra Ricchi di fantasia (qui il trailer ufficiale), la nuova commedia di Francesco Micciché mettendo insieme Sergio Castellitto e Sabrina Ferilli. La struttura spinge l’imitazione di situazioni classiche in stile commedia all’italiana. I protagonisti hanno lo stesso nome dei loro personaggi, così Sergio e Sabrina amanti entrambi bloccati da rispettivi consorti e famiglie fanno saltare le loro unioni ufficiali per una forte vincita. Peccato sia soltanto uno scherzo dei colleghi di Sergio, giù al cantiere, capeggiati da Paolo Calabresi. Ma ormai i cocci sono rotti e la fuga in un pulmino scalcinato insieme a figli vari più madre/suocera petulante si trasforma in un roadmovie verso la Puglia.
Si tratteggia l’Italietta che vorrebbe ma non può. Non solo nel lavoro, dove Sergio subisce angherie economiche sfumate di truffa dal costruttore che lo schiavizza, un Gianfranco Gallo impeccabilmente sibillino. Ma dove i sogni artistici di Sabrina sono bloccati nei siparietti canterini da pianobar per neofascisti. A tal riguardo, Faccetta nera in versione animazione ristorante è chiaro segno dei nostri tempi: oggi il film vorrebbe criticare ma verrà frainteso dai più, per poi un domani essere osservato con inedito interesse per la ribellione stretta sotto i denti dei nostri artisti e autori attuali. E tutto per un comodo, condiviso meccanismo di valutazione timorosa dell’oggi. La Commedia all’Italiana girava intorno ai problemi, li avvolgeva, ma a un certo punto li colpiva frontalmente, non di striscio. E a suo modo cerca di fare lo stesso anche Ricchi di fantasia.
Andando avanti Micchiché mette in rilievo Antonio Catania e Antonella Attili, ricchi sfrenati e machiavellici. Escono frasi come: «La tristezza è per i ricchi» o «Per salvare la faccia rischiamo di perderla». Sì, perché ogni personaggio qui è impegnato a dimostrare quello che non potrebbe. La lotta di classe di una volta muta in guerra tra poveri. Tanto tra colleghi squattrinati con falsi biglietti vincenti quanto tra nuovi membri di una famiglia allargata per sbaglio. Si capovolgono anche le politicizzazioni. I ricchi diventano di sinistra e i poveri più destrorsi. Addio slogan come potere operaio e potere al popolo. È il ricco che ha tempo e potere per acculturarsi e diventare fine intellettuale dalla parte del giusto, seppur umettato di cupidigia. Al povero restano invece sole, cuore e livore. Ora vale un si salvi chi può generalizzato, apparentemente orizzontale. Ognuno con i propri mezzi. Ricchi o poveri che siano. Leciti o meno. Il ché ci richiede un’osservazione più complessa rispetto al passato.
Si ride amaro e di cuore in questa commedia che a ogni lettura è capace di mostrarci nuove sfaccettature. Finti poveri e finti ricchi si mescolano come carte ben orchestrate in un gioco di ruoli che ha solo rari momenti di stallo narrativo e un cast sempre frizzantino. «Viviamo in una società dove non c’è oggettività nella propria ricchezza»: ha ragionato durante la conferenza stampa di presentazione Paolo Calabresi, che interpreta il collega di Sergio, spalla d’appoggio e amico di sempre. «Ricchezza in sé è la finanza, ormai virtuale. Indipendentemente da questo siamo un paese che ha sempre fatto finta di essere più ricco di quello che è. Abbiamo voluto sempre aspirare ad essere qualcosa di superiore a ciò che eravamo. Chi fa finta di essere povero essendo ricco, lo fa per un piano deliberato. Invece chi finge di essere ricco, pur essendo povero, ha un piano di disperazione».
Tra gli attori spiccano poi la bambolosità new-age del personaggio di Matilde Gioli, che fa la figlia mitigatrice di Sergio, e il suo piccolo Art interpretato da Vincenzo Sebastiani. Viso pacioccone e linguetta pronta al tempo comico. Non manca nemmeno un curioso segno distintivo della commedia sentimental-familiare contemporanea lanciato da Moretti, poi perseguito da Muccino e tanti altri: la scena della canzone corale in automobile. E stavolta, scuserete lo spoiler, è il turno di Pupo. Con Su di noi. Cantiamo, ché ci passa.