Carmelo Zappulla è nel pieno del successo come cantante neomelodico a Napoli quando, all’inizio degli anni Novanta, viene accusato da un pentito di camorra di essere il mandante di un omicidio. Si proclama innocente, ma non riesce a evitare la misura cautelare che lo porta al carcere in isolamento; decide, quindi, di affidarsi al suo amico avvocato Gaetano che riesce a farlo uscire. Poco dopo, però, altri pentiti di camorra fanno il suo nome come mandante dell’omicidio, spinti dal Pubblico Ministero che vuole a tutti i costi riuscire a condannare il cantante: viene spiccato un nuovo mandato di arresto per lui, ma Zappulla decide di darsi alla latitanza. Solo dopo tre anni il suo avvocato riuscirà a farlo assolvere per non aver commesso il fatto.
Il film di Alfonso Bergamo racconta una storia realmente accaduta, se pur con l’aggiunta di alcuni spunti di fantasia per meglio adattarsi al mezzo cinematografico, ed è ispirata al libro scritto dallo stesso Carmelo Zappulla: Quel ragazzo della Giudecca – Un artista alla sbarra (Power Sound Editore).
Carmelo, che nel film interpreta se stesso e ha dichiarato quanto sia stato duro girare in particolare la scena d’apertura in cui viene chiuso in isolamento, ha rivissuto i drammatici avvenimenti che hanno segnato la sua vita portando in scena il suo dramma di artista, ma soprattutto di innocente, ingiustamente accusato e privato della libertà con una recitazione non solo credibile, ma anche fotografia/ricordo sofferto della sua tragica esperienza.
Lo spietato antagonista è Tony Sperandeo, che riveste il ruolo del PM incaricato del caso: una figura esaltata disposta a tutto pur di vincere la causa che ha intentato, anche a spingere dei testimoni verso la verità che ha immaginato di poter provare; è un uomo privo di scrupoli che incarna alla perfezione il protagonismo e la smania di emergere calpestando perfino la verità, interpretato con maestria dall’attore siciliano. L’oppositore del Pubblico Ministero è Luigi Diberti, l’avvocato di Carmelo Zappulla, che si rifà alla persona del reale avvocato difensore, protagonista di un monologo toccante ispirato proprio alla vera arringa tenuta dal legale.
Alfonso Bergamo, al suo primo lungometraggio in lingua italiana dopo Tender Eyes in inglese nel 2014, vince la sfida di mettere in scena una vicenda reale riuscendo a non cadere nel buonismo e mettendo in luce prevalentemente l’aspetto umano di questa storia, il dolore e la sofferenza che ha causato, per puntare i riflettori su questo caso dimenticato quasi da tutti. Bergamo, inoltre, riesce a dimostrarsi un buon direttore perché orchestra la trama in maniera tale che non vi siano tempi morti e in modo da mettere in risalto la recitazione dei suoi attori.